3 Aprile 2014 9 commenti

Those Who Kill – Perché Chloë Sevigny non basta di Marco Villa

Chloe Sevigny e un gatto morto non bastano a lanciare Those Who Kill

Copertina, Pilot

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Una serie crime danese di successo, riproposta in un remake USA. Il precedente di The Killing fa ben sperare? Eccome, peccato che Those Who Kill sia lontanissima dai fasti di Sarah Linden. Those Who Kill va in onda dal 3 marzo su A&E ed è il remake americano della serie tv danese Den Son Draber, andata in onda anche in Italia con il titolo Loro uccidono. Racconta la tormentata storia di Catherine Jensen, interpretata da Chloë Sevigny, poliziotta della scientifica tutta turbata e turbolenta e del  professorone Thomas Schaeffer (James Morrison) che indaga con lei. Ah, per inciso: hanno tenuto i nomi originali scandinavi, pur spostando la serie tv a Pittsburgh, vai tu a capire perché. Il pilot spiega da subito come stanno messe le cose: un serial killer a puntata e uno sviluppo orizzontale a fare da collante. Schema classico, remake, tutti ingredienti che lasciano pensare a un successo scontato. E invece no, proprio no.

Il problema principale di Those Who Kill è che, nonostante Chloë Sevigny faccia il possibile, al centro di tutto c’è un personaggio di cui ci importa veramente poco. Catherine Jensen è uno di quei personaggi che segue sempre e comunque l’istinto, anche quando l’istinto la porta a rischiare tantissimo o a fare cose apparentemente senza logica. Anche Carrie Mathison di Homeland fa così, ma Carrie Mathison è stata costruita in modo perfetto e – almeno fino alla fine della seconda stagione – i suoi slanci senza senso erano comunque bilanciati dal fatto di avere di fronte un personaggio a cui siamo super-affezionati e che abbiamo visto soffrire l’impossibile per due stagioni. Di Jensen, invece, non ci frega niente e questo ci tiene a distanza. Certo, c’è un po’ di tensione quando viene rinchiusa nella bara, ma poco più. La minima partecipazione creata è poi totalmente annientata dallo spiegone a fine puntata in cui la protagonista svela in dieci secondi il super trauma e il suo passato angoscioso al prof. Schaeffer.

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Ecco, il prof Schaeffer. Già visto in Secret diary of a call girl è un interprete che riesce a dare un senso al termine gatto morto, solitamente declinato solo al femminile. Languido e con l’occhietto sempre mezzo chiuso, è quello con una sensibilità grossa così e un genio che tutti riconoscono e a cui siamo anche noi costretti a credere sulla fiducia, ma che non riesce mai a ripagarci neanche per sbaglio.

In mezzo a due personaggi così odiosi nel pilot capita, come per sbaglio, una storia che è pure interessante. Un serial killer spietato e sadico al punto giusto, alcune scene visivamente molto potenti e ambientazioni che funzionano. Tutte cose importanti, ma che passano in secondo piano di fronte a protagonisti così difficili da sopportare.

Perché seguirla: perché siete alla disperata ricerca di una nuova serie crime

Perché mollarla: perché i personaggi sono talmente distanti che proprio non viene voglia di rincorrerli per provare a raggiungerli.

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