19 Aprile 2022

Le fate ignoranti – La serie su Disney +: Ozpetek diluisce il film e perde il ritmo di Marco Villa

Le fate ignoranti è il reboot in formato serie del film del 2001, ma l’unica differenza è la durata (e quindi il ritmo)

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Le fate ignoranti mi ha messo in difficoltà, ma pure grossa. Non è il massimo partire così, me ne rendo conto, ma dopo aver visto i primi tre episodi della serie di Ferzan Ozpetek (su Star/Disney+ dal 13 aprile, otto episodi), fatico davvero ad arrivare a un ragionamento concluso. Le fate ignoranti ha davvero tutto per essere una buona serie, ma ogni volta che si prova a uscire dalla storia e a farsi qualche domanda si resta con un gigantesco punto interrogativo che penzola sulla testa.

La storia è nota: Le fate ignoranti è un film del 2001 di enorme successo, la pellicola che lancia Ferzan Ozpetek tra i registi più in vista del cinema italiano, oltre a diventare un cult istantaneo per il mondo queer. I protagonisti sono una donna e un uomo, legati dalla stessa persona: lei è Antonia (nella serie Cristiana Capotondi), lui è Michele (Eduardo Scarpetta). La prima è la moglie di Massimo (Luca Argentero), il secondo è l’amante. Le loro vite entrano in rotta di collisione quando Massimo muore in seguito a un incidente stradale. Antonia entra così nel mondo segreto del marito, che riguarda non solo l’amante, ma tutti gli amici di quest’ultimo, che si ritrovano periodicamente sulla terrazza di Michele per pranzi che sono anche psicoterapia di gruppo, occasione di confronto e piccoli momenti di palcoscenico.

Tra film e serie, la vicenda è identica: stessi nomi, stessa ambientazione, stesse canzoni (Cocktail d’amore di Stefania Rotolo risuona già nel primo episodio), nel caso di Serra Yilmaz anche stessa attrice. Soprattutto: stesso regista e stesso sceneggiatore, ovvero Gianni Romoli, collaboratore fisso di Ozpetek lungo tutta la sua carriera. Perché Le fate ignoranti è una serie che fa da reboot all’originale, ma senza cambiare di una virgola quel mondo, limitandosi a sostituire gli interpreti e dilatando le vicende.

Se il primo episodio serve soprattutto a presentare i personaggi e a introdurre la tragedia che farà muovere la storia, nei successivi appare evidente che pressoché ogni scena viene stiracchiata. Situazioni che si sarebbero potute risolvere in pochi istanti sono dilatate a minuti, con l’ovvia conseguenza di rallentare il ritmo del racconto. Del resto, non poteva essere altrimenti, visto che il film racconta in modo compiuto e riuscito la stessa vicenda. Una strada sarebbe potuta essere l’approfondimento delle storie dei comprimari, un aspetto presente nella serie, ma non in maniera del tutto convincente. 

Gli amici di Michele sembrano più una corte da commedia shakespeariana, caratterizzata da battute più o meno corrosive, ma spesso relegati a una funzione di quinta, perché nell’arco di poco si finisce per tornare sempre alla vicenda principale. E questo fa parte probabilmente dell’imprinting cinematografico di Ozpetek e Romoli, che non riescono ad allontanarsi dalla coppia di protagonisti. In più momenti, si ha la sensazione che, per gli autori, la serie sia solo un film allungato: valga in generale l’inizio del terzo episodio, che comincia in medias res esattamente là dove era finito il precedente. Un approccio che non ha nulla di seriale.

Lo so, ho aperto questo pezzo parlando di dubbi e punti di domanda, ma per il momento ho solo sottolineato gli aspetti negativi. Le fate ignoranti però non è una serie da bocciare in toto, perché il cast è ottimo (anche Ambra Angiolini, Anna Ferzetti, Paola Minaccioni e Carla Signoris) e gli attori sono diretti magistralmente, a cominciare da un Eduardo Scarpetta che mette in mostra ancora di più il proprio talento. Anche la scrittura, pur con i difetti sottolineati in precedenza, è comunque di tante spanne sopra la media della serialità televisiva generalista, orizzonte entro cui Le fate ignoranti sembra volersi inserire, al netto della sua collocazione su piattaforma.

Ed ecco spiegato il dilemma iniziale: Le fate ignoranti è una serie che avrebbe meritato ben più elogi se non ci fosse stato il film. Ma senza film (e senza quel successo) la serie non sarebbe mai esistita. E via di scale di Escher come se non ci fosse un domani.

Da queste parti non siamo mai fan dei confronti tra originali e derivazioni, ma in questo caso è impossibile non parlarne perché c’è una totale sovrapposizione tra quei mondi, con la sola differenza di una durata quadruplicata. Con annessa – inevitabile – diluizione del contenuto e perdita del ritmo.

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