10 Ottobre 2012 2 commenti

Dai creatori di Will & Grace: Partners di Diego Castelli

Ma non esagerate con l’entusiasmo

Copertina, Pilot

Hanno provato a deviare verso i padri sboccati che mettono in imbarazzo i figli, ma ora hanno deciso di tornare al loro cavallo di battaglia.
Parliamo di David Kohan e Max Mutchnick, creatori di un cult generazionale come Will & Grace, e poi di un prodottino stupidino e subito chiuso come Shit My Dad Says. Con Partners, la coppia di sceneggiatori e produttori torna all’antico, a quei temi e quelle dinamiche che gli consentirono di portare a casa sedici Emmy con la loro serie più famosa.

Io non sono un grandissimo esperto di Will & Grace, ma le somiglianze con Partners sono lampanti: ancora una volta abbiamo due protagonisti, uno omosessuale e l’altro no, che condividono una strettissima amicizia e dividono lo stesso spazio (là era un appartamento, qui il luogo di lavoro). Accanto ai due (interpretati dalle facce note di David Krumholtz e Michael Urie) abbiamo ancora una volta due comprimari principali (Brandon Routh e Sophia Bush) coi quali ricreare quel quadrato che tanta fortuna aveva portato a Debra Messing e compagnia.

Se la struttura è la stessa, lo stile non si discosta molto: le questioni lavorative si intrecciano a quelle sentimentali, il tutto colorato da battute e frecciatine non troppo politically correct, con grande attenzione al ritmo elevato dei dialoghi e dei jokes. Ovviamente, larga parte della comicità è affidata alle dinamiche omo-etero di Louis e Joe, insieme a una stereotipizzazione piuttosto marcata della femminilità del primo (femminilità che Urie sfoggiava già in Ugly Betty, anche se in modo volutamente più irritante). Diciamoci tutta la verità: sarebbero in molti a lamentarsi di una rappresentazione dell’omosessualità così caricaturale, se non fosse che i creatori della serie sono gay a loro volta, e quindi hanno il permesso di scherzarci su come gli pare.

I primi due episodi non sono male. Si ride e si sorride, e le ventine di minuti scorrono abbastanza piacevolmente tra equivoci e doppi sensi.
Il vero problema, per i serialminder dalla memoria più lunga, è che il confronto con Will & Grace è impietoso. La vecchia serie, datata 1998, non era solo nuova e fresca dal punto di vista dello stile comico: era prima di tutto originale e sfrontata dal punto di vista dei contenuti. Non erano molti i prodotti televisivi in cui si parlasse di omosessualità in modo così schietto e senza peli sulla lingua, sapendo di andare contro molto perbenismo ma senza farlo minimamente pesare. Will & Grace “spaccava”, se mi passate il termine giovanilistico che mal si abbina al mio stile di vita: spaccava perché faceva molto ridere, ma soprattutto perché parlava di cose di cui parlavano in pochi, in un modo che non usava nessuno. E quindi ecco arrivare i premi emmy e la gloria imperitura.
Inutile dire che, riproposto pari pari quattordici anni dopo, questo stesso schema non fa più lo stesso effetto. Se Partners, così com’è, fosse iniziato alla fine degli anni Novanta, avrebbe rappresentato una boccata d’aria fresca. Ora invece sa clamorosamente di già visto, e se questo non basta per bocciarlo, d’altro canto non è sufficiente a promuorvelo con chissà quale lode.

C’è però anche un altro problema: il casting funziona solo per metà, se non per un quarto. Uno dei motivi del successo di Will & Grace stava nella bravura dei due co-protagonisti: nel corso degli anni, Jack e Karen sono diventati quasi più famosi (forse senza il “quasi”) degli stessi Will e Grace, grazie alla loro comicità ruspante e senza pudore. Nel caso di Partners, è difficile immaginare un successo simile per Ali (fidanzata di Joe) e Wyatt (compagno di Louis). Sophia Bush è bellina da vedere e tutto sommato fa il suo, ma lo spettatore tende a dimenticare tutto quello che dice nel momento preciso in cui lo dice. All’altro lato del quadrato, Brandon Routh è uno degli attori più fuori parte che io abbia mai visto. L’ex Superman, protagonista di un brutto film su Superman, è davvero poco credibile nei panni dell’infermiere gay ex alcolista fidanzato con la checca isterica. Non sembra nemmeno provarci più di tanto, e si limita a fare il bestione di buon cuore ma non troppo sveglio che dovrebbe divertirci con… be’, non so nemmeno bene come. Le espressioni del volto sono giusto un paio e costante è la sensazione che si sia ritrovato improssivamente nella serie sbagliata.
Se poi considerate che a me non piace neanche Urie (dai tempi di Ugly Betty, voglio dire), avete capito che avrei scelto tre attori diversi su quattro.

Insomma, lo si può vedere, ci si può anche divertire, ma temo che stavolta di emmy awards non se ne parli propri. Anche perché gli ascolti non fanno presagire nulla di buono…

 

Perché seguirla: vi manca Will & Grace, e volete riassaporare almeno un po’ di quello stile.
Perché mollarla: vi manca Will & Grace, e non volete rovinarvi il ricordo.
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