3 Dicembre 2020

Saved By The Bell: il sequel di Bayside School che proprio non serviva di Diego Castelli

Lasciateci i nostri ricordi trash e non rivanghiamo troppo

Pilot

Andiamo subito al dunque. Non c’era alcun bisogno di un sequel di Saved By The Bell.
L’originale, in italiano Bayside School, è una sitcom a cui molti di noi hanno riservato un piccolo posto nel loro cuoricino, perché fa parte di quel mondo seriale dei primi anni Novanta (in America esordì nel 1989, da noi arrivò a fine 1993), che è un pezzo importante del tema nostalgico che tanto funziona di questi tempi, specie sul pubblico che all’epoca attraversava l’infanzia o la prima adolescenza. La scuola, la merenda, i primi amori, le serie e i cartoni su Italia 1, un mondo che, con gli occhi di oggi, viene giudicato più semplice e gestibile: tutti pezzi di un puzzle di cui la prima Saved By The Bell faceva parte e che ce la fa ricordare con particolare affetto anche al di là dei suoi meriti specifici (era una sitcom discreta, che anche negli USA ha conservato un pubblico affezionato, ma niente di più).

Riproporre oggi quel titolo e quell’ambientazione ha per me pochissimo senso. E per quanto capisca l’obiettivo di cavalcare l’onda del remake, del reboot e del sequel, con lo scopo di offrire a un pubblico sempre più frastornato dalla quantità di prodotti disponibili qualcosa che possa attirare più facilmente l’attenzione, mi chiedo che senso abbia produrre una comedy molto teen, che evidentemente non riuscirà a interessare davvero i fan della vecchia serie (ormai cresciuti), e che allo stesso tempo non rappresenterà chissà quale valore aggiunto per spettatori e spettatrici più giovani che l’originale sanno a stento cosa sia.

Poi certo, tutto sto pippotto sarebbe stato molto diverso se, dopo aver visto 2-3 episodi della nuova Saved By The Bell, io fossi stato trascinato da una scrittura sopraffina e interpretazioni da Emmy. Solo che (spoiler) non è stato così.
La nuova serie – creata da Tracey Wigfield (ex produttrice di The Mindy Project) e diretta al servizio di streaming di NBC, Peacock (che finora non ha certo sfornato capolavori) – è un sequel diretto della vecchia, dalla quale tornano diversi personaggi. Gli unici a fare parte fissa del cast sono Mario Lopez, buon vecchio Slater diventato coach della squadra di football del liceo, ed Elizabeth Berkley, alias Jessie Spano, che dopo Saved By The Bell aveva iniziato una carriera cinematografica nel segno dell’erotismo d’autore (con Showgirls di Paul Verhoeven), e che qui riprende il vecchio ruolo dopo una carriera non particolarmente brillante.

La serie passa dalla comedy multicamera a quella single camera, è ambientata nello stesso liceo, ma inserisce il twist etnico-progressista-inclusive tipico di questi tempi: la protagonista dello show, che parla in macchina come faceva il buon Zack Morris dei tempi, è Daisy Jiménez (Haskiri Velazquez), una ragazza in gamba e volonterosa, a tratti un po’ ingessata, che insieme ad altri ragazzi dei quartieri popolari viene integrata forzatamente al Bayside a causa della politica di tagli all’istruzione voluta dal Governatore della California, che è proprio Zack Morris, come sempre interpretato (nel pilot e non so per quante altre puntate, ma poche) da Mark-Paul Gosselaar.
Tema portante della nuova serie, dunque, è la messa in scena di classiche situazioni liceale e adolescenziali, con l’aggiunta dello scontro etnico-sociale che, trattandosi di una comedy, finisce spesso a tarallucci e vino fra piccole litigate e successive riappacificazioni.

Ora, cosa c’è che non va in Saved By The Bell? Beh, un po’ tutto, con alcuni dettagli specifici.
In generale, non è un sitcom dalla scrittura particolarmente ficcante. C’è qualche battuta più riuscita, qualche altra meno, e la sensazione generale è quella di un livello comico medio, che probabilmente non era tanto più elevato nella serie originale, ma là non doveva scontrarsi con decine di altre offerte seriali che ogni giorno ci martellano il cervello.
Ma come detto, ci sono anche altri elementi che mi hanno generato una discreta sensazione di fastidio, a partire dalla sigla che vuole riprendere quella vecchia dandogli una riammodernata, e risultando semplicemente più brutta, come spesso capita in questi casi.
Oltre a questo, c’è il trattamento del personaggio di Zack Morris, protagonista della vecchia sitcom: ci mostrano Zack nel ruolo di Governatore, ma soprattutto lo descrivono come un completo imbecille. Il che è un tradimento totale del personaggio originale, che era sì un ragazzo ricco e fannullone, ma era tutto tranne che un idiota. Anzi, era un giovane di talento, simpatico, capace di empatia, e che poi seppe andare all’università e farsi valere. Il suo fascino stava proprio nel fatto di essere un po’ ribelle, ma anche una persona di valore. E qui lo ritroviamo come un demente assoluto, per puri motivi comici di cui, nello specifico, non c’era così bisogno.

Il figlio di Zack e Kelly (Tiffani Thiessen) frequenta il Bayside, ed è la versione peggiorativa del padre (o per lo meno del padre come lo conoscevamo): biondo e donnaiolo come lui, ma anche infinitamente più stupido e superficiale. E il motivo, giusto per arrivare all’altro elemento che stona, sta nel fatto che la componente inclusive è stata fin troppo caricata. Per dirla nel modo più semplice possibile: in Saved By The Bell tutti i neri e gli ispanici sono studenti di grande valore e doti nascoste che aspettano solo di essere scoperte, mentre i bianchi ricchi (studenti e genitori) sono tutti cretini e/o razzisti inconsapevoli (con l’eccezione di Jesse, dispensata per meriti pregressi).
Ora non voglio calcare troppo la mano su questo punto, primo perché probabilmente la cosa si sfumerà negli episodi successivi che non ho visto, e secondo perché il tema è delicato e non mi va di alimentare polemiche in cui nemmeno credo (insomma, non vorrei passare per strenuo difensore dei bianchi che Gesù, non me ne frega niente).
Allo stesso tempo, se devo valutare la costruzione narrativa e il peso volutamente politico di certe scelte, mi sembra che in Saved By The Bell si sia esagerato, cavalcando un’onda pure meritevole ma che in questo caso raggiunge esiti così vistosi da essere quasi grotteschi.
L’intento è evidentemente quello di creare tensione e comicità a partire da una disparità economico-sociale, prima ancora che razziale, il che non sarebbe nemmeno un’idea così astrusa (anzi, è quasi banale). Il problema arriva quando quella disparità dà vita a due blocchi contrapposti, praticamente senza sfumature, che perdono così spessore rivelando la loro natura di semplici strumenti per la veicolazione di un messaggio. Troppo sfacciato, poco interessante.

Insomma, non ho intenzione di andare avanti a guardare questa cosa. Non mi sembra una gran comedy, a parte qualche piccolo sprazzo più divertente, ma comunque troppo isolato. Tradisce senza motivo alcuni tratti importanti della psicologia dei vecchi protagonisti. Porta avanti un discorso politico che di per sé ci può anche stare, ma che viene sviluppato in modo grezzo e prevedibile.
Diciamo che Peacock deve proprio darsi una svegliatina, sennò, come abbiamo detto nell’ultimo podcast, finirà per diventare solo lo sgabuzzino seriale di NBC.

Perché seguire Saved By The Bell: uno o due episodi, se siete fan della vecchia serie, possono trasmettere una qualche nostalgia.
Perché mollare Saved By The Bell: Perché anche quella nostalgia è falsata da un trattamento mediocre dei vecchi personaggi, senza l’aggiunta di novità di particolare rilievo.




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