21 Ottobre 2021

Chucky e Day of The Dead: per Halloween SyFy propone il vintage di Diego Castelli

Sulla rete americana hanno esordito due serie horror che si rifanno a vecchi franchise, con risultati discutibili

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In questi casi non si sa mai se è nato prima l’uovo o la gallina. È il pubblico che sotto Halloween (o anche sotto Natale, per dire) chiede a gran voce prodotti a tema? Oppure sono reti televisive e piattaforme che sfruttano la ricorrenza per “imporre” un genere di facile produzione nel momento in cui è più semplice che attecchisca?
Probabilmente la verità sta nel mezzo, fatto sta che in questi giorni la rete americana SyFy ha fatto debuttare ben due serie che si rifanno esplicitamente a immaginari del passato, a una stagione dell’horror forse mai più replicata con la stessa forza: da una parte Chucky (trasmessa anche da USA Network), prima versione seriale della saga cinematografica dedicata alla famigerata bambola assassina (inventata nel 1988 da Don Mancini, che è anche il creatore della serie tv); dall’altra Day of The Dead, ennesimo show sugli zombie che prova a smarcarsi dall’inevitabile sensazione di già visto dichiarando orgogliosamente di rifarsi agli originali di Romero, piuttosto che alle ultime versioni del fortunato sotto-genere (peraltro già esplorato dalla stessa SyFy con Z Nation).

Io non sono un grande esperto di horror, e non fingerò di esserlo ché tanto poi ci si accorge, ma fra impressioni mie e un po’ di cose lette in giro, mi sembra che si possa fare un bilancio di questa doppia offerta dividendo in maniera abbastanza netta (pur con le inevitabili eccezioni) fra chi il genere lo bazzica da tanto, e magari è specificamente fan delle opere originali, e chi invece non ama particolarmente spaventi e ammazzamenti, dedicandocisi solo in casi eccezionali.
Per questi ultimi, sia Chucky che Day of The Dead sono prodotti di scarso interesse, a tratti perfino ridicoli, che si possono saltare a piè pari senza farsi venire nemmeno un dubbio. Per i primi, invece, esiste una differenza piuttosto vistosa fra i due.

Come detto, la bambola assassina di nome Chucky nacque nel 1988 con un film dal titolo Child’s Play – poi diventato una saga di 7 lungometraggi (più uno aprocrifo) – e raccontava la storia di un serial killer di nome Charles Lee Ray che, attraverso un rito voodoo, riusciva a scampare alla morte trasferendo la propria anima in un bambolotto, con l’idea di trovare presto un nuovo corpo umano in cui risorgere. Charles non riuscirà mai a tornare umano, ma non si farà prendere dallo sconforto, adattandosi al nuovo ruolo di bambola omicida, doppiata fin dal 1988 e ancora nella serie che stiamo trattando da Brad Dourif.
La nuova serie è sostanzialmente un reboot che racconta due storie parallele su due piani temporali diversi: da una parte le vicende del giovane Jake, adolescente gay, orfano di madre e con padre burbero e alcolizzato, che trova Chucky in un mercatino e ne diventa suo malgrado il compagno di (macabri) giochi, perché Chucky prende Jake sotto la sua ala e diventa una specie di vendicatore dei torti subiti dal ragazzo, che è bullizzato un po’ da tutti quelli che conosce. Dall’altra parte, usando dei flashback si racconta proprio l’infanzia e l’inizio della carriera assassina di Charles Lee Ray, prima che il suo spirito finisse nel bambolotto.

Come si accennava prima, dubito che una persona che non sia già fan del franchise possa apprezzare davvero la nuova Chucky. Non solo perché il concetto di una bambola assassina appare oggi più goffo e meno sostenibile rispetto al gusto molto più accomodante di fine anni Ottanta (se all’epoca serviva una forte sospensione di incredulità per immaginare la pericolosa di sto pupazzo, oggi figurati), ma soprattutto perché tutto l’impianto visivo e narrativo suona un po’ vecchio e rischia di finire incontro al peggior spauracchio di qualunque opera che punti sulla tensione: il comico involontario. Anche la svolta “progressista” di Chucky, che protegge il ragazzo gay in una sorta di parodia sanguinaria delle istanze LGBTQIA (gioverebbe ricordare, a mo’ di inciso stravagante, che a un certo punto della saga cinematografica Chucky aveva pure un erede da un’altra bambola, e si discuteva sul sesso e genere non chiarissimi del nascituro), rappresenta una deviazione curiosa all’inizio, ma non mi sembra possa rappresentare chissà quale impalcatura filosofica per il futuro (ammesso e non concesso che ce ne sia bisogno). Soprattutto, l’intera questione è rappresentata in modo così piatto e didascalico, da trasmettere l’idea di un compitino messo insieme con regole e regolette che, nel 2021, avrebbero bisogno di qualche sfumatura in più per essere accattivanti, sia quando si parla dei problemi personali del protagonista, sia quando si descrivono le caratteristiche degli altri personaggi principali, praticamente tutte macchiette.
D’altra parte, su chi è già fan del franchise l’effetto nostalgia potrebbe essere molto potente: il fatto che le redini dello show siano tuttora nelle mani del creatore della saga si riflette in uno stile molto simile, con la stessa comicità sempliciona, lo stesso senso del grottesco, le stesse faccette di Chucky a metà fra l’inquietante e il posticcio, e la stessa creatività della componente splatter. Il fatto poi che il bambolotto protagonista sia tuttora doppiato dallo stesso attore aggiunge un ulteriore livello di comfort per chi ama la saga fin dagli esordi (ovviamente non vale per i fan italiani che guardavano i film doppiati), così come la presenza di qualche altra faccia già nota per i film del franchise. In alcune delle recensioni entusiaste che ho letto in rete (e a cui istintivamente faccio fatica ad accodarmi) leggo proprio questa soddisfazione per la possibilità di abbracciare temi e stili di una volta, senza stare a pensare ad altro: tutto sommato, per una serie che punta così tanto sulla nostalgia non è una cosa da poco.

Discorso diverso per Day of The Dead. In questo caso, il richiamo ai film di Romero (anzi, precisamente al terzo film zombiesco del maestro del genere, che si chiamava appunto “Day of The Dead”) appare solo un pretesto per poter parlare della serie in qualche modo, perché a conti fatti quello che vediamo sono le solite cose: i non morti che barcollano in giro, truccati come sempre, con i consueti sopravvissuti che cercano di scappare e di mantenere vivi dei rapporti umani fra loro. Ma il problema vero non sta nella banalità del concept (sei persone devono sopravvivere per 24 ore a un’apocalisse zombie), su cui potremmo anche sorvolare come spesso ci capita. Il problema sta proprio in quello che si vede e si sente: c’è una generale povertà produttiva che si nota a colpo d’occhio nella qualità molto bassa della fotografia, nella regia scolastica e senza mezzo guizzo, nella recitazione spesso terrificante di attori non all’altezza. Che cerchiate o meno la nostalgia e il richiamo alla tradizione del genere zombiesco, Day of The Dead è semplicemente una brutta seria, realizzata con pochi mezzi, utilizzati pure male. Più che di bocca buona, per starle dietro dovete essere mega-impallinati del genere, riluttanti a perdervi anche la più misera delle sue incarnazioni.
Se Chucky ha i suoi limiti, alcuni perfino consapevoli e rivendicati, ma anche una sua anima e un suo stile, Day of The Dead è solo l’ennesima riproposizione di un tema che ormai ha pure un po’ stancato, e che non solo non riesce a rinfrescare, ma di cui offre pure una versione infima.
Passiamo oltre e non pensiamoci più. Mentre se Chucky diventasse improvvisamente la nuova Mad Men dell’horror, fatemelo sapere, io credo mi fermerò qui.



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