21 Ottobre 2011 3 commenti

House senza Cuddy – S di Diego Castelli

Scopriamo se vale ancora la pena di seguire il nostro diagnosta preferito

Copertina, On Air

VABBE’ DAI, OVVIO CHE SI PARLA LIBERAMENTE DEGLI EPISODI PIU’ RECENTI…

Che dici, scusa? Va via la Cuddy? Ma va, non dir minchiate! Come “sul serio”? E adesso che si fa?

Questa, più o meno, fu la mia reazione di fronte alla notizia, qualche mese fa, che Lisa Edelstein non avrebbe partecipato all’ottava e ultima stagione di House. Voglio dire, non stiamo parlando dell’ultimo dei personaggi di contorno, una qualunque infermiera che vedi in due inquadrature e che se ne va dopo essere stata debitamente insultata dal miglior diagnosta dell’universo.
Sul piatto c’era il personaggio più importante dopo il protagonista, quello che negli anni, e soprattutto nel recente passato, ne ha influenzato pesantamente la condotta, nel bene e nel male. Una cosa che era già più che evidente, per esempio, al termine della stagione sei, e che il finale dell’anno scorso aveva ulteriormente sottolineato. Perché se non fosse stato per la Cuddy, difficilmente House avrebbe preso la brillante decisione di entrare con un’auto nella parete di una bella villa con giardino.

Come potete immaginare, avevo intenzione di scrivere questo post non appena avessi visto il primo dei nuovi episodi. Ma poi ho deciso di farmi violenza e aspettare altre due settimane, perché era necessario capire dove saremmo andati a parare.

L’inizio è stato bello, di quelli che piacciono a me ma fanno incazzare un sacco di altra gente. Perché se c’è una cosa che mi stuzzica è vedere House sbattuto lontano dai luoghi classici del suo lavoro. Una volta ce l’avevano fatto vedere per settimane in una casa di cura, adesso gli autori lo schiaffano in galera. Ed era anche ora, se volete, perché nemmeno lui è onnipotente, e sfracellare i salotti della gente non è cosa che possa restare impunita.
Di per sè, la puntata ha molti pregi: c’è un bel ritmo, una discreta cura nel tratteggio di personaggi che forse non vedremo mai più (tutti i compagni di galera), l’introduzione non pretestuosa di una nuova importante figura femminile, e più in generale c’è House in galera che cerca di usare l’intelletto per non farsi ammazzare. Ah, e poi c’è Jaleel White. Come chi è? E’ Steve Urkel di Otto sotto un tetto. Non ditemi che non ve ne siete accorti…
A parte questo, però, l’episodio non ci metteva ancora pienamente davanti alla cruda realtà, cosa che invece fa il capitolo successivo: la Cuddy non c’è più, a capo dell’ospedale hanno messo Foreman. E improvvisamente ci viene da pensare a quante volte abbiamo assistito con gusto ai battibecchi tra Greg e Lisa, e a tutte le occasioni in cui la Cuddy, in un modo o nell’altro, è stata fonte di riflessione, ragionamento, emozione e sentimento.
Capite anche voi che bisognava proprio aspettare il ritorno al Princeton-Plainsboro, prima di dare un giudizio definitivo.

Quando questo ritorno avviene, ci rendiamo conto che la strage non è ancora finita. Non c’è la Cuddy, ok, ma mancano anche Chase, Taub e soprattutto Tredici. Insomma, è il fottutissimo deserto dei tartari. Senza contare che House ha i capelli lunghi, e la cosa sembra fatta apposta per nascondere una calvizie più aggressiva che in passato. Amarezza…
L’ultima stagione, in pratica, parte come una specie di spin-off, o uno di quei film tratti dalle serie a distanza di qualche anno, dove sei felice di rivedere i vecchi amici ma ti accorgi che molti non sono tornati, e c’è tanta nostalgia del tempo che fu.

E però… grazie a Dio c’è un “però”. Nel giro di tre episodi, House esce di prigione, assume una nuova aiutante – asiatica e bruttina, ma strana quanto lui – dà l’addio (definitivo?) a Tredici, ci lascia pensare che Taub e Chase ricompariranno, e altro ancora. Ma quello che conta, intendo quello che conta davvero, è che sono tre ottime puntate. C’è stato un trauma bello forte, che ha scosso le fondamenta del telefilm e ha lasciato diverse macerie, ma dalle quali House riesce ancora a uscire. Perché di nuovo, se ce ne fossimo dimenticati, questa serie di chiama “House M.D.”, non “Gregory & I suoi colleghi” o “House & Cuddy – Due cuori nella medicina”. Bastano tre puntate per rendersi conto che finché ci sarà House, noi fan timbreremo sempre il cartellino. Specie se continueranno a esserci le succose guest star (tipo WentWorth Miller, ex stella di Prison Break); gli ingegnosi casi di puntata; le trovate divertenti come la contiguità dell’ufficio con la sala di rimozione dei gessi; il sempre interessante rapporto con quel gran cucciolone di Wilson, che può fare l’incazzato giusto per un episodio o due.
Se ci pensate, è quello che è successo con il parziale addio di Foreman, Cameron e Chase, anni fa. Tanti avevano arricciato il naso, ma la verità è che la serie è andata avanti alla grande, e che proprio su quegli addii ha fondato molte fortissime storie e l’introduzione di personaggi che ora non solo non sembrano più posticci, ma che anzi siamo qui a decidere se dobbiamo rimpiangere o meno (e Olivia Wilde si rimpiange a prescindere…).

Da una parte c’è stato un passo indietro, perché l’uscita della Cuddy, di cui forse non abbiamo ancora visto le vere conseguenze psicologiche, ci ha riconsegnato un House regredito, ri-cambiato, dopo che tanti passi sembrava aver fatto verso la quasi-umanità. Persa Lei, gli autori si sono rifugiati nel vecchio House, quello tutto battute ciniche, umiliazione dei subordinati e cazzate con Wilson. Che forse piacerà molto a quelli che ancora non riescono a buttar giù le stagioni 4-5-6-7, ma che al contempo potrebbe scontentare un po’ quelli che volevano uno sviluppo ancora ulteriore.
Insomma, spinte in avanti e spinte all’indietro, qualche scricchiolio inevitabile, la sensazione di stare vedendo un capitolo finale che ha la forza e le caratteristiche di una degna conclusione, ma allo stesso tempo le toppe di un prodotto in qualche modo “aggiustato”. Tutto vero.
Ma House è ancora House.

Malgrado tutto, bramo ancora la prossima puntata, e quella dopo, e quella dopo ancora. Dovrebbe bastare, no?
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