18 Aprile 2018 4 commenti

Wild Wild Country – Ascesa, declino e scandali di Osho di Francesca Mottola

Wild Wild Country è una docuserie di Netflix che racconta la folle storia dell’insediamento in Oregon del culto istituito dal guru indiano Osho

Copertina, Pilot

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Controverso, ambiguo, sconcertante: tre aggettivi tutt’altro che rassicuranti, ma del tutto adatti per definire il pilot di Wild Wild Country, la nuova docuserie targata Netflix. Oregon, 1981. Il guru indiano Bhagwan Shree Rajneesh – meglio conosciuto come Osho – acquista il Big Muddy Ranch, una tenuta di oltre duecento chilometri quadri, con l’obiettivo di costruirvi sopra una comune autosussistente in cui i suoi adepti possano praticare senza inibizioni l’amore libero e la “meditazione dinamica”, perseguendo un nuovo modello di uomo che Bhagwan definisce “spiritualista capitalista”. L’insediamento dei nuovi arrivati provoca l’immediata ostilità dei 40 abitanti della vicina cittadina di Antelope, la cui esistenza tranquilla e solitaria viene sconvolta radicalmente. Le proteste – che in breve si trasformano in minacce, e poi in aperto conflitto – si scontrano con la personalità inflessibile della segretaria e portavoce di Bhagwan, Ma Anand Sheela, disposta a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di permettere alla comune di crescere e prosperare.

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Wild Wild Country, documentario originale Netflix in sei episodi, focalizza il racconto sullo scontro tra i Rajneeshees e gli abitanti di Antelope. Se a un primo sguardo superficiale appare semplice poter parteggiare per i secondi, impotenti davanti all’invasione del proprio territorio e alla rottura forzata del proprio isolamento volontario, la realtà è ben più complessa e sfaccettata. Non è difficile vedere nel conflitto geografico e culturale al centro della serie una metafora del clima di paranoia e del senso di minaccia diffuso nell’America (soprattutto rurale) degli anni Ottanta, mentre risulta molto più complicato prendere posizione a fronte di uno sguardo – quello dei registi, i fratelli Maclain e Chapman Way – che appare spesso ambiguo e contraddittorio. Se da una parte infatti troviamo un culto profondamente controverso – basti pensare alla scelta degli abiti arancioni che richiamano quelli degli asceti nella religione indù, accostati alla passione di Bhagwan stesso per le Rolls-Royce e i diamanti – dall’altra è impossibile non etichettare i locali come intolleranti e xenofobi.

La volontà di non fornire mai un giudizio morale e di forzare lo spettatore a prendere autonomamente posizione risulta evidente nel modo in cui viene introdotto il personaggio di Sheela, segretaria di Osho e vera protagonista della serie: intervistata in una foresta in Svizzera dove si è rifugiata per sfuggire alle accuse di tentato omicidio, frode e violenze di vario genere ricevute in seguito alla sua esperienza con la comune, racconta la sua vita al fianco del guru con un candore e un carisma tali da indurre il pubblico a rivalutare radicalmente il suo ruolo, continuando a oscillare tra carnefice e vittima del bigottismo dei locali e forse dell’Occidente in genere. Questo tipo di disorientamento accompagna lo spettatore lungo tutto il primo episodio, e sembra costituire il vero e proprio mood della serie, che approccia una vicenda complessa e mai davvero risolta scandagliandone i lati più oscuri e osservandola da angolazioni opposte attraverso una quantità impressionante di found footage e video girati all’epoca dagli stessi membri della comune a testimonianza della bontà del loro progetto. Il tutto sostenuto da musiche incalzanti, firmate da Brocker Way e da un uso episodico di inserti animati, ad aumentare un livello di contrasto già forte nella storia raccontata.

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Wild Wild Country esce in un momento particolarmente delicato della storia degli Stati Uniti, e lo fa costringendo lo spettatore a porsi domande scomode non solo sulla società e la cultura in senso lato, ma anche su se stesso: l’empatia oscilla tra le due parti e il giudizio è spesso altalenante, ma lo sguardo spaventato del bambino che chiude la porta alla vista di Bhagwan che passeggia indisturbato per Antelope nella scena che conclude il primo episodio spinge necessariamente a una riflessione e a una presa di posizione.

Perché guardare Wild Wild Country: perché racconta una storia vera che in diversi punti supera la fiction più fantasiosa.

Perché mollare Wild Wild Country: perché è una serie impegnativa per contenuti e durata, e chiede allo spettatore la massima attenzione.



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