22 Settembre 2017 3 commenti

Atypical: un necessario recupero estivo di Diego Castelli

Per non lasciar correre su una buona serie uscita mentre eravamo al mare

Copertina, Pilot

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Con le serie tv che hanno riempito ogni piattaforma esistente, ogni buco del calendario, e ogni angolo delle nostre vite, ormai non si può più nemmeno andare in vacanza senza perdersi 4-5 nuove serie che poi ti rimangono lì appese, in paziente attesa di ricevere la loro recensione, tipo sacramento religioso.

Una di queste poverine rimaste indietro è Atypical, la comedy di Netflix creata da Robia Rashid (già produttrice e sceneggiatrice di How I Met Your Mother e The Goldbergs), che racconta la vita familiare, lavoratica e sentimentale di un ragazzo affetto da una forma di autismo, che dopo diciotto anni passati sotto uno stretto controllo genitoriale e personale, decide che è il momento di trovarsi una fidanzata, con tutte le conseguenze del caso.
Debuttata lo scorso 11 agosto (ero al mare, nostalgia canaglia…), Atypical ha tutte le caratteristiche delle buone serie estive: un concept semplice, una scrittura piacevole, una leggerezza mai banale, che consente di abbandonarsi al racconto dando comunque l’impressione di guardare qualcosa che ha un’anima, e non solo delle immagini incollate insieme per mezz’ora.

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A vedere il modo in cui il protagonista Sam (interpretato da un ottimo Keir Gilchrist) gestisce le proprie difficoltà, e accorgendosi di come gli autori abbiano deciso di mostrare tutte le varie sfaccettature della sua vita, dai momenti più difficili a quelli più “normali”, verrebbe quasi da usare una parola pericolosissima: verrebbe quasi da dire che Atypical è “realistica”.
Parola che però, per il povero recensore seriale, è un potenziale trappolone: personalmente non ho alcuna idea concreta di come sia la vita di una persona autistica, e il fatto che Atypical lo sembri non significa che lo sia. Senza contare che, quando ci si mette a valutare un prodotto di fiction sulla base della sua aderenza alla realtà, si finisce sempre in qualche brutto gorgo di puntualizzazioni e recriminazioni.

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Quello che ci salva davvero, con Atypical, è che l’autismo di Sam non è il vero fulcro dell’attenzione, non siamo insomma di fronte a una serie che vuole raccontare una patologia o un insieme di sintomi. L’autismo qui è una precondizione, una “difficoltà in più” che viene posta sulle spalle dell’eroe, per rendere drammaticamente più interessante e pregnante il suo percorso di crescita.
Perché Atypical questo è: un romanzo di formazione in cui lo spettatore non ha difficoltà a immedesimarsi (le difficoltà nel trattare con l’altro sesso, con tutte le goffaggini annesse, non sono certo patrimonio esclusivo degli autistici), e nel quale gli autori usano i sintomi di Sam come una specie di esca con cui attrarre chi guarda in un mondo di personaggi estremamente umani, in cui non necessariamente quello “malato” è il più fragile o il più debole. C’è la madre (Jennifer Jason Leigh) insoddisfatta da una vita di assistenza, un padre (Michael Rapaport) con un passato poco lodevole che cerca di redimersi prima di tutto ai suoi stessi occhi, una sorella orgogliosa e forte che scopre di poter essere sballottolata da una vita più complicata dal previsto, e via dicendo.

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Se Atypical fosse una serie sull’autismo, nel senso quasi divulgativo del termine, sarebbe assai meno interessante, e il rischio del buonismo e della lacrima facile sarebbe sempre dietro l’angolo. Fortunatamente così non è e, per quanto non si possa dire di essere di fronte al capolavoro della vita, Atypical abbraccia una materia potenzialmente complessa e delicata con la levità della comedy più onesta e sincera, lasciando in bocca un piacevole sapore di fresco.

Perché seguire Atypical: è una serie leggera, piacevole, spesso molto sottile e intelligente.
Perché mollare Atypical: di protagonisti teneramente strambi (autistici o meno) ne abbiamo visti parecchi, quindi non siamo nel mondo dell’originalità estrema.



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