6 Giugno 2012 3 commenti

Smash – Una bella sorpresa di Diego Castelli

Ecco perch

Copertina, On Air

NON CI SONO VERI E PROPRI SPOILER, MA OVVIAMENTE AVER VISTO LA SERIE E’ MEGLIO

Siamo un po’ in ritardo con il finale di Smash (abbiamo poco tempo e poche mani), ma non volevo perdere la possibilità di parlarne.

La serie musical di NBC è stata per me una bella sorpresa, dopo un inizio che mi aveva fatto dubitare. Ero d’accordo col Villa nell’analisi del pilot: un episodio costruito fin nei minimi dettagli per essere “perfetto”, comprensivo di tutti gli elementi più importanti dell’intrattenimento televisivo degli ultimi anni: il canto, il ballo, il talent show, il musical in quanto genere.
Operazione talmente precisa e studiata a tavolino, da sembrarmi un po’ fredda. Vedevo dei rischi in una serie potenzialmente troppo simile ai reality – ma senza la componente di realtà, appunto – e insieme poco originale rispetto (per esempio) alla prima stagione di Glee, che a parte il vistoso calo degli anni successivi era nata come prodotto di reale freschezza e intelligenza.
Non ultimo, vedevo un potenziale problema anche nel tema stesso del racconto – la costruzione passo dopo passo di uno spettacolo teatrale – che di per sé non è necessariamente pane quotidiano del pubblico televisivo (e teniamo conto che siamo nella NBC di Robert Greenblat, che sembrava aver portato una ventata di rischioso intellettualismo nella tv generalista).
Tutto questo, ovviamente, senza nulla togliere alla bellezza della parte musicale tout court, da subito apparsa curatissima sia per la qualità delle canzoni originali, sia per la bravura spesso sorprendente degli interpreti principali.

Cos’è che mi ha fatto cambiare idea, dunque? La risposta è semplicissima: con l’andare degli episodi, Smash si è rivelato soprattutto un ottimo drama.
No perché una cosa va chiarita: a me i musical non piacciono. O meglio, non mi piacciono i musical drammatici, dove di fronte alla fine di un amore, alla morte di una persona cara, a tragedie di qualunque tipo, il poverino di turno inizia a cantare.
Ma che cazzo canti, imbecille?
Tua moglie ha lasciato / ti è morto il cane sotto l’autobus / lo tsunami ti ha portato via la famiglia… e tu canti? Sei psicolabile? Ti droghi? Sei psicolabile E ti droghi?

Ovviamente il consiglio che mi viene dato sempre è: lascia perdere la verosimiglianza, considera il canto una modalità di espressione non realistica, ma non per questo meno potente o significativa. Giustissimo. Verissimo. Ma mi vien da ridere lo stesso.
È bene che sappiate che io spesso e volentieri salto le parti cantate di Smash, che immagino siano uno dei punti più importanti per la maggior parte dei fan. Ecco, io le skippo, perché dopo un po’ mi annoiano.

Eppure, Smash mi ha tenuto stretto a sé per 15 episodi proprio perché c’è di più, perché la storia è solida e i personaggi ben costruiti.
Può fregarmene  nulla di quanto siano brave le protagoniste a cantare o quanto siano simili a Marilyn con la parrucca (che poi diciamolo, Karen non ci azzecca niente), e magari mi interessa anche poco della costruzione dello spettacolo (anche se decisamente di più rispetto alla semplice performance musicale).

Però mi interessa che i personaggi siano credibili, che siano mossi da passioni forti e mai caricaturali, che gli snodi della narrazione trovino un equilibrio tale per cui l’inserimento degli elementi che mi interessano di meno non risulti eccessivo o forzato, ma facente parte di un tutto coerente.

In questo, Smash ha funzionato alla grande, delineando caratteri precisi, stimolando risposte emotive forti, intrecciando saldamente la vita extra-spettacolo con quella all’interno. E’ in questo modo che il racconto del “dietro le quinte” diventa interessante. Non tanto perché ora ne sappiamo di più di come si produce uno spettacolo teatrale: quelle sono informazioni che fa piacere ricevere, ma che sarebbero potute arrivare anche tramite un ben più freddo documentario. Quello che conta è aver permesso allo spettatore di vivere in prima persona l’esperienza totalizzante del musical, nelle sue sfaccettature, nei suoi compromessi, nelle sue passioni viscerali, solo in parte comprese da chi sta “fuori”, ma capaci di condizionare tutta la vita di chi sta “dentro”, ben al di là delle mura del teatro.

Oh intendiamoci, non mi è venuto alcun desiderio di iniziare un corso di canto e ballo, peraltro la calzamaglia mi ingrassa un casino.
Però mi è rimasta una gran voglia di vedere la seconda stagione, e direi che può bastare.



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