31 Gennaio 2023

Poker Face – Il bel giocattolo di Rian Johnson e Natasha Lyonne di Diego Castelli

Poker Face potrebbe essere la miglior serie di Peacock finora. Daje.

Pilot

La prima volta che abbiamo sentito parlare di Poker Face, le nostre aspettative erano tese fra due estremi: da una parte, l’interesse per una serie ideata da Rian Johnson, regista e sceneggiatore reduce dai successi di Knives Out e del suo seguito ideale, Glass Onion, con l’aggiunta di una Natasha Lyonne che a Serial Minds non ha mai trovato estimatori “totali”, ma che è una che sa scegliersi bene le parti; dall’altra, la paura di vedere quel materiale umano sprecato da Peacock, la piattaforma streaming di NBC che in questi primissimi anni di vita ha prodotto alcune cose dignitose, una discreta quantità di ciofeche, e praticamente nessun titolo memorabile.

Ebbene, le notizie sono buone: così a occhio, Poker Face si candida ad essere effettivamente la miglior serie finora prodotta da Peacock (non abbiamo ancora una data italiana di messa in onda, ma in teoria dobbiamo tenere d’occhio Sky), grazie a un’impronta autoriale forte, unita però a una certa consapevolezza generalista che svela la parentela con NBC, garantendo un intrattenimento molto riconoscibile ma anche largo, aperto a gusti diversi.

Passo indietro. Poker Face racconta di Charlie Cale (Natasha Lyonne), una donna come tante che incontriamo mentre lavora come cameriera in un casinò, ma che ha pure un talento tutto speciale, al limite del superpotere: se una persona dice una bugia, lei se ne accorge, con precisione soprannaturale.

Ovviamente, quello di Charlie è un dono ma anche una condanna, un’abilità che può risolvere molti impicci, ma anche farla precipitare in un sacco di guai, cosa che puntualmente avviene.
Senza dare troppo dettagli, il risultato è una protagonista in fuga, costretta a viaggiare per l’America e a imbattersi in una nuova situazione spinosa a ogni episodio, secondo uno schema che diventa ben presto un format molto preciso.

Sì perché la dinamica è sempre la stessa: in un punto imprecisato degli Stati Uniti viene commesso un delitto, e i primi minuti di ogni episodio servono a descriverci con precisione questo delitto. Poi (anzi, tecnicamente “appena prima”), Charlie arriva sul posto, col suo bagaglio di problemi tutti personali, e finisce in qualche modo invischiata nel crimine, intorno al quale fa partire una vera e propria indagine.

Perché di Charlie, finora, abbiamo detto solo del suo “potere”, omettendo però altri dettagli importanti: è sveglia, intelligente, furba, e ha un forte senso della giustizia. È anche una totale grezzona, per certi versi, ma è una che di fronte al Male non sa stare ferma, non sa voltare le spalle, anche quando voltarle aumenterebbe le sue chance di rimanere viva.

Messa in scena e fotografata con un certo gusto retrò, a partire da un titolo scritto in caratteri da vecchia Hollywood, Poker Face ha dunque un’anima profondamente vintage.
Ogni posto dove Charlie va si tinge di sangue, come se fosse una menarogna tipo Signora in Giallo. Indaga su crimini di cui sappiamo tutto, lasciandoci il piacere di vedere come ne uscirà, come col Tenente Colombo. Si muove su una trama orizzontale che la rende una specie di solitaria giustiziera, ma che consente la scrittura di puntate molto verticali, con un caso che inizia e finisce e la possibilità di infilare qualche guest star di richiamo (nel primo episodio c’è Adrien Brody), come se fosse… beh una qualunque serie anni Ottanta, alla A-Team o MacGyver.

Insomma, che NBC sia la mamma di Peacock si vede: lungi dal creare uno show per iniziati, lento e pesante, “da cable tv”, Rian Johnson scrive un prodotto che, con qualche accorgimento (tipo episodi più corti) potrebbe stare tranquillamente anche sulla generalista a giocarsi le sue chance nella feroce competizione dei palinsesti, perché può piacere a un pubblico ampio, a cominciare dai tantissimi amanti del giallo light, quello che ti stuzzica con il suo gioco degli indizi, senza importi scene troppo pesanti o atmosfere esageratamente cupe.

E se questa è l’impostazione di base, molto pensata e granitica, c’è poi un’apprezzabile cura nel dettaglio.
Natasha Lyonne, che da queste parti avevamo apprezzato parecchio in Orange is The New Black e meno in Russian Doll, torna a fare quello che sa fare meglio, cioè un personaggio a metà fra intelligenza e disagio, fra carisma e cialtroneria. Una che ti sta simpatica perché capisci che è una brava persona ma anche perché, contemporaneamente, non te lo fa pesare troppo.

Dal punto di vista della scrittura gialla, poi, i primi quattro episodi (gli unici usciti mentre scrivo queste righe) funzionano alla perfezione. Come detto, qui il tema non è capire chi è l’assassino, quanto divertirsi nel vedere come Charlie arriverà a scoprirlo. Un gioco che in parte funziona per la semplice, classicissima raccolta degli indizi, con i quali anche noi possiamo provare a capire dove e come arriverà la svolta dell’indagine. E in parte per l’elemento “”supereroistico”” (ho messo quattro virgolette per non sbagliare): una certa dose del divertimento dello show sta nell’aspettare il momento in cui questo o quel personaggio si tradirà, dicendo una bugia che Charlie beccherà all’istante.

In pratica, mostrandoci il delitto prima che la protagonista entri nella sua orbita, Rian Johnson conferisce a noi lo stesso potere di Charlie, perché ci mette nella condizione di sapere (esattamente come lei) quando un personaggio sta sicuramente mentendo. E quante volte vi è capitato di guardare le avventure di un’eroina di cui condividete i poteri?

Insomma, Poker Face è una serie apparentemente semplice, dritta, facile, ma dietro la quale c’è un gran lavoro. Di scrittura, di casting, di regia (guardate il modo sempre sottile e mai pacchiano in cui gli indizi vengono messi di fronte agli occhi degli spettatori), ma soprattutto di posizionamento, di costruzione di una storia e di un meccanismo narrativo che possa essere riconoscibile ma anche soddisfacente in più iterazioni.

La vecchia scuola che si unisce alla nuova, per consegnarci un prodotto che diverte e incuriosisce. E dopo i primi quattro episodi, ne arriverà uno a settimana. Come Gesù bambino vorrebbe.

Perché seguire Poker Face: è una serie che unisce in modo furbo le caratteristiche di diverse epoche televisive.
Perché mollare Poker Face: se siete amanti della vera orizzontalità, più che dei casi di puntata, Poker Face potrebbe sembrarvi un po’ troppo vintage.



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