7 Giugno 2016 16 commenti

Girls – Lena, è questo che siamo? di Marco Villa

Perché Girls è la serie più importante dei nostri anni e sa raccontare il nostro tempo come nessuna

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Lo ripetiamo da cinque anni e non sappiamo più come dirlo, quindi lo diciamo nel modo più semplice possibile: Girls è bellissima. Non bella, bellissima. Anzi: la serie più importante in onda in questo momento. E lo sappiamo che in tanti non saranno d’accordo, che in molti scriveranno dicendo che sì, di solito ci danno sempre ragione, ma questa volta no. Eppure lo ripetiamo per la terza volta in poche righe: Girls è bellissima.

Per capire quanto la serie di Lena Dunham sia diventata una cosa grande, si può iniziare dal settimo episodio della quinta stagione. È quello che si apre con Hannah che allarga le gambe in stile Basic Instinct davanti al suo datore di lavoro e prosegue con lo spettacolo di Adam a cui assistono tutti gli amici. Non è uno spettacolo normale, di quelli con il palco e la platea, ma uno spettacolo ambientato in un condominio: si mette in scena l’omicidio di Kitty Genovese, avvenuto nel cortile di un palazzo di New York nel 1964 e il pubblico assiste a quello che accadde gironzolando tra un appartamento e l’altro. In ogni casa, attori interpretano affittuari e proprietari, ognuno impegnato con la propria vita e troppo stanco e annoiato per prestare ascolto alle urla di Kitty, che nel frattempo viene uccisa qualche metro più in basso.

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Per tutta la durata della scena, abbiamo una Hannah come sempre insopportabile, che passa da una stanza all’altra nel disperato tentativo di imporre se stessa al di sopra dello spettacolo, cercando di farlo passare in secondo piano nell’ennesimo sfogo narcisistico a cui siamo abituati. Anche lei, però, a un certo punto cede e si lascia conquistare dallo spettacolo, diventando testimone di vite comuni, per quanto a lei lontane e per quanto -come commenta Marnie- si tratti di situazioni e dialoghi del tutto irrealistici. Ecco, facciamo un passo indietro, cambiamo il punto di vista e ci vorrà davvero poco per capire che con questa puntata e con questa sequenza in particolare, Lena Dunham ha voluto mettere in scena noi. Siamo noi che da ormai cinque anni siamo testimoni delle vicende di questa decina di personaggi, siamo noi che li sentiamo irrimediabilmente lontani per atteggiamenti, vite e quotidianità esagerate.

Poi, però, basta un attimo: uno sguardo, un cenno di debolezza e torna la consapevolezza che no, Girls non è per niente lontana nel suo essere in grado di raccontare il nostro tempo. È una sensazione che arriva senza preavviso, così come Hannah capisce che Jessa e Adam stanno avendo una storia. Una consapevolezza istintiva, raccontata con una panoramica quasi hitchcockiana, a suggellare una puntata che è perfetta e che sembra un omaggio carpiato che incrocia Robert Altman con La finestra sul cortile.

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È la puntata più bella, ma non l’unica a meritare lodi sperticate. Altrettanto potenti, da ogni punto di vista, quelle giapponesi, con Shoshanna che riesce nella missione impossibile di uscire dal proprio personaggio caricaturale diventando ancora più caricaturale. Da sempre una mezza macchietta, Shosh trova se stessa e inizia a percorrere la propria strada diventando letteralmente un fumetto. Tutte le scene ambientate in Giappone sono stilisticamente perfette, a sottolineare come i personaggi siano cresciuti e possano fare a meno dello sfondo di New York.

Ecco, parlare di crescita può sembrare paradossale, visto che la battuta chiave di tutta la stagione è quella rivolta da Adam a Jessa, quando lei reclama attenzioni mentre lui è impegnato con la nipotina: “Sei un’adulta, lei è una neonata: perché hai più bisogno di me di una neonata?”. Eppure la crescita c’è stata: basta vedere l’immagine, nuovamente iconica, di Adam e Jessa che rientrano in casa con le borse della spesa, un gesto in apparenza agli antipodi di quello che sono sempre stati questi due personaggi. Esagerati e lontani da tutti, ma allo stesso tempo vicinissimi a noi, perché sgraziati e imperfetti proprio come lo siamo tutti. Sperduti, come dice il tizio famoso un tempo conosciuto come Peter Russo al suo para-fidanzato Elijah.

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E poi si potrebbe andare avanti con la storia della mamma di Hannah, decisamente la parte più interessante del coming out famigliare: la consapevolezza (di nuovo) delle vedove scontente alla spa è al centro di un’altra scena da applausi. Così come da applausi è il finale: Hannah che sale sul palco a raccontare per la millesima volta la storia della sua vita, ma questa volta davanti a un pubblico vero, non a qualche amica disinteressata (Marnie resta il vero buco nero di interesse di Girls). La camera parte larga e va a stringere sempre di più sul personaggio di Lena Dunham, che chiude la stagione con una corsa liberatoria. 

La quinta stagione è stata splendida, nel suo essere in grado di raccontare le vite di personaggi odiosi e insopportabili, disarmonici e nevrotici, con corpi talmente imperfetti da essere più veri del vero. Come noi. Lena, è questo che siamo? Sì, e senza alcun dubbio.



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