29 Maggio 2024

Tires – Su Netflix una serie già vecchia di Diego Castelli

Quella che voleva essere la The Office dei gommisti sembra più una comedy volgarotta, con poco slancio, e un brutto odore di stantio

Pilot

Sono ormai diversi anni che mi ritengo un discreto appassionato di stand up comedy americana. Senza minimamente pensare di esserne un vero esperto, si tratta però di dedicare un tempo leggermente superiore alla media all’ascolto di monologhi, speciali, comparsate televisive, di quella folta schiera di comici che, negli Stati Uniti soprattutto, lavorano piazzandosi davanti a un microfono, senza ulteriori artifici e trucchi, per raccontare storie, sparare battute a raffica e, quando va proprio bene, aprirci la mente con punti di vista inediti sulla realtà di tutti i giorni.

Per questo ero abbastanza ottimista nel prepararmi alla visione di Tires, nuova serie comedy di Netflix creata da Shane Gillis, John McKeever e Steve Gerben. Perché al netto di un trailer abbastanza divertente (spoiler, ingannevole), ero attirato proprio dai nomi coinvolti: Gillis è uno stand up comedian di cui mi è capitato più volte di vedere dei pezzi, trovandoli spesso molto riusciti, e nella serie compare anche Andrew Schulz, comico newyorkese molto irriverente annoverabile fra i migliori “nuovi volti” degli ultimi anni.

Ecco, tutte speranze andate zampe all’aria nel momento in cui Tires si è rivelata una serie molto più moscia del previsto.

Se avete ascoltato la relativa puntata del nostro podcast Salta Intro, avrete sentito che annunciavamo Tires come una potenziale “The Office dal gommista”.
Non perché Tires si presentasse con la medesima impostazione visiva (banalmente, non è un mockumentary, non ci sono le interviste ai personaggi e via dicendo), ma perché sembrava voler riproporre lo stesso concetto di comicità sul posto di lavoro, in un ambiente pieno di personaggi buffi e molto caratterizzati.

Così effettivamente è, almeno nelle intenzioni, perché quelle che seguiamo sono le peripezie di un gruppo di gommisti/meccanici capitanati da Will (interpretato da uno dei creatori, Steve Gerben), che vuole fare di tutto per dimostrare al padre, padrone del negozio e di vari altri punti vendita, che può gestire le cose paterne con abilità e intelligenza.

Solo che Will di abilità e intelligenza ne ha poche: nel pilot si trova a comprare per errore un’enorme partita di gomme, e tutto il resto della prima stagione (la serie è già stata rinnovata per una seconda) è incentrato sui tentativi sempre più estremi di salvare il negozio aumentando le vendite.
Ad aiutare Will ci sono dei dipendenti (a cominciare da Shane, impersonato dall’altro creatore Shane Gillis) che più che “aiutarlo” gli mettono più o meno volontariamente i bastoni fra le ruote, o perché si sentono minacciati da certe sue strambe idee, o semplicemente perché non sono in grado di comportarsi da professionisti nemmeno per cinque minuti.

Parlare della comicità di Tires significa non solo farne un’analisi dello stile e dare eventualmente un giudizio sulla resa finale, ma anche rendersi conto, forse, di un posizionamento culturale e politico.

Tires infatti è una serie con protagonisti quasi tutti uomini, con le donne relegate a posizioni di contorno da cui escono quasi sempre male (o sono stupide-e-basta, o sono gnocche senza testa, o sono mogli fastidiose, o sono pedanti burocrati), e in cui i personaggi principali sono dei grezzoni volgarotti e sgraziati, che sembrano trarre particolare piacere dal fatto di essere… dei grezzoni volgarotti e sgraziati.

In realtà, parte della vicenda vede proprio Will impegnato nel tentativo di dare al negozio un aspetto e un’anima più inclusivi, più rispettosi delle donne e quindi più appetibili a un pubblico più vasto rispetto al solito.
Solo che i suoi sottoposti, ma alla fine anche lui stesso, faticano proprio a entrare in quest’ottica, e ogni tentativo di essere professionali e presentabili si trasforma in un susseguirsi di figuracce da boomer.

Ora, si potrebbe pensare che il fatto che i personaggi principali ne escano così male sia lo specchio di una precisa intenzione sarcastica verso di loro, ma temo che sia una visione ottimista.
In realtà, facendo un parallelo nemmeno troppo difficile fra le vicende lavorative dei nostri gommisti e il contesto più generale in cui la serie si inserisce, l’impressione vera è che Tires voglia essere una serie “di resistenza”, un baluardo della comicità che fu, un porto franco dove poter fare insistite battute a sfondo sessuale, doppi sensi da osteria e prolungate sessioni di amplessi simulati, sfidando l’odiata “PC Police”, la polizia del politicamente corretto.

Ecco, se ci seguite da un po’, e se ci ascoltate nel podcast, sapete già bene che non siamo granché schiavi del politicamente corretto e che non ci facciamo troppi problemi, quando serve, a coglierne le storture.
Ma con Tires, semplicemente, l’operazione non serve, ed è pure riuscita male.

Nel complesso, se l’intento era davvero quello di posizionarsi culturalmente e politicamente, non si sentiva il bisogno di una serie che “bilanciasse” l’esistenza di titoli dichiaratamente woke con un prodotto così orgogliosamente reazionario, semplicemente perché già ora il panorama seriale complessivo offre ogni tipo di contenuto, senza particolare necessità di uno show che faccia gne gne gne in faccia a prodotti più moderni.

Ma se anche io mi stessi sbagliando, se anche questo intento consapevolmente politico non esistesse e fosse solo un parto della mia mente, non toglierebbe il fatto che Tires, molto banalmente, non fa ridere. Magari strappa tre-quattro risate nel corso di sei episodi, quando l’insistenza di certe battute grevi diventa così pronunciata da farti scuotere la testa con un sorriso, come può capitare di fronte a un amico ubriaco che si copre bonariamente di ridicolo.

Il problema è che a mancare sono proprio le idee, le invenzioni, la capacità di offrire qualcosa che non sia solo una specie di Boldi-De Sica ormai fuori tempo massimo. Intendiamoci: una comicità di livello e che sia anche molto maschile e consapevolmente irriverente rispetto alle idiosincrasie dell’attivismo contemporaneo, è assolutamente possibile, e ci sono tanti comici in grado di reggerla con grande efficacia (penso a Bill Burr, Dave Chapelle, ma anche a un fuoriclasse nostrano come Eleazaro Rossi). Però appunto, bisogna saperla fare.
Tanto più che se ci mettiamo effettivamente a fare un confronto con serie come The Office, ci accorgiamo immediatamente come Tires, che arriva quasi vent’anni dopo, sembri in realtà girata vent’anni prima.

Come accennato, la serie è stata già rinnovata per una seconda stagione, e se andate su imdb o su Rotten Tomatoes troverete buone recensioni da parte del pubblico e pessime da parte della critica. Lascio a voi il compito (non semplice) di capire quanta parte di queste opinioni degli uni e degli altri venga da un’effettivo giudizio personale sulla serie, e quanto da un posizionamento o controposizionamento valoriale rispetto a quello che assume.

Devo ammettere però che suona bizzarro immaginare sulla stessa piattaforma l’ultima stagione di Sex Education, inclusiva al punto di perdere qualunque realismo precedente, e una cosa come Tires. Ma per i cortocircuiti, le ipocrisie e le giravolte delle piattaforme, sempre attente a stare dappertutto, piacere a tutti, e strizzare l’occhio a chiunque, servirebbe un altro articolo.

Perché seguire Tires: se vi piace quella comicità che, più che sitmolarvi il cervello, lo seda.
Perché mollare Tires: è una serie vecchia e reazionaria che non rende giustizia alla capacità comica di alcuni suoi interpreti.



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