20 Gennaio 2022

Monterossi – Prime Video: un Fabrizio Bentivoglio così può bastare? di Marco Villa

Tratta dai romanzi di Alessandro Robecchi, Montessori è una serie anomala, con un Fabrizio Bentivoglio che giganteggia in ogni scena

Pilot

Qualche giorno fa, parlando di The Journalist, ho iniziato la recensione scrivendo che si trattava di una serie strana. Ecco, evidentemente è una settimana tematica, perché anche Monterossi è una serie strana. In modo diverso, ma sempre strana, a cominciare dal fatto che ogni volta scrivo Montessori e devo correggere in Monterossi. Ma questi sono problemi miei, ne sono pienamente consapevole.

Monterossi è una serie originale Prime Video, disponibile dal 17 gennaio. È una serie italiana, perché il Monterossi del titolo è Carlo Monterossi, protagonista di otto romanzi firmati da Alessandro Robecchi, due dei quali sono alla base delle sei puntate della serie. Carlo Monterossi è un autore tv: è stato idealista, è diventato cinico, è tornato a essere idealista o quantomeno è un po’ schifato dall’ecosistema lavorativo in cui ha sguazzato per anni. Un’ecosistema che gli ha dato popolarità e ricchezza, ma che alla lunga l’ha stancato, lasciandogli un profondo amaro in bocca e una sostanziale disillusione nei confronti di tutto ciò che lo circonda.

Monterossi vorrebbe stare nel suo bozzolo, ma la realtà suona alla sua porta, nella forma di un uomo mascherato, che gli punta una pistola al volto per ucciderlo. L’autore tv sopravvive all’agguato e da lì finisce invischiato in una storia di omicidi e vendette incrociate, con un paio di commandi di sicari alla ricerca dei loro bersagli e la Polizia in mezzo a tentare (senza troppo successo) di tappare le falle. Tocca quindi a Monterossi mettersi in gioco in prima persona per risolvere una situazione che mai avrebbe pensato di affrontare.

Questo l’andamento generale, senza entrare minimamente nei dettagli di sottotrame che pure sono importanti, ma che non ha senso sviscerare. Più della trama, però, sono due gli elementi che fondano l’identità di Monterossi: il suo interprete principale e il tono della serie, che poi sono talmente legati tra loro da essere un unico macro-elemento. Fabrizio Bentivoglio è il protagonista assoluto della serie: il suo volto sfiduciato, il suo modo svogliato di porgere le battute, il profondo disincanto che riesce a dare al suo personaggio sono il dna della serie, che non a caso si chiama come il suo personaggio principale. Da questa attitudine deriva un tono complessivo che guarda a (ormai) classici del genere come Fargo, con un gusto lo-fi che pesca anche dalla primissima Utopia. Riferimenti giganti, che come sempre vanno presi con le molle. L’abbiamo detto tante volte: sono pochissime (forse solo due) le serie italiane in grado di competere con il mercato internazionale. Monterossi non si aggiunge a questa lista, quindi ogni paragone con i titoli di cui sopra è da filtrare, ma serve per dare qualche coordinata.

Nei fatti, Monterossi è una serie in cui i generi si auto-sabotano. Per dire, nei primi tre episodi (che corrispondono al romanzo Questa non è una canzone d’amore), ci sono 5 omicidi, ma non c’è mai un momento di tensione. C’è una trama crime da risolvere, ma non c’è mai un momento di indagine nel verso senso del termine. Ci sono personaggi in crisi con se stessi, ma non c’è mai un vero momento di dramma. Detta così, sembra un enorme “vorrei ma non posso”, invece è piuttosto evidente che fosse esattamente questo l’obiettivo degli autori: Davide Lantieri, lo stesso Alessandro Robecchi e Roan Johnson, che firma anche la regia di tutti gli episodi e aveva già lavorato a un titolo che ha più di un punto in comune con Monterossi, ovvero I delitti del BarLume.

Monterossi è una serie fuori dagli schemi, un po’ come la Milano che mette in scena, forse primo titolo “milanese” senza scene girate in Gae Aulenti. Se si entra nel suo mondo, la si può considerare anomala, ma quell’incompiutezza a cui si è accennato prima può anche respingere, su questo non c’è dubbio. Così come non c’è dubbio che i personaggi siano ben scritti, con un cast principale che tiene botta e la volontà di creare figure di contorno altrettanto anomale e con un proprio carisma (i killer dei primi episodi). L’ho detto in apertura e lo ribadisco qui: è una serie strana, di quelle che non avrebbe senso elogiare pienamente, ma nemmeno stroncare. Siamo a metà del guado, ma l’esperimento è interessante, questo è sicuro.

Perché guardare Monterossi: per la prova di Bentivoglio e il clima generale

Perché mollare Monterossi: perché l’incompiutezza rischia di essere limitante



CORRELATI