28 Novembre 2019 11 commenti

The Morning Show è palesemente la serie migliore di Apple Tv+ di Diego Castelli

Copertina, On Air

Dopo 6-7 settimane (e relativi episodi) vale la pena di fare un mini-bilancio dell’ingresso di Apple nel mondo seriale. Sarebbe stato meglio farlo settimana prossima, o anche solo domani, quando avremmo avuto da commentare anche il debutto di Servant, la serie prodotta da M. Night Shyamalan. Ma mi andava di farlo oggi, quindi ve lo beccate adesso.
In generale, Apple ha lavorato con metodo, e per dirlo basta guardare i generi e i target coinvolti: è sembrato evidente fin da subito, infatti, il tentativo di incuriosire la più ampia fetta di spettatori possibili, slegandosi da logiche più tipiche della tv lineare (in cui i canali tendono a darsi un’identità molto precisa in termini di pubblico di riferimento), e seguendo almeno in parte il modello Netflix, che sembra più congeniale alle piattaforme di streaming dove non esiste un palinsesto di prodotti che si trainano uno con l’altro. Per comodità, potremmo riassumere tale modello come un “faccio qualunque cosa per chiunque, così becco tutti”.

Netflix in questo è inevitabilmente più avanti e ha già decine di serie e film per decine di pubblici diversi, ma Apple TV+ non ha badato a spese nel proporre un drama di alto profilo e pieno di star (The Morning Show), un’avventura post-apocalittica molto costosa e avventurosa (See), un drama ucronico ma comunque più realistico della pura fantascienza (For All Mankind), una serie dichiaratamente teen (Dickinson) e da oggi un horror psicologico (Servant).
Insomma, un menu il più possibile vario, che soddisfi ogni tipo di palato. E se i risultati sono complessivamente buoni (quello che a noi è piaciuto meno è Dickinson, un po’ per età nostra e un po’ perché ci sembra sciatto, ma che comunque non è “lammerda”), a spiccare su tutti è proprio la serie che Apple ha usato come ariete da sfondamento, quella i cui faccioni famosi sono finiti su tutti i cartelloni e tutti gli articoli dedicati al lancio della nuova piattaforma: parliamo naturalmente di The Morning Show.

Dopo un inizio abbastanza ricco ma ancora zoppiccante, su cui pesava il paragone con le serie di Aaron Sorkin (i cui dialoghi, comunque, non vengono superati), in queste settimane la serie ha fatto molto parlare di sé, da più punti di vista. Vale la pena citarne due, e poi arriviamo a un terzo, con particolare riferimento al sesto episodio.
Primo e più importante elemento, è proprio il nucleo narrativo. The Morning Show parla di molestie sul luogo di lavoro e, nello specifico, all’interno del mondo dello spettacolo americano, e prima del pilot questo approccio poteva far pensare a un prodotto tutto sommato “facile”, perfino un po’ scontato di questi tempi.
In realtà, già col primo episodio ma soprattutto con l’andare delle settimane, ci si è resi facilmente conto che l’argomento scelto come punto di partenza è tutt’altro che un semplice pretesto, bensì il perno attorno al quale far girare un impianto concettuale e perfino filofosico che di banale o pretestuoso non ha proprio nulla.

Diciamocela semplice: dopo l’inizio del #MeToo, gli scandali legati a Weinstein e via dicendo, quasi tutti quelli che hanno deciso di affrontare l’argomento l’hanno fatto per mettere in scena lo scontro finalmente scoperchiato fra i maschi molestatori e le donne vittime di abuso (più o meno fisico o psicologico che fosse). Anche quelli che hanno scelto un approccio più denso e articolato, come la sempre eccellente Bojack Horseman, l’hanno fatto per approfondire meglio le dinamiche della molestia, evidenziandone anche le sfumature meno esplicite (che poi sono le più diffuse e subdole).
Ebbene, The Morning Show ha compiuto il passo ancora successivo, quello che mancava. Raccontando il dietro le quinte di un importante programma televisivo, a cui lavorano decine di persone e in cui girano interessi fortissimi, la serie creata da Jay Carson e Kerry Ehrin ha scelto di trattare proprio quella inevitabile complessità, mettendo da parte i giudizi più semplici e cercando invece di ricostruire sul serio le dinamiche che posso venire a crearsi in una macchina così grossa e al cui interno possono celarsi gli elementi di maggiore tossicità.

The Morning Show, che prende le mosse da un anchorman cacciato in quanto molestatore, non è il racconto bucolico di un gruppo di donne che prendono il potere e corrono felici verso il tramonto. E non è nemmeno, al contrario, una storia che vuole negare la gravità di quei fatti (e dei corrispettivi reali che accadono ogni giorno). Piuttosto, è un prodotto che racconta di personaggi troppo sfaccettati per essere etichettabili definitivamente in un modo o in un altro, ognuno dei quali persegue interessi propri che non necessariamente si adagiano (da lì e per sempre) sulla cattiveria di un molestatore o la purezza di una vittima.
Quello di The Morning Show è un mondo cinico, mediatico e politico, in cui tutti i personaggi sembrano sempre avere ben chiaro dove sia il “giusto”, ma hanno anche una chiara percezione di cosa sia ”utile” per ognuno di loro.
In questo senso, a essere centrale è ovviamente la figura di Bradley, la giornalista tutto d’un pezzo che vive di passione e ideali, e prova a scardinare le strutture più vecchie e tossiche che si trova davanti. Le difficoltà che incontra (nel rapporto con Alex ma anche con altre colleghe, e naturalmente con i grandi capi) sono una rappresentazione molto precisa di come determinate istanze e necessità di cambiamento sociale debbano poi scontrarsi con un mondo reale che difficilmente può essere ribaltato da un giorno con l’altro, perché tenuto in piedi da tutti coloro (carnefici, vittime, semplici comparse) che non conoscono una via diversa e/o faticano a immaginarla.

E attenzione. The Morning Show non è una serie reazionaria, che vuole tappare la bocca a chi se la riempie di belle parole superficiali. Non usa la complessità del reale per sminuire gli appelli al cambiamento. E basterebbe concentrarsi sullo stato mentale di Alex per capire che The Morning Show è molto chiara nel sottolineare come nel mondo dello spettacolo americano ci siano tante cose che non vanno. Allo stesso tempo, non dimentica che un conto sono gli ideali, e un conto è l’umanità di chi si trova a doverli sostenere, e per questo accetta di rappresentare uomini e donne confusi, indecisi, impauriti, in difficoltà nel riconoscere e scardinare modalità di lavoro e di comportamento che agiscono subdolamente da decine se non centinaia di anni. Nel fare questo non giudica i suoi personaggi, dandogli la possibilità di capire lentamente dove si trovano e cosa fare delle loro vite, e dà agli spettatori la possibilità di riconoscere situazioni su cui non avevano mai riflettuto veramente. Vedere a questo proposito il rapporto fra Mitch e Alex, che non si conclude (non può concludersi) immediatamente dopo le accuse all’uomo. O quello fra Alex e Bradley, che continua a mutare a ogni svolta con una schizofrenia che è molto umana. Per non parlare di altre loro colleghe che, banalmente ma nemmeno troppo, restano tese fra gli ideali ugualitari e la semplice e comprensibile voglia di non mettere a rischio il proprio impiego.
In breve, The Morning Show permette a chi guarda di farsi delle domande, e portare le persone a farsi delle domande è spesso molto più proficuo ed efficace che sparargli in faccia risposte magari giuste, ma non per questo di semplice comprensione in tutte le loro sfumature.

Questo era il primo punto di merito per The Morning Show. Giuro che col secondo la faccio più breve: dobbiamo (ri)parlare di Jennifer Aniston.
La serie era stata inizialmente venduta con tre facce teoricamente equivalenti: la sua, quella di Reese Whiterspoon, e quella di Steve Carell. Ma se Carell si vede relativamente poco, e se il personaggio della Whiterspoon è tanto importante a livello narrativo quanto (per il momento) semplice e lineare a livello di sviluppo, è Jennifer Aniston l’attrice a cui viene chiesto il lavoro più grosso.
Un po’ perché la sua Alex è il personaggio più contrastato, ben lontana dalle certezze di Mitch e Bradley e per questo chiamata a un’evoluzione più profonda, a una costante riflessione su di sé, sul proprio ruolo nel programma e nel mondo in generale. E un po’ perché Jennifer Aniston viene da una carriera di pura comedy o quasi, in cui anche le eccezioni (come il film Cake) sono finite riassorbite nell’immagine di una donna sempre bella e sempre sorridente: per questo aveva il suo bel da fare a togliersi di dosso quella patina di glamour e colori pastello. Ebbene, missione compiuta: come il Villa aveva notato già nel pilot, la sua Alex ha una forza, un carisma e un ventaglio di espressività che pochi si sarebbero aspettati dall’ex Rachel di Friends, che invece tiene la scena con mano saldissima, riempiendo lo schermo con sicurezza e potenza. Un personaggio che continua a oscillare fra una fragilità con cui empatizzare, e un’antipatia da schiaffi, ma soprattutto, forse, l’immagine di una donna che è stata costretta a indurirsi per sopravvivere in un mondo al maschile che ammette al suo interno solo donne che non si rilassano mai, che non perdono mai un colpo, e che finiscono, come Alex, col credere che non esista un altro modo di essere “di successo”.
Al momento, lei è la più grossa sorpresa di uno show che sta già sorprendendo di suo.

Chiudo con una nota estetica: nel mondo dello streaming, sempre più lontano dai tempi in cui la serialità televisiva era quasi solo scrittura, anche Apple TV+ ha dovuto lavorare bene sul visivo, trovando una sua capacità di impatto. E se See è la serie più “vistosa”, nel suo tripudio di paesaggi e battaglie, The Morning Show non le è da meno, nonostante un’ambientazione più “normale”. Il sesto episodio, tutto legato alla trasferta di Alex e Bradley sui luoghi degli incendi in California, è dipinto da una fotografia eccezionale, in cui il tramonto infuocato degli incendi sembra gettare sui personaggi disastrati una luce infernale. Sono circondati dal fuoco e infuocati dentro, attraversati da passioni che, soprattutto per Alex, arrivano qui alle soglie dell’attacco di panico. Un episodio in cui molti nodi vengono al pettine, che trova nella sua messa in scena un potenziamento evidente delle emozioni chiuse nella mente dei protagonisti.
Già ci piaceva com’era scritta, ora ci ha esaltato anche all’arrivo sulla retina.
Avanti così.



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