5 Aprile 2013 4 commenti

Californication 6 – Un’altra stagione un po’ così! di Diego Castelli

Quando una storia ti piace, ma vuoi solo che finisca

Copertina, On Air

E siamo di nuovo qui. Devo scrivere un post dopo il finale di Californication sei, e mi ritrovo un po’ nella stessa condizione in cui mi trovavo dopo la stagione cinque. La serie di Tom Kapinos, così di nicchia e insieme così rivoluzionaria nel suo essere irriverente, sboccata e greve, ma anche stratificata e profonda, ha perso ormai da tempo quella spinta prettamente narrativa che poteva sfoggiare nelle prime stagioni, e che era l’elemento cardine che consentiva di elevare il prodotto da collezione di tette e parolacce a epica storia d’amore segnata da uno stile assai preciso.

Basti dire che la stagione sei si chiude con Hank che bussa alla porta di Karen, nella speranza di riconquistarla. E nella mente dello spettatore, anche del più affezionato come me, non può che sorgere una sola domanda: Ancora?!?!
Ci troviamo dunque in quella zona assai pericolosa della serialità in cui la storia ha raggiunto il punto in cui può solo finire senza svilupparsi oltre, ma guarda caso mancano svariati episodi invece che dieci minuti. Perché è bene ricordare, per chi non lo sapesse, che Californication è stata ulteriormente rinnovata per una settima stagione, e davvero non so dire cosa diavolo avranno da raccontare.

Che poi non è una questione “a prescindere”. E’ pieno il mondo di riuscitissime sitcom che puntano solo a far ridere senza necessariamente puntare a una emozionante storia orizzontale. Ma qui la questione è che siamo stati abituati troppo bene: le tribolazioni di Hank e Karen, unite poi a quelle di Becca, sono state un collante fortissimo e imprescindibile, che però non può venire a mancare (o meglio, non può sedimentarsi in questa maniera) senza farci provare una forte sensazione di mancanza.

Perché se prescindiamo da questo, la sesta stagione ha offerto il solito miscuglio di scenette d’antologia, famose guest star e sorprese gustose. Californication non ha mai perso la piacevolezza della visione, quel gusto goliardico della provocazione triviale, quell’uso spregiudicato degli ospiti vip. Pensiamo a quel compagnone di Marilyn Manson, al Jeorge Garcia spacciatore, alla follia della iper-femminista Ophelia, alle intemperanze da rock star di Atticus. Tutti elementi in pieno stile Californication, capaci di rendere ogni episodio meritevole di quella mezz’ora del nostro tempo libero.
E dirò di più: in questa stagione abbiamo sfiorato il ribaltamento definitivo. Per la prima volta dall’inizio della serie, Hank ha seriamente considerato la possibilità di trovare una sostituta di Karen nel suo vecchio cuore di scrittore maledetto. Faith, interpretata dalla conturbante Maggie Grace, è riuscita a essere, sppur per un breve periodo, la nuova musa del protagonista, in senso romantico e artistico, e si è guadagnata il ruolo di prima vera alternativa credibile al Karen.

Insomma, una stagione comunque ricca di avvenimenti grandi e piccoli, e si serial moments coi controcazzi. Ma alla fine si torna lì, a quel bussare alla porta di Karen come eterno inizio e fine di ogni azione di Hank. Quello che dunque perplime non è la resa specifica di ogni singola scena o episodio, quanto la chiara sensazione di immobilismo che ormai da due anni blocca la serie in uno strano limbo gelatinoso. Un immobilismo che non può che risultare irritante per uno spettatore che volente o nolente si è appassionato a una vera “storia”, e vorrebbe vederne la fine o, in alternativa, degli sviluppi significativi. Sviluppi che non arrivano da due anni a questa parte.

Allo stesso tempo, capiamo tutti benissimo che non può esserci alcun vero sviluppo, perché un Hank Moody che non si strugge per Karen non è Hank Moody, e noi non vogliamo un altro protagonista. Quindi rimaniamo qui, anche noi bloccati in una strano rapporto spettatore-serie, per cui continueremo a seguire lo show, senza però smettere di chiederne la chiusura.

E speriamo che alla fine Karen se lo sposi, sennò vado personalmente a prenderla a sberle.



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