9 Ottobre 2018 7 commenti

Atypical 2 – Pure meglio della prima di Antonio Firmani

La nuova stagione di Atypical conferma e rilancia quanto di buono fatto l’anno scorso

Copertina, On Air

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ATTENZIONE: SPOILER SU TUTTA LA SECONDA STAGIONE

Il 7 settembre è sbarcata su Netflix la seconda stagione di Atypical, serie ideata da Robia Rashid (How I met your mother, The Goldbergs) che racconta le vicende di un teenager (Sam) affetto da autismo. Della prima stagione, uscita due estati fa, qui a Serial Minds già ne aveva parlato il Castelli, inserendola tra le serie meritevoli di un necessario recuperone.

Di solito, dopo un ottimo esordio, è molto più facile deludere, e invece bisogna ammettere che per certi versi la season 2 di Atypical è anche migliore della prima. Smarcatasi dagli oneri introduttivi, la scrittura ha la libertà di concentrarsi e approfondire sfaccettature e dinamiche comportamentali di quei personaggi che sulle prime erano rimasti un po’ più in disparte e che adesso vengono fuori alla distanza, come ottimi diesel. È il caso di Evan, il fidanzatino di Casey, o di Zahid, il miglior amico di Sam (interpretato, è il caso di ribadirlo, da un ottimo Keir Gilchrist, quello di United states of Tara per intenderci).

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Vanno avanti i Gardner, dritti per la loro strada. Elsa (Jennifer Jason Leigh, anche produttrice dello show) non vive più con loro: a casa hanno scoperto la sua tresca e adesso si è spostata temporaneamente da una vicina. A badare a Sam e Casey ci pensa Doug (il Michael Rapaport di Friends, Prison Break, The war at home, My name is Earl ecc.ecc.) che poi, a pensarci, è un’ottima chiusa per il fatal flow di uno che vuole redimersi perché in passato ha abbandonato la propria famiglia ai primi squilli d’autismo di Sam.

Il problema però è che gestire tutto da soli è dura, soprattutto se non lo hai mai fatto prima. Anche perché Casey è in una nuova scuola, la Clayton, con tutte le difficoltà d’inserimento del caso, e Sam è ormai prossimo al diploma, chiede maggiore indipendenza e accarezza l’idea di andare al college. C’è parecchia roba da gestire, e allora il povero Doug inizia ad avere attacchi di panico, così Elsa è di nuovo reintegrata in famiglia.
È una serie che continua a stupire per la leggerezza e l’intelligenza della sua scrittura, nonostante tratti un tema così delicato. Anche perché per la seconda stagione vale quello che il Castelli diceva per la prima: questa non è una serie sull’autismo, l’autismo è solo un ostacolo in più per Sam, che comunque è ad alto funzionamento. Lui, ad esempio, va benissimo a scuola e disegna benissimo (al punto che riuscirà ad andare al college proprio in virtù di questo suo particolare talento). Non è una serie buonista, e non per forza perde il più debole.

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È interessante il modo in cui ci viene raccontata la famiglia, si ride, Sam spesso è comico nella sua inadeguatezza, soprattutto nello scoprire l’universo femminile tramite i consigli di Zahid (altro personaggio indovinatissimo). Non c’è mai faciloneria o buonismo intorno all’autismo, e col passare delle puntate non ci si annoia, ma anzi ci si affeziona di più ai personaggi. Quando Elsa prepara la festa a sorpresa per i sedici anni di Casey, siamo felici che al compleanno ci siano pure Paige, o Zahid, o Cristopher (anche se poco hanno a che fare con Casey), perché quelli ormai sono amici nostri. È rassicurante il modo in cui ci viene raccontata la famiglia, perché al di là degli ostacoli che i Gardner incontrano lungo il cammino, in un modo o nell’altro sono sempre lì, imperfetti, ma uniti.
Quando vanno avanti e indietro con le linee temporali, per certi versi lo show ricorda addirittura This is us, con dei grossi picchi emotivi soprattutto sui finali di puntata, ed è un risultato non da poco per una serie che nasce come comedy. In bocca al lupo allora a questa piccola perla capitata quasi per caso nel grande magnum di Netflix, con la speranza che la season three tenga il passo di queste prime due carinissime stagioni.

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