21 Giugno 2011 2 commenti

Falling Skies di Andrea Palla

Il Dott. Carter che combatte gli alieni di Spielberg!

Copertina, On Air, Pilot

Vi confesso che qui in redazione eravamo particolarmente scettici su questo Falling skies, serie fantascientifica creata da Robert Rodat e prodotta da Steven Spielberg, partita domenica sera sulla rete TNT. Lo eravamo per tanti motivi. Primo, la serie riportava sullo schermo una vecchia conoscenza, quel Noah Wyle che nei nostri cuoricini di appassionati seriali aveva lasciato il segno grazie alla lunga e convincente interpretazione del Dott. Carter, una delle colonne portanti di ER. Quando associ un volto a un personaggio per così tanto tempo, diventa poi difficile abituarsi all’idea che quello specifico attore non sia il personaggio che ha intepretato per anni, e quindi il rischio di non poterlo apprezzare nei panni di un personaggio differente (o, peggio, la paura che non riesca a discostarsi da quello che l’ha reso celebre) erano elevate. Così per fortuna non è, e Wyle, che in Falling skies tratteggia un professore di storia deciso ad ogni costo a ritrovare il figlio rapito dagli alieni, risulta credibile in una parte profondamente diversa da quella a cui ci aveva abituato. Gli alieni, appunto: il secondo motivo di scetticismo. Falling skies è essenzialmente una serie sugli extraterrestri, una sorta di Guerra dei mondi spalmata su più episodi (per ora dieci), e il rischio di dover necessariamente confrontarsi con un tale colosso della fantascienza era grande e pericoloso. E in effetti va detto che il pilot non si allontana molto dai temi tipici di questo genere di pellicole, né dai personaggi tradizionali a cui letteratura e cinema ci hanno abituato. Abbiamo l’idealista, il combattente, il sognatore. Abbiamo i padri di famiglia che per amor dei figli andrebbero in capo al mondo (se ancora ci fosse un mondo) pur di garantire la loro protezione. Abbiamo i militari cinici e disincantati, che sacrificano i sentimentalismi in ordine di una struttura gerarchica superiore: il vecchio motto del “sacrificarne uno per salvarne cento”.
In questo senso l’inizio della serie non è esaltante, ma le brevi carrellate sui personaggi e sulle dinamiche che muovono il loro gruppo servono solo come introduzione a storie che apparentemente si riveleranno più corpose. Già il secondo episodio (domenica ne sono stati trasmessi due) assume un’identità più definita, e sposta lo scenario dalla semplice lotta tra umani e alieni a quello di una guerra più ampia combattuta tra umani stessi. Se è vero che il nemico è una forza tangibile ma oscura, è altrettanto vero che nella rivoluzione attuata da Tom e compagni esistono guerrieri solitari che in nome della propria sopravvivenza fanno saltare ogni possibile legame con gli altri essere umani, al fine di portare a casa il proprio culo senza doversi preoccupare di quello altrui.

Già da queste prime battute, Falling skies ricorda molto da vicino concept simili a quelli di film come Terminator o di serie come The walking dead, recente e fortunato prodotto AMC in cui i cattivi non sono viscidi omini verdi, ma zombie assetati di sangue. In questo secondo caso il nemico viene dall’interno, è un’infezione che si propaga fino a distruggere lentamente l’umanità e a trasformare la realtà in uno scenario apocalittico e decadente. Cambiate il nemico, ma la sostanza non si modifica. Anche in Falling skies ci troviamo su un pianeta Terra ormai regredito ad uno stadio primordiale, dove i sopravvissuti si riuniscono in sparuti gruppi di combattenti decisi a non morire e a scovare il modo di fermare gli invasori. Occorre costruire nuove gerarchie, far sì che i più intelligenti si pongano al comando e i più forti imbraccino i fucili, in un continuo rimando alle rivoluzioni storiche di cui il personaggio interpreto da Wyle è fiero conoscitore. Non c’è nulla dell’avanzata tecnologia o della subdola infiltrazione attuata dai Visitors: stavolta gli alieni sono esattamente come letteratura insegna, viscide creature verdastre a sei zampe, supportate da robot avanzati che fanno il lavoro sporco sterminando i pochi umani rimasti in nome della conquista globale del pianeta. A tal proposito occorre fare un appunto sugli effetti speciali, a mio parere grave pecca di una serie tutto sommato ben diretta e interpretata. La realizzazione in CGI delle creature aliene è pessima, il che è curioso considerato il fatto che ci troviamo davanti ad un prodotto interamente dedicato a loro. Probabile che Spielberg abbia abbracciato il progetto tenendo però un budget ben più corposo per l’altra attesissima serie di cui sarà portavoce, ovvero Terra Nova.

Fuori da queste considerazioni, c’è poco altro da dire su queste prime puntate, che servono da introduzione piuttosto che come reale sviluppo dell’intreccio. La sensazione complessiva è che gli attori possano dar tanto (oltre a Noah Wyle, troviamo anche un nome come quello di Will Patton), ma dovranno essere supportati da storie che vadano al di là del semplice e ripetitivo schema del combattimento uomini-alieni. C’è da dire che nel secondo episodio si è intravista una cosa  interessante: un’indagine molto “umana” sulla psicologia aliena, con cattivi che si disperano e si emozionano come noi quando messi di fronte all’idea della morte. Andare a decomporre il nemico avvicinandone movimenti e gesta a quelli umani potrà servire a rendere più precisa l’analisi del ruolo che questi esseri ricoprono nella serie, e aiuterà a renderli più presenti, più vivi, esattamente come un’ampia branca della letteratura ci ha insegnato a fare. Si pensi per esempio ai libri di H.G.Wells o di Fredric Brown, opere in cui umanità e mondo alieno si fondevano rendendo universali certi comportamenti.

Le dieci puntate della prima stagione saranno presumibilmente sufficienti per concentrarsi su alcuni personaggi focali (Tom, i suoi figli, Weaver, il colonnello, la dottoressa), e forse per gettare le basi per un progetto più ampio, di volta in volta alimentabile con nuovi incontri e nuove pericolose situazioni. La battaglia personale di Tom alla ricerca del figlio perduto può essere solo un tassello di un mosaico più grande, che ci mostrerà la lenta e faticosa riconquista del mondo che ci appartiene, e che in Falling skies appare così tragicamente distante, così tragicamente lontano.

Previsioni sul futuro: Tom troverà suo figlio e lo riporterà a casa, ammesso che ci sia una casa.
Perché seguirlo:
perché è ben interpretato e le dinamiche del gruppo aprono diversi scenari drammatici.
Perché mollarlo:
perché non amate il genere e perché il rischio che sia troppo stereotipato ancora permane.



CORRELATI