4 Ottobre 2016 16 commenti

Westworld: le 10 cose migliori viste nel pilot di Diego Castelli

È arrivato il momento di approfondire!

Copertina, Olimpo, On Air

6. Le mosche

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Andando più nello specifico, troviamo poi le singole idee di regia e sceneggiatura. Quella delle mosche funziona benissimo: in più occasioni vediamo i piccoli e fastidiosi insetti finire sulla faccia dei robot, che non le scacciano né le uccidono per due motivi: uno, non gli danno fastidio; due, ci viene esplicitamente rivelato che gli androidi non potrebbero fare male nemmeno a una mosca, a causa di certe restrizioni alla violenza che ricordano moltissimo le leggi di Asimov. Il dettaglio è così insistito che il twist è quasi prevedebile, ma comunque efficace: nell’ultima scena del pilot Dolores uccide una mosca che le si era posata sul collo. Un singolo gesto che rappresenta perfettamente il cambio occorso nel cervello del personaggio, un atto di modestissima ribellione che è in realtà il seme da cui sboccerà la pianta della consapevolezza e dell’autocoscienza. E ben presto, ci viene da pensare, non saranno solo le mosche a essere schiacciate.

7. Il dialogo con il vecchio robot

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Se parliamo di dettagli, obbligatorio citare il dialogo fra Ford e il vecchio Bill, uno dei primi robot mai costruiti dal geniale inventore interpretato da Anthony Hopkins. I movimenti scattosi di Bill, un effetto speciale tanto lieve quanto azzeccato, ci trasmettono la precisa sensazione di trovarci di fronte a un automa, facendo scivolare nella mente dello spettatore due diversi concetti: da una parte quello dell’evoluzione delle macchine, che come gli esseri umani hanno superato un periodo di prove ed errori prima di arrivare alla forma attuale, virtualmente perfetta (e l’evoluzione è un altro elemento con cui sostanziare la loro umanità); dall’altra parte Bill si fa personificazione di quel discorso sull’identità umana di cui parlavamo prima: Bill è evidentemente in-umano per il modo in cui si muove e parla, ma quindi dobbiamo pensare che l’umanità stia solo nella capacità di apparire tale? In un altro punto del pilot il creatore della sceneggiatura seguita dagli androidi sottolinea che i visitatori non vogliono la perfezione degli automi, vogliono poterli riconoscere in quanto tali, altrimenti ucciderli o stuprarli potrebbe causargli disagio. In qualche modo si tematizza la difficoltà dell’uomo nello stare di fronte a se stesso, e a qualcosa di talmente simile a lui da poterlo addirittura rimpiazzare.

8. Ed Harris

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Il cast di Westworld è tutto di gran livello, e bisognerebbe parlare almeno un po’ di Evan Rachel Wood, chiamata a interpretare un personaggio davvero complicato, letteralmente a metà strada fra l’umano e il cibernetico. Ma siccome sarebbe scontato, allora parliamo di Ed Harris: il suo personaggio, chiamato per ora The Man in Black, è l’uomo che sembra meno uomo di tutti. Spietato, misterioso, vestito in modo talmente riconoscibile da sembrare appunto finto, rappresenta una sorta di dio del caos in questo pantheon pagano pieno di uomini-dèi, e il suo carisma (di Ed Harris) è messo al servizio di un personaggio piazzato appositamente per dare l’idea di un disastro imprevedibile. Se dovessimo scegliere un singolo simbolo della serie, lui e Dolores in questo momento se la giocherebbero alla pari: lei un robot fin troppo umano, lui un umano fin troppo robotico.

9. I paesaggi

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Non è solo questione di scenografie e di bellezza, per quanto Westworld regali agli occhi alcuni scorci eccezionali del mitico Ovest statunitense. È anche questione di come quei paesaggi sono usati, nella costante alternanza fra la vastità dello scenario (simbolo implicito di libertà) e la sua relativa piccolezza negli occhi dei creatori, che guardano i loro burattini da un’unica stanza capace di abbracciare tutto. Nella prospettiva di vedere i robot diventare umani (qualunque cosa voglia dire), il parco di Westworld finisce col diventare la più grande prigione che si sia mai vista.

10. Ciò che ancora non sappiamo

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In un pilot denso e pieno di informazioni come questo, Nolan non dimentica che siamo comunque in una serie tv, e quindi è necessario seminare il terreno dell’attenzione con indizi e rimandi a un futuro che, giocoforza, deve essere ancora più appetibile del presente. Il risultato viene raggiunto non solo con la storia di Dolores, che ovviamente rappresenta il gancio più forte ai prossimi episodi, ma anche con lo spargimento di indizi piuttosto epliciti sul fatto che c’è qualcosa di più: i vari personaggi ammettono candidamente che quello che abbiamo visto non è ancora tutto, e non stiamo per assistere solo alla rivolta delle macchine. C’è qualcosa in più, un disegno più complessivo, a cui anche l’Uomo in Nero fa riferimento, che rappresenta l’elemento più misterioso della serie, la promessa di future avventure che vadano oltre il semplice (per quanto interessante) drama cibernetico.

 

PS Vogliamo dire qualcosa di male?

All’inizio pensavo di fare un elenco tipo “le cinque cose migliori e le cinque peggiori”. Poi però mi sono reso conto che mi sarei dovuto forzare, giusto per par condicio, visto che in realtà il pilot di Westworld mi ha quasi completamente soddisfatto.
Se volessimo trovare il pelo nell’uovo, giusto per non passare da fanboy bimbiminkia, potremmo certamente trovare qualche dialogo più didascalico di altri, qualche rallentamento, qualche scena esteticamente meno precisa (per esempio il green screen nella sala di osservazione non mi convince, molto sparato, un po’ troppo evidente).
Si tratta comunque di sfumature a cui non mi sento di dare troppo peso. Un’ombra però c’è, e non riguarda il presente quanto il futuro. Al di là del potenziale rischio di mandare tutto in vacca a cui accennava anche il Martino, c’è una questione che riguarda l’innovazione: tutto ciò che abbiamo detto sopra riguarda l’eleganza, la classe, lo stile e la poesia con cui il pilot di Westworld riesce a introdurre e sviluppare certi temi e certi risvolti. Ma non riguarda la novità di quei temi e quei risvolti.
Per dirla diversamente: se immaginiamo che Westworld punti ad essere un “capolavoro”, è bene ricordare che i capolavori hanno relativamente poco a che vedere con la perfezione formale e stilistica. I capolavori, in tutte le arti, sono quelle opere capaci di lasciare un segno profondo, di smuovere pensieri e coscienze, di offrire nuovi scorci prima impensabili, influenzando tutta la produzione successiva. Ecco, Westworld per ora imbastisce un discorso di altissimo livello e di grande ambizione, ma ancora non è riuscita a lasciarci a bocca aperta: riconosciamo i suoi evidenti meriti, ma anche la forza immutabile (e schiacciante) delle fonti a cui si ispira. L’obiettivo vero, difficile ma non impossibile, deve essere quello di spappolare il cervello dello spettatore, riducendolo a una poltiglia di gioia. Voglio arrivare al punto da non riuscire a scrivere un articolo come questo, limitandomi solo a dire “ma non vedete quanto è figo, ve o devo pure spiegare?”
Il pilot ancora non ci riesce, ma le potenzialità ci sono tutte. Staremo a vedere…



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