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Empire – Intrighi hip hop a tanto così dalla soap opera

Empire è faide, lotte intestine e famigliari nel mondo hip hop.

di Marta Blumi Tripodi | il 14 gennaio 2015 | 3 Commenti
Copertina Pilot

empire-lee-daniels-danny-strong

Nel 2012 debuttava sui teleschermi americani Nashville, serie prodotta da ABC e incentrata sulla vita e sulla carriera di alcune ipotetiche star della musica country. A scommettere sul suo successo erano in pochi: l’argomento rischiava di interessare solo una fascia ristretta del pubblico americano (per non parlare della difficoltà nell’esportarlo all’estero, visto che si tratta di un genere musicale che in Europa e in Asia non si fila nessuno). Contro ogni previsione, però, Nashville si è rivelato un prodotto più che dignitoso su tutti i fronti, anche su quello degli ascolti, tanto che è arrivato alla terza stagione e probabilmente verrà rinnovato per una quarta. La carta vincente è stata senz’altro la colonna sonora, affidata ai migliori songwriter country in circolazione, che hanno sfornato una potenziale hit dopo l’altra in esclusiva per la serie.

Visto il successo dell’esperimento, viene spontaneo il sospetto che qualcuno abbia pensato di provare a replicarlo anche per la musica hip hop. Empire, prodotta in questo caso dal pluripremiato regista Lee Daniels (Monster’s Ball, Precious) per Fox, racconta le vicende di un’omonima etichetta fondata da un rapper underground di Philadelphia e diventata poi una multinazionale della musica. Alla vigilia del debutto in borsa della sua casa discografica, e dopo aver scoperto che gli restano pochi anni da vivere, l’ormai ex rapper si trova a dover decidere quale dei suoi tre figli erediterà la guida della società: il maggiore (manager serissimo e capace), quello di mezzo (cantante R’n’B la cui carriera è in stallo perché si è scoperto gay e ha paura di farlo sapere ai suoi fan) o il minore (rapper promettente, ma svogliato e indisciplinato)? E come gestire la sua ex moglie, che si è fatta 17 anni di galera per coprire i trascorsi criminali del marito e ora minaccia di rivelare a tutti che l’etichetta è stata fondata grazie ai proventi del traffico di droga?

empire

Personaggi e vicende sono chiaramente ispirati a persone realmente esistenti. Lucius Lyon, il CEO dell’etichetta, assomiglia molto a Jay-Z, anche lui passato da spacciatore a rapper a possessore di un impero finanziario. Il giovane Jamal è ovviamente Frank Ocean, che ci ha messo anni prima di ammettere di essere gay. Il giovanissimo Andre potrebbe essere un qualunque figlio di rapper degli anni ’90 (a fare musica ci hanno provato tutti, dal figlio di Master P a quello di Snoop Dogg, ma chi te lo fa fare di passare le tue giornate chiuso in studio se papà ti ha regalato una Ferrari e una villa con piscina?). E la storia di Cookie Lyon, l’ex moglie, ricorda molto quella di Lil Kim, che anni fa passò un bel po’ di tempo in prigione per essersi rifiutata di testimoniare contro un membro della sua crew accusato di omicidio.

Empire

 

Insomma, sulla carta Empire avrebbe tutto per appassionare i fan dell’hip hop, eppure nel pilot c’è qualcosa che non convince. Nel tentativo di farlo piacere a tutti, comprese le casalinghe di Milwaukee che quanto a cultura urban non vanno oltre Beyoncé, è stato reso un po’ troppo patinato: luci, dialoghi, situazioni, personaggi… Se ami il rap i tuoi riferimenti cinematografici sono film come Ghostdog, La Haine, Poetic Justice e un prodotto di questo tipo, anche se ben fatto, rischia di sembrarti una telenovela. E se l’effetto soap opera si sposa bene con il country, con il rap è un altro paio di maniche. Anche le canzoni prodotte appositamente per la serie, oltretutto, finora sembrano un po’ mosce: e dire che dietro c’è Timbaland, il re Mida dell’hip hop, che di solito trasforma in oro tutto ciò che tocca. Non resta che sperare nel cliffhanger con cui si chiude il primo episodio, che se sviluppato bene dovrebbe rendere il seguito un po’ più promettente.

Perché seguirla: Perché il secondo episodio potrebbe essere meglio del primo, e speriamo che il terzo sia meglio del secondo e così via.

Perché mollarla: Una mezza telenovela su Fox, che delusione! Per gli appassionati di cinema urban molto meglio ripiegare sulla bellissima Power, prodotta da 50 Cent e in onda su Starz.

Taggato con: hip hopNashvillepower



  • nicola83

    Avere un che di telenovela secondo me non è male per una serie così, la rende più appassionante.

  • Lily

    Giusto per curiosità, ho continuato a seguire questa serie e, adesso che siamo al sesto episodio, posso dire che…mi piace! Molto dipende dalla colonna sonora estremamente catchy (passatemi sto termine, non so come renderlo in italiano) di Timbaland, ma soprattutto ci sono due personaggi chiave che sono Cookie, protagonista femminile ex ragazzaccia del ghetto, e Jamal, il figlio cantante prodigio che (finalmente) distrugge un po’ di cliché sul mondo gay (un esempio calzante, quando tira 4 schiaffi – giustamente – al fratello rapper). A quanto ho capito è la serie rivelazione dell’anno della Fox in termini di ascolti…secondo me al momento merita…

  • Duke

    però in effetti è un po’ troppo patinata e pure l’uso dei flashback è davvero grezzo per un prodotto così alto. Se i protagonisti abbandonassero man mano i ruoli da macchietta potrebbe diventare grandiosa

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