30 Settembre 2014 5 commenti

Family Guy-Simpson: finalmente l’atteso crossover di Diego Castelli

Annunciato un anno fa, è finalmente arrivato l’incontro tra due colonne della serialità animata

Copertina, On Air

Simpons Family Guy - griffin Homer
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OCCHIO: SPOILER!
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Se n’è parlato per mesi, e finalmente è arrivato: il crossover Family Guy-Simpsons, due colonne portanti del palinsesto animato di FOX, rappresenta un evento televisivo di quelli robusti, anche solo considerando l’età dei due partecipanti: quindici anni per Peter Griffin e famiglia, ben venticinque per i gialli di Springfield. Fa impressione pensare che The Simpsons, carta d’identità alla mano, è di fatto una serie degli anni Ottanta…

In questa sede non mi interessa fare più di tanto una critica dell’episodio, una “recensione” nel senso del bello e del brutto. A me è piaciuto un botto, ma questa mi pare la cosa meno rilevante.
Più interessante è la dinamica stessa di costruzione della storia e di messa in onda dell’episodio. Sì perché questo crossover, in realtà, manca di una caratteristica abbastanza importante dei crossover propriamente intesi: non ce n’è traccia dentro I Simpson.
“The Simpsons Guy”, questo il nome dell’episodio, è di fatto la prima puntata della tredicesima stagione di Family Guy, e niente di più. Lo sceneggiatore è uno sceneggiatore di Family Guy, così come i due registi sono registi di Family Guy, mai visti prima sui Simpson. Rimane un crossover nel senso che in un unico episodio vengono rappresentati entrambi i mondi, ma l’operazione viene fatta da una prospettiva precisa e unica, non mescolando due punti di vista diversi. Sono i Griffin che vanno dai Simpson, non viceversa.

Questa impostazione ha conseguenze specifiche nella costruzione della trama e nel tipo di comicità (molto più vicina, per l’appunto, a quella di Family Guy), ma ha anche una ricaduta precisa nella percezione stessa dell’episodio, nel suo posizionamento nel grande firmamento della serialità americana.
Prima ancora che un crossover, “The Simpsons Guy” è soprattutto un omaggio che Seth McFarlane e soci fanno alla sorella maggiore, anzi alla madre spirituale, ed è un approccio estremamente chiaro durante tutta la puntata.
Simpons Family Guy - Stewie Bart

Costretti a fuggire temporaneamente da Quahog per via di certe battute razziste di Peter che hanno infiammato gli animi in città, i Griffin finiscono quasi per caso a Springfield, dove ricevono l’aiuto dei Simpson dopo essere stati derubati della macchina.
Da qui in poi, e siamo nei primissimi minuti del doppio episodio, parte una vera e propria fiera del citazionismo: mentre il mondo dei Griffin rimane distante, “a casa”, una larghissima porzione dei personaggi e dei luoghi mitici dell’universo di Matt Groening fa almeno una breve apparizione all’interno della storia. E il tutto viene filtrato attraverso lo sguardo dei Griffin, che incontrando questi nuovi amici giallastri trovano modo di ironizzare quasi su tutto, specialmente attraverso le voci di Peter, Stewie e Brian (fantastico il confronto tra il Piccolo aiutante di Babbo Natale, cane “normale” e perfino scemo, e il dotto animale domestico di casa Griffin).
Il carattere di omaggio deriva soprattutto dal fatto che questi personaggi e questi luoghi vengono ripresi nella loro versione più tipica, stereotipata se volete, sulla base di caratteristiche psicologiche e tormentoni verbali che esistono in pratica dall’inizio della serie. L'”eat my shorts” di Bart (il nostro “ciucciati il calzino”), l’uomo talpa, il commissario Winchester con la sua scarsa voglia di lavorare, Krusty il clown, Apu, le ciambelle, gli scherzi telefonici, e un sacco di altri trovano lo spazio per essere celebrati nella loro forma più iconica e riconoscibile, sebbene filtrati attraverso lo sguardo dissacrante (e molto meta) tipico di MacFarlane.

C’è qualche vistosa mancanza come il signor Burns o Flanders, dovuta al fatto che il loro doppiatore non era disponibile, ma l’impressione è davvero quella di una gita dei Griffin a Springfield, una visita alla Mecca dell’animazione seriale statunitense.
A questo proposito non bisogna dimenticare che i Griffin sono da sempre visti – non senza ragione – come un clone dei Simpson, una loro diretta derivazione. E se è vero che le differenze tra le due serie sono macroscopiche (prima di tutto nel modo di intendere e sviluppare la comicità), è del tutto evidente che senza i Simpson i Griffin non esisterebbero neppure.
In questo senso, gli autori di Family Guy hanno già giocato, in passato, su questa specie di sudditanza psicologica, ma con questo crossover si arriva all’apoteosi: nel lungo contenzioso sulla birra di Quahog, che si scopre essere poco altro che un clone della mitica Duff simpsoniana, è possibile vedere una esplicitissima metafora delle critiche mosse per lungo tempo a Family Guy, che in questo caso vengono esorcizzate e ridotte a una baruffa tra spettatori più che a una reale battaglia tra telefilm.
Consci della loro forza e della loro unicità, gli autori di Family Guy non hanno paura a mettere in piazza i panni sporchi, rendendo il doveroso tributo alla serie che li ha ispirati ma facendone anche parodia, che è spesso la più alta forma di omaggio.
Non puoi scrivere una parodia efficace se non conosci alla perfezione l’oggetto del tuo scherno, e non puoi conoscere alla perfezione l’oggetto del tuo scherno se non lo ami almeno un po’. E qui MacFarlane dimostra di amare alla grande le creature di Matt Groening, cogliendone le pillole più riconoscibili, le citazioni più sottili, i tormentoni più famosi e amati.
Simpons Family Guy - Brian e Piccolo aiutante

Con questo episodio, ora nostalgico, ora dissacrante, ora apertamente cattivello, Family Guy rivendica la propria indipendenza e l’amore dei propri fan (io per esempio li preferisco ai Simpson), ma non fa mai l’errore di considerarsi superiore. Diversa, questo sì, magari anche più moderna o più estrema, ma comunque debitrice di una serie che è una vera e propria istituzione, di fronte alla quale non puoi che inchinarti e porgere rispetto.
Senza entrare nel dettaglio delle decine e decine di citazioni, riferimenti incrociati, piccoli e grandi richiami alla decennale epopea simpsoniana (sarebbero davvero troppi), credo che il momento più alto sia in realtà quello tipicamente griffiniano, cioè la “chicken fight” tra Peter e Homer. Diretta e animata secondo le regole delle classiche battaglie tra Peter e il pollo gigante (quindi una rissa lunga, molto violenta, capace di portare i contendenti nei luoghi più impensati), lo scontro porta i due protagonisti in giro per la città e anche nello spazio, per arrivare a una resa dei conti finale che giunge alla massima espressione dell’amore iconoclasta: per un istante crediamo di assistere davvero alla morte di Homer, indirettamente ucciso da Peter. E quando poi i due si riappacificano, camminando verso casa tutti insanguinati, a chiudere la scena c’è l’irritante commento nerd dell’uomo dei fumetti – da sempre l’anima più meta e “spettatoriale” di The Simpsons – che sentenzia un categorico “Worst. Chicken fight. Ever”.

Tutto benissimo, dunque? Be’, dal mio punto di vista sì, ma non posso che denunciare l’evidente parzialità del mio giudizio. Come detto, l’episodio rimane perfettamente inserito in Family Guy. E’ stato pensato e proposto da un produttore che ha lavorato in entrambi gli show (Richard Appel), ma è stato poi elaborato, scritto e messo in scena da uomini di Family Guy. Questo rende felice me, che sono fan dei Griffin, ma può anche lasciare un po’ di amaro in bocca a chi, per forza di cose, non troverà in dosi adeguate il classico humour simpsoniano.
Eppure, finito l’episodio, mi rimane l’impressione che non si potesse fare altrimenti. La serie animata più leggendaria, iconica e radicata nel tessuto culturale americano e occidentale, quasi un riflesso comico della nostra società, viene bonariamente presa in giro dalla sorella più piccola e più pop, quella che da sempre, più che farsi specchio di una società, è interprete di una cultura dell’eterno riciccio, della continua citazione, del costante ruminare sul già visto, alla ricerca di segreti nascosti e nuovi modi di stupire. Una serie che può prendere per il culo il proprio genitore per quaranta minuti, ma che poi piange nell’ultima citazione, al pensiero che ora dovrà camminare da sola.
Alla fine, io dico, giusto così.
Simpons Family Guy - Stewie



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