12 Settembre 2018 11 commenti

The Affair 4 – Bella come una volta di Diego Castelli

In passato The Affair ha sbagliato, ma ora ha saputo rimediare ai propri errori

Copertina, Olimpo, On Air

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SPOILER SU TUTTA LA STAGIONE

È passato un po’ dal finale di The Affair, ma non volevo perdere l’occasione di esprimere tutto il mio entusiasmo per una serie che amavo, che l’anno scorso mi aveva un po’ deluso, e che quest’annno è tornata forse con la sua migliore stagione (in attesa della quinta, che sarà l’ultima).

E l’entusiasmo (e l’ammirazione) aumentano se pensiamo che l’evento centrale di questo quarto ciclo, cioè la morte di Alison, non era prevista inizialmente dagli autori, e si è resa necessaria a fronte della richiesta di Ruth Wilson di lasciare lo show (su questa storia ci sono punti oscuri che sarebbero da trattare in un altro articolo, ma vabbè). Cioè, gli sceneggiatori capitanati dalla showrunner Sarah Treem volevano fare tutt’altro, poi si sono trovati di fronte a un problema, si sono rimboccati le maniche e ne hanno tirato fuori del materiale bellissimo. Giù il cappello.

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Sul perché la scorsa stagione non mi fosse piaciuta non voglio dilungarmi, anche perché ne ho già scritto qui. Riassumiamo con un semplice “troppo Noah, e puntate a caso”.
Quest’anno invece, guidati proprio dall’evento che inizialmente non avevano contemplato, gli autori hanno potuto sfrutture un preciso centro di gravità, attorno a cui far ruotere tutto il resto, in una lenta spirale che ha pian piano trascinato tutti in un abisso ripido e buio.
La struttura è tornata parzialmente indietro: la rigida alternanza di punti di vista non c’è più, forse non serve più, ed è stata sostituita da una più semplice divisione degli episodi in capitoli dedicati a questo o quel personaggio. Ma ad essere tornato è un racconto veramente corale, un ritmo più serrato, e un sottile ma decisivo senso di mistero.
Oltre a questo, poi, c’è spazio per altre novità. Non solo riguardo alla morte di Alison, che chiaramente colpisce più di tutto, ma anche riguardo ad altri episodi, scene, dialoghi.

Non è un caso che l’episodio migliore sia probabilmente quello in cui Cole e Noah scoprono della morte della loro (ex) amata, una puntata capace di affiancare l’emozione durissima del lutto a un tono sorprendentemente leggero per buona parte del tempo, in cui i due antichi nemici, insieme al giovane Anton, diventano protagonisti di una specie di road movie filosofico in cui c’è spazio per la riflessione, la malinconia, la colpa, ma anche per vera e propria comicità, seppur diluita dalla natura di uno show che più drama non si può.

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In quell’episodio viene dipinta con chiarezza una delle due metà di The Affair. È un racconto maschile e sui maschi, in cui Alison, che non compare mai, è soprattutto un simbolo, un catalizzatore di emotività. Quella di Cole, ovviamente, l’uomo che aveva deciso di riconquistare la donna che aveva amato, salvo poi vedersela scivolare via dalle mani per un fato avverso. E quella di Noah, che ormai ha superato la storia d’amore con Alison, ma porta ancora i segni delle sue conseguenze: da qui lo sguardo malinconico con cui guarda la famigliola al fast food, famigliola come era la sua, e che ora non è più, a causa delle sue decisioni.

Ma sarebbe stato un crimine se questo episodio, così maschio-centrico, non fosse stato controbilanciato da un fuoco preciso proprio su di lei, Alison, di cui fino a quel momento non sapevamo più nulla. L’episodio successivo allora è tutto per lei, ed è anch’esso magistrale: le ultime ore di vita della donna ci vengono mostrate nella (una volta) consueta doppia prospettiva, che però ora appartiene non a due personaggi diversi, bensì allo stesso. È Alison quella che “ci racconta” di un Ben fragile e remissivo, meritevole di una seconda occasione, e sempre lei quella che ci mostra la degenerazione di un rapporto malato, nato male, con Ben nei panni dell’assassino che getta Alison ancora viva in mare e poi si presenta pure al suo funerale (nel season finale).
È un episodio che Ruth Wilson non ha apprezzato (perché sperava di non veder morire Alison) e che qualcuno ha criticato proprio perché viene uccisa, quando invece Alison sarebbe stata un personaggio perfetto, in una serie come The Affair, per parlare di suicidio.

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Io devo dire la verità, ancora durante il season finale avevo il dubbio che Ben non fosse colpevole, e la scrittura sembra rimanere volutamente ambigua, anche se a conti fatti ci sono pochi dubbi sulla sua colpevolezza (niente di più facile che l’ultima stagione giri proprio intorno a questo aspetto).
Ma tralasciando questo (importante) dettaglio, mi sembra che l’ultima apparizione di Alison abbia posto l’attenzione sul nocciolo più importante del personaggio, sulla sua eterna fragilità, e sulla violenza che il destino ha mosso costantemente su di lei. Proveniente da una famiglia disastrata, e poi sopravvissuta a un figlio piccolo per la cui morte si è sempre sentita responsabile, Alison è sempre stata in balia delle onde, una donna da concupire per Noah, da odiare per Helen, da amare morbosamente per Cole, da compatire per Luisa. Praticamente per tutta la serie, Alison è stata un oggetto, o meglio uno strumento, con cui gli altri personaggi speravano di ottenere qualcosa per sé. Nessuno ha mai voluto sapere davvero chi fosse Alison e cosa pensasse, e l’unica cosa ad importare, per tutti, è sempre stata l’effetto che Alison aveva su di loro. Non è escluso nemmeno Cole, che alla fine ispira la nostra simpatia per l’amore tragico stroncato dalla morte, ma che allo stesso tempo è nuovamente un uomo che cerca di tornare con la moglie non perché la cosa possa interessare a lei, ma perché così sente che starà meglio lui.

Nelle sue ultime ore, e in quel monologo interiore prima della morte, Alison sembra cosciente di questo fatto, e muore per mano di un uomo che ancora una volta voleva usarla come un mezzo per un fine, ma almeno con la consapevolezza di avere una coscienza di sé, dei propri desideri, delle proprie speranze.

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È per questo, forse, che il funerale di Alison suona così ridicolo: la madre e le sue baracconate new age, l’anfora che passa di mano in mano, Cole che scappa via come un bambino, Ben che presenzia tranquillamente, come se niente fosse. Non era possibile avere un funerale realmente serio, perché Alison è di fatto una vittima di tutti quelli che sono lì. Tutti la ricordano, la amano e la compiangono, ma quando era in vita nessuno ha fatto nulla per aiutarla a uscire dalla difficoltà in cui versava e permetterle di vivere la vita che voleva.

Ed è qui, credo, che ritorna Helen. Per quasi tutta la stagione la sua sembra una storia accessoria, un binario parallelo a quello di Noah-Cole-Alison, da riempire di scene quasi più per amicizia che per vera necessità. Non che non sia interessante, con la vicina di casa libertina che seduce sia lei che Vik, ma per diverso tempo sembra di guardare un’altra serie, quasi uno spinoff.
Così non è, perché Helen in realtà sta combattendo la stessa battaglia di Alison: anche lei è una a cui sono state appiccicate varie etichette (moglie tradita, madre ossessiva, incubatrice su richiesta), e solo lei riesce a ottenere la vittoria che a Alison è preclusa. Alla fine di una stagione cupa, segnata dal lutto, le ultime scene sono proprio per Helen e il suo sorriso, dopo che la donna ha deciso, in piena coscienza, di rinnovare il suo amore per Vik e consentirgli di sapere del figlio che avrebbe avuto non da lei, ma da un’altra donna.

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È come se Helen, condannata all’infelicità e all’oppressione per scelte non sue (è il marito che la tradisce, è Vik che la “obbliga” a provare ad avere un altro figlio), avesse deciso di riprendere in mano la sua vita non mandando tutti a quel paese, ma al contrario accogliendo tutti, tutto l’amore e la speranza che rimane, senza lasciare fuori niente e nessuno. Dopo aver cercato di controllare tutto, Helen decide di non controllare più niente, e solo in quel momento trova la serenità. Forse ce l’avrebbe fatta anche Alison, a un certo punto, se solo ne avesse avuto il tempo.

L’impressione, insomma, è che The Affair abbia ritrovato la sua strada. Non perché è tornata all’inizio, cosa impossibile, ma perché ha ripreso a fare quello che sapeva: prendere un evento iniziale (un tradimento ormai antico) e seguirne pazientemente le conseguenze, osservando l’influenza di quell’evento nel corso degli anni, su un gruppo di personaggi capace di incarnare le varie sfaccettature di una vita che, come le doppie prospettive degli episodi, non è mai univoca, bianca o nera, ma sempre sfumata, a volte nella stessa testa di chi la vive. È questa continua tensione fra opposti che si attraggono, fra vite effettive e desiderate, e fra punti di vista diversi e mai univoci, che ci ha fatto amare The Affair fin da subito, ed è la stessa tensione che si era persa e che ora è stata ritrovata.
Non ci resta che attendere l’ultima stagione, sapendo che l’uscita di scena di Alison sarà un buco tosto da colmare, ma fiduciosi del fatto che proprio la prospettiva della conclusione permetterà di non perdere troppo la bussola.

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