27 Dicembre 2019 31 commenti

The Witcher: ci è piaciuta anche quando sembrava Fantaghirò di Diego Castelli

Stroncata dalla critica, amata dai fan: la The Witcher di Netflix se ne frega e va per al sua strada

Copertina, Pilot

Era una delle serie più attese di questo dicembre di fine decade, e in breve tempo è diventata un curioso caso di studio per la sua strana capacità di dividere in maniera netta pubblico e critica.
Stiamo parlando di The Witcher, trasposizione seriale dei romanzi dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski, già noti anche per aver ispirato la saga videoludica firmata CD Projekt Red, il cui terzo capitolo, The Witcher 3: Wild Hunt, è universalmente considerato uno dei videogiochi migliori di questa generazione.

The Witcher, che in un’ambientazione fantasy medievale racconta le avventure di un umano mutato con la magia per diventare un cacciatore di mostri potente, longevo, ma anche sterile e anaffettivo, è rapidamente diventata un caso: a fronte di una risposta molto buona da parte dei fan, che hanno in larga parte applaudito l’operazione di Netflix, c’è infatti da registrare la reazione assai tiepida di buona parte della critica, che ha accusato la serie di essere noiosa e cheap.

Questo non significa che non ci siano stati critici digiuni del materiale originale ma benevoli nel giudizio finale, così come fan di lungo corso che non sono rimasti convinti dalla versione “televisiva” (virgolette d’obbligo) delle avventure di Geralt di Rivia. Ma se guardiamo alla situazione generale, la sfumature spariscono e la divisione è chiara: recensioni tiepide e pubblico entusiasta.

In realtà, dopo aver visto e francamente apprezzato la prima stagione, non trovo nemmeno incomprensibile questa dinamica. Con The Witcher si è venuta a creare un’atmosfera tutta strana, diversa e distante dal consueto consumo seriale che, ormai, assomiglia più a un tritacarne in cui sempre nuovi prodotti vengono accolti, divorati, masticati, giudicati, difesi o attaccati e poi sotto con il prossimo. È come se The Witcher avesse creato un mondo a sé, una sua nicchia (o bolla, per dirla un po’ social), in cui i fan si sono trovati a condividere uno spazio che non speravano potesse essere così accogliente.

Vediamo di spiegarla meglio.
Sul fatto che The Witcher abbia dei difetti non c’è molto da discutere, anche perché si vedono quasi tutti subito e diventano molto evidenti per chi non ha mai conosciuto prima Geralt e compagni.
A fronte di un budget elevato, che si aggira intorno ai 10 milioni di dollari per episodio, fin dalla prima puntata ci sono ambientazioni e scene di The Witcher che suonano un po’ povere, in cui certi scorci medievali particolarmente evocativi finiscono accanto a passeggiate in montagna che sembrano girate nel parchetto dietro casa mia.
Accanto all’aspetto puramente visivo, poi, c’è un ritmo non certo elevatissimo, che conferisce un certo peso ai lunghi episodi, e una gestione della narrazione che rende fin da subito la storia piuttosto complicata, perché divisa su più piani temporali senza che ci sia alcun tipo di guida per orientarsi (tanto che, nel primo episodio, questa moltiplicazione dei piani va più che altro intuita sulla base di pochi indizi).
Insomma, con tutta la buona volontà, non faccio fatica a capire la frustrazione di chi, completamente digiuno del mondo di Geralt, si trova di fronte una serie molto attesa e annunciata in pompa magna, che però sembra a tratti povera e spesso incomprensibile.
Naturalmente, poi, c’è il tema-Game of Thrones, che ancora per anni rimarrà l’inevitabile paragone per qualunque serie vagamente fantasy, e che in molte recensioni ha imposto un confronto che è difettoso in partenza. Paragonare The Witcher a Game of Thrones, ma soprattutto giudicarla con gli stessi parametri con cui si analizzava il mondo di Westeros, è come giudicare un pesce per la sua capacità di arrampicarsi sugli alberi: potrà essere un bravo pesce, ma arrampicarsi proprio no.

E qui allora arriviamo all’altro fronte. Perché sì, The Witcher ha dei difetti abbastanza palesi, ma è stata comunque accolta con molto favore da un numero crescente di fan. Perché?
Beh, i motivi sarebbero diversi, ma li potremmo riassumere un po’ forzatamente in una sola frase: perché The Witcher è esattamente quello che i fan di Geralt volevano.
Per dirla semplice: io ho letto poche pagine dei libri di Sapkowski (che ora devo recuperare), mentre ho giocato ai videogiochi. E già solo così, anche se la serie è dichiaratamente ispirata ai romanzi, fin dal primo episodio non ho potuto fare a meno di indicare lo schermo come un bambino e dire: “oh cacchio, ma è proprio The Witcher!”

La questione in realtà parte da lontano, da quando si venne a sapere che Henry Cavill, già interprete di Superman nei recenti film della DC, avrebbe interpretato il mitico Geralt. E non perché qualcuno a Netflix glielo aveva proposto, ma perché era stato lui a farsi avanti, in nome dell’amore che già provava per il personaggio.
Ecco, questo è il primo mattone dello strano sentimento che The Witcher è riuscita a creare nei mesi prima del lancio, e poi dopo il rilascio della prima stagione: più che una fredda operazione di marketing, in cui un gigante dello streaming si guarda a destra e a sinistra per trovare saghe qualunque da trasporre in serie, The Witcher ha cominciato la sua avventura come un progetto da fan e per fan, che in quanto tale era già pronto a prendersi un affetto quasi familiare, su cui altre serie non possono contare.

Guardando gli episodi, l’approccio è ancora più chiaro: alcuni degli elementi potenzialmente critici che abbiamo visto prima, dal ritmo lento alla complicazione narrativa, diventano in questo caso una chiave di lettura con cui i fan dei romanzi e dei videogiochi si ritrovano subito fra loro, facendosi l’occhiolino come a formare una setta da cui i babbani sono inevitabilmente tenuti fuori. È un approccio che normalmente qui a Serial Minds criticheremmo, fedeli alla regola per cui se una serie ha bisogno di rifarsi a materiale “altro” per essere apprezzata, significa che è monca. Ma in realtà qui non siamo di fronte a un “errore”, cioè a un prodotto che, involontariamente, non riesce a camminare con le proprie gambe. Qui è tutto voluto, perché la The Witcher di Netflix, invece di affannarsi per trovare il modo di essere compresa da tutti, se ne frega altamente e si rivolge prima di tutto a chi Geralt già lo conosce.

Come detto, è una cosa che si vede subito nell’approccio alla narrazione, che ricalca la struttura a racconti del primo libro e accumula singole storie con l’intento di creare un sistema di personaggi, più che un unico flusso coeso e lineare. Lo si vede nella messa in scena scura e pacata, in cui c’è sempre spazio per dialoghi che potrebbero suonare lenti se paragonati ad altre serie tv, ma che restituiscono allo spettatore l’esatta atmosfera dei libri e dei giochi. Lo si vede nella fotografia contrastata e fumosa, che a volte fa un po’ Fantaghirò, ma che allo stesso tempo restituisce un sapore artigianale, europeo, anzi proprio polacco, che dà uno stile molto personale allo show. Lo si vede nel modo in cui certe abilità di Geralt vengono largamente date per scontate, come la sua capacità di usare piccoli incantesimi di combattimento (i famosi “segni”) sui quali gli spettatori digiuni di questo mondo non troveranno una spiegazione che sia una. E infine, come nota personale, infiliamoci anche l’interpretazione di Henry Cavill, che si produce in una voce sostanzialmente identica a quella di Doug Cockle, storico doppiatore della saga videoludica dedicata al Witcher. Ancora una volta, un dettaglio di nessuna importanza per chi non ha mai sfiorato i videogiochi, ma un motivo di entusiasmo totale per chi temeva di doversi abituare a un timbro completamente diverso.

Insomma, la dinamica è chiara. Nel riprodurre le avventure di Geralt e dei suoi più famosi compagni (Yennefer, potente incantatrice e principale interesse amoroso del protagonista; Triss, altra maga che nei videogiochi forma una specie di triangolo amoroso con gli altri due, mentre nei libri e nella serie per ora è più defilata; Jaskier, conosciuto dai videogiocatori come Dandelion, menestrello buffo e simpatico che è la principale anima comica della serie; e infine Cirilla, detta Ciri, principessa con grandi poteri e dal destino legato a quello di Geralt), la creatrice della serie Lauren Schmidt Hissrich ha scelto un approccio molto particolare e meno scontato di quello che si pensi: ha messo di fronte ai fan qualcosa che potessero riconoscere subito. E se è vero che questo approccio si portava dietro qualche rischio, perché i ritmi buoni per uno o più medium potrebbero non esserlo per un altro, la Hissrich se n’è proprio sbattuta le balle, al grido di “i fan vogliono questa atmosfera, e io questa atmosfera gli do”.

Ecco dunque risolto il mistero della disparità di giudizio fra pubblico e critica: semplicemente, le due fazioni hanno giudicato e stanno giudicando The Witcher usando parametri diversi e in buona parte inconciliabili. Ciò che per alcuni rende The Witcher difficile o pesante, per altri lo rende semplicemente “casa”. Che poi è il motivo per cui gli episodi da più di un’ora di durata non hanno infastidito minimamente gli estimatori della serie: quando ti senti a casa tua, quando senti che il mondo in cui sei stato immerso ha esattamente l’aspetto, il suono, il sapore che vorresti, non solo non hai problema a starci dentro a lungo, ma anzi uscirne, per tornare nella tua realtà italica fatta di scuola, lavoro e pranzi di Natale coi parenti, diventa una prospettiva insopportabile.

In vista della seconda stagione già annunciata, comunque, anche da estimatori del lavoro fatto finora è possibile avanzare qualche richiesta. Ora che il sistema di personaggi è stato fondato e descritto nel dettaglio, una narrazione più dritta e coesa avrebbe molto più senso, anche perché il rapporto un po’ da mentore e un po’ da guardia del corpo fra Geralt e Ciri la facilita. Vorremmo vedere qualche combattimento in più, perché quelli che ci sono sono pregevoli, e Cavill ha lavorato troppo bene con la spada per non vedergliela sfoderare ogni volta che può. Vorremmo vedere più tette e più cu… ah no, in realtà su questo punto niente da dire. Non so, magari le spettatrici e gli spettatori a cui interessa l’articolo potremmo voler vedere un po’ più di Henry Cavill: sei un armadio a sei ante, fai vedere un po’ di più di tutta sta palestra, no???

Perché seguire The Witcher: se siete già fan di Geralt di Rivia, la serie restituirà esattamente le atmosfere che già conoscete e amate.
Perché mollare The Witcher: se siete completamente neofiti del mondo immaginato da Andrzej Sapkowski, la serie non farà niente per facilitare l’ingresso.



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