27 Aprile 2017 1 commenti

Bates Motel series finale: tutto al suo posto di Diego Castelli

Serie tv che fanno esattamente quello che dovrebbero fare

Copertina, Necrologi, On Air

Bates Motel finale (2)

Non succede spesso che una serie tv migliori col tempo, né che arrivi a un series finale di cui poter dire “non poteva andare che così, niente da obiettare”.
Beh, è successo con Bates Motel.
Perché se è vero che fin dall’inizio c’erano pareri discordanti anche da queste parti (vedi la prima recensione assai negativa del Villa e la mia ribattuta di qualche settimana dopo) è pur vero che i primi passi di Bates Motel erano in qualche modo “generici”, raccontavano l’inizio di una storia molto famosa ma sembravano rimandare a un futuro indefinito (o magari a mai) gli elementi più sfiziosi di un racconto già diventato immortale grazie al buon Alfred Hitchcock. All’inizio, oltretutto, sembrava quasi un teen drama.

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Cinque anni dopo, a finale archiviato, ci si rende conto che Bates Motel è cambiata moltissimo, e che è diventata una grande serie nel momento in cui ha deciso di smettere di rimandare l’inevitabile, lavorando per davvero sulla definitiva trasformazione di Norman da ragazzino fragile e lacrimevole a serial killer completamente deviato.
Il senso di compiutezza che proviamo dopo quest’ultimo episodio è anche figlio della decisione di non fermarsi appena prima di Psycho, come all’inizio credevamo avrebbero fatto, ma di andare avanti, raccontando anche quegli avvenimenti e trovando per essi una strada più personale.

Certo, Bates Motel poteva anche finire con l’arriva di Marion all’albergo, magari un lento movimento di macchina ad allontanarsi, come a dire “vi abbiamo portato fino a qui, il resto lo sapete”.
Solo che la definizione del rapporto fra Norman e sua madre, lo scavo continuo e doloroso all’interno della complicata psicologia del protagonista, non poteva effettivamente finire così, col semplice rispetto per un vecchio capolavoro del cinema. E alla fine è stata la scelta più giusta: lungi dal voler lasciare qualcosa in sospeso, gli autori hanno invece voluto dare una chiusura che fosse addirittura più definitiva rispetto al film di Hitchcock, in cui Norman Bates finiva internato e sfoderava un primo piano inquietante diventato presto icona (nonché base per un paio di perdibili sequel cinematografici).

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Nell’ultimo episodio di Bates Motel, Norman si trova nelle mani di Romero, che vuole vendicare la morte di Norma e ormai non sembra avere altro piano se non quello di portare Norman in un bosco e farlo fuori. Non ci riesce, Norman ne rimane giusto un po’ tumefatto, uccide Romero e torna a casa.
Qui c’è il passaggio meno verosimile ma anche più importante di tutto il finale: è abbastanza irragionevole pensare che Norman, inseguito da tutta la polizia del paesello, possa tornarsene al motel come se niente fosse, senza trovare manco una volante a piantonare la zona. Allo stesso tempo, gli autori ci chiedono di compiere questo piccolo salto logico in nome della possibilità di dare l’ultima accelerata alla follia di Norman.
Dopo la morte di Romero, infatti, la madre che gli vive nel cervello dice di volerlo salutare, perché ormai non c’è più alcun segreto da cui debba proteggerlo, visto che sa tutto quello che è successo a lui e alla sua famiglia. Ma Norman non ci sta, e in una specie di scatto d’orgoglio autolesionista decide di impazzire-ancora-di-più, cancellando dalla propria mente gli ultimi infelici anni e tornando ai giorni in cui, per la prima volta, lui e sua madre mettevano piede nella nuova casa, iniziando una nuova avventura.

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Purtroppo per lui, non può che essere una breve illusione. Se la polizia non arriva, c’è però Dylan, che pur coltivando un sentimento di protezione verso il fratellino malato e bisognoso di cure, non può nemmeno permettere che faccia quel che vuole. Eccolo, sull’orlo della crisi matrimoniale, che si precipita al Motel dopo aver ricevuto una folle chiamata dal fratello, che mostrava di non ricordare nulla degli ultimi avvenimenti.
Quando Dylan arriva sul posto, ci trova un Norman pronto a cenare insieme a lui e alla madre, la madre quella vera, parzialmente dissotterrata da Romero e definitivamente riesumata da Norman, che la piazza a capotavola in tutta la sua gloria cadaverica. Ovviamente Dylan sbrocca e vomita sul pavimento.
Il resto, come detto, è inevitabile: Norman cerca fino all’ultimo di tenere in piedi la sua illusione, al punto di tentare di uccidere il fratello che a quell’inganno si oppone strenuamente. Non ci riesce e Dylan gli spara, ponendo fine alla serie e alle sue sofferenze.

Le ultime scene, dopo che Norman ha ringraziato Dylan per avergli permesso di ricongiungersi con la madre, sono libere dal peso della tragedia: Dylan può finalmente godersi la sua famiglia, e Norman può riposare per l’eternità accanto alla madre, sulle note di “Dream a Little Dream of Me”. Interessante anche il dettaglio della doppia lapide: sotto il nome di Norma ci sono le parole dolci del figlio, mentre sotto il nome di Norman non c’è niente, quasi a simboleggiare che la sua vita era praticamente già finita al momento della scomparsa della madre.

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L’impressione finale è dunque quella di un esperimento riuscito. In questi anni di sequel, remake e reboot, in cui studios e reti televisive puntano a stuzzicare gli spettatori usando mondi e miti che già conoscono e amano, Bates Motel è stata in grado di superare l’inevitabile scetticismo riservato a operazioni di questo tipo, trovando una sua cifra, lavorando molto sul talento di due ottimi interpreti (Freddie Highmore e Vera Farmiga), e soprattutto sapendo dove iniziare e dove finire, risparmiandoci inutili lungaggini e riuscendo a darci il senso di una piena chiusura.
E alla fine, come sempre succede quando seguiamo per lungo tempo personaggi ben scritti, proviamo un malinconico senso di distacco e un inquietante affetto per il pluriomicida, cosa che ai tempi di Psycho, per mille motivi, non succedeva. Il motivo, banale se vogliamo, è che questo Norman l’abbiamo visto crescere, abbiamo conosciuto pian piano l’oscurità nascosta nella sua mente e l’abbiamo anche applaudito mentre cercava invano di combatterla. Nell’ineluttabilità del suo destino, e nel sollievo per il fatto che non sarà più in giro a far danni, abbiamo però percepito la sua umanità, e sappiamo che sto povero ragazzo avrebbe meritato maggior fotuna.

RIP

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