19 Agosto 2022

House of the Dragon – Anteprima (senza spoiler) dei primi 6 episodi di Diego Castelli

House of the Dragon, l’atteso spinoff di Game of Thrones, arriva in Italia il 22 agosto. Ecco le nostre prime impressioni.

Pilot

Quando Warner e Sky sono stati così gentili da darci i primi sei episodi di House of The Dragon, il prequel di Game of Thrones in partenza su HBO il prossimo 21 agosto (e dal 22 agosto in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW in contemporanea assoluta con gli Stati Uniti), il Villa mi ha posto un quesito filosofico.
La domanda era: ma se qui a Serial Minds siamo da sempre accesi fautori della visione settimanale delle serie e fieri oppositori del binge watching, ha senso che noi, umanamente, eticamente, ci spariamo sei episodi in una volta di una cosa che poi la gente vedrà una volta a settimana?

Obiezioni più che legittime, unite alla considerazione che (piccolo insight per voi) solitamente facciamo più visualizzazioni con le recensioni di pilot che avete già visto, piuttosto che di episodi che ancora dovete vedere.
Di fronte a tutto questo, però, io ho piazzato una contro-obiezione: se ci danno sei episodi in anteprima e noi non ne parliamo in anteprima, ho paura che poi non ce li danno più.

Considerando che il Villa è ancora in ferie fino a fine settimana, di fatto ho vinto io, e quindi ora vi beccate la recensione dei primi sei episodi di House of the Dragon, rigorosamente spoiler-free.

Eh già bravo, ma come si fa a scrivere una recensione senza spoiler di una serie che è tutta un intrigo, un sotterfugio, un incastro continuo di mosse e contromosse?
Beh, ovviamente non può essere un’analisi particolarmente dettagliata, ma io credo che, se siete qui, l’unica vera domanda a cui vogliate dare risposta ora, a pochi giorni dal debutto, è: ma House of The Dragon merita? La devo guardare? Posso spenderci un po’ di hype o mi aspetta una delusione?

Ecco, a questa domanda si può rispondere senza bisogno di svelare troppo, e già che ci siamo ci aggiungiamo pure una piccola riflessione che, forse, si poteva fare anche senza aver visto nemmeno un minuto della serie, ma che dopo sei episodi, in effetti, conferma una sua legittimità.

Diamoci comunque qualche informazione di contesto.
Ambientata 172 anni prima degli eventi di Game of Thrones e basata su Fuoco e Sangue di George R. R. Martin (che è già di suo un libro-spinoff de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco), House of The Dragon è tutta incentrata sui Targaryen, la casata di cui poi farà parte la Madre dei Draghi, Daenerys, e che aveva governato per secoli su Westeros, fino all’arrivo del Re Folle e degli eventi che, come avevamo appreso all’inizio di Game of Thrones, avevano poi portato alla salita al trono di Robert Baratheon.

È dunque una storia molto più incentrata su una singola famiglia (per quanto naturalmente si vedano comparire personaggi che portano cognomi che ben conosciamo, dai Lannister agli Stark e via dicendo) che viene raccontata nel corso di diversi anni, tanto è vero che fin da subito era stato annunciato che, dopo i primi episodi, ci sarebbe stato un avanzamento del tempo tale, da rendere necessario un vistoso cambio di cast, per sostituire attori e attrici molto giovani con interpreti più avanti con l’età.

Arrivando al confine con gli spoiler che poi non vogliamo / possiamo fare, possiamo dirci che i protagonisti più in vista sono:
-Viserys (Paddy Considine), quinto re dei Sette Regni;
-Sua figlia Rhaenyra, interpretata da Emma D’Arcy (adulta) e da Milly Alcock (giovane), primogenita del re poco incline alle regole di corte (nonché, nella sua versione giovane, chiaro tentativo di regalarci un’altra Daenerys, almeno per qualche episodio);
-Daemon (Matt Smith), fratello minore del re, abile guerriero e cavalca draghi;
-Otto Hightower (Rhys Ifans), primo consigliere del re e animale politico dalla fine mente strategica;
-Alicent Hightower (Olivia Cooke da adulta e Emily Carey da giovane), figlia di Otto e migliore amica di Rhaenyra.

Bene, non vi faccio aspettare oltre.
Alla domanda se House of The Dragon meriti la vostra attenzione, la mia risposta è un convintissimo “sì”.

A questa serie arriviamo in modo un po’ strano. Nasce da quello che è probabilmente il fenomeno seriale più importante degli anni Dieci, ma anche un fenomeno incapace di essere tale fino all’ultimo, con molti fan delusi da alcuni problemi dell’ultima stagione.
L’arrivo di una nuova storia incentrata su questo universo narrativo si porta dunque dietro un misto di grande aspettativa ma anche di profondo sospetto.

Da questo punto di vista, i primi episodi di House of The Dragon sembrano voler quasi rassicurare i fan sul fatto che alcuni errori non verranno nuovamente commessi.

Su tutto, direi, il tema della fretta. L’ultima stagione di Game of Thrones era funestata da una eccessiva rapidità degli eventi in confronti alle stagioni precedenti, che davano l’impressione di voler chiudere baracca e burattini per poi andare in vacanza.

House of The Dragon sembra ben lontana da questo problema, e non perché sia una serie molto lenta in cui “non succede niente”. Tutt’altro, in queste prime puntate succedono un sacco di cose, ma l’impressione molto netta è che ci si sia comunque presi il tempo di raccontare nel dettaglio i personaggi, delineare in modo preciso i tratti principali del loro carattere, posizionarli in modo accurato su uno scacchiere che ne esalti le tensioni reciproche, i sogni, le aspirazioni, i desideri più reconditi.

Ci basta poco, insomma, per avere l’impressione di conoscere per davvero questi personaggi, empatizzare con loro, provare l’istinto di anticiparne le mosse, come si fa sempre quando si ha la sensazione di conoscere intimamente un carattere.

C’è poi un dettaglio che mi preme sottolineare, anche se non posso farvi esempi specifici.
L’elemento della scrittura che più ho apprezzato in queste prime battute, e che per certi versi è anche più raffinato rispetto a Game of Thrones, è che è difficilissimo fare una divisione fra buoni e cattivi.
Nelle dinamiche della corte, ogni personaggio ha i suoi obiettivi, derivanti dal proprio carattere, e in molte occasioni è possibile sentirsi vicini alle ragioni di un personaggio, per poi provare il desiderio di distanziarsene, non appena ci sembra che sia andato “troppo oltre”.

Il risultato di questa impostazione è quello di costruire un’atmosfera in cui si riesca a toccare con mano la complessità della vita di corte, in cui non esistono soluzioni semplici a problemi complessi, ma solo compromessi spesso dolorosi che impongono scelte dure e amari sacrifici.

A questo, poi, va aggiunta una mera notazione tecnica: House of The Dragon è ancora una serie di HBO, e si vede. Si vede nella ricchezza delle scenografie e degli effetti speciali, si vede nella crudezza di molte scene che prendono lo stomaco, si vede nel tentativo di provocare e colpire, senza perdere l’eleganza di un grande e ricco affresco dal sapore medievale.
E se parliamo di cast, beh, non c’è un attore o un’attrice che non sia costantemente efficace e pienamente in parte.

Insomma, un trionfo, direte voi.
Beh sì, nel senso che, nonostante avessi anche io dei dubbi (pur essendo un estimatore anche dell’ultima stagione di Game of Thrones, anche coi suoi difetti), mi sono trovato a guardare sei episodi da un’ora, sostanzialmente uno in fila all’altro, senza mai sentire la stanchezza, ma anzi avendo sempre la curiosità di scoprire cosa sarebbe successo dopo.

C’è naturalmente un “però”.
E non è un però che deriva dal semplice “eh ma GoT era un’altra cosa, questo non potrà fare lo stesso successo”. Cosa, peraltro, probabilmente vera, perché non mi aspetto che House of The Dragon diventi un fenomeno pari alla serie madre, a prescindere dai suoi meriti o difetti: quel tipo di successo mondiale non è cosa che si possa riprodurre a tavolino.

Il tema però è un altro: per apprezzare House of The Dragon, credo sia necessario fare il prima possibile uno switch mentale, prendere coscienza che c’è almeno una differenza sostanziale rispetto alla serie madre.

Per dirla in maniera probabilmente un po’ eccessiva, ma così ci capiamo, House of The Dragon è una soap.
Raccontando sostanzialmente la storia di una singola famiglia, la serie punta quasi tutto su un complesso (ma sempre comprensibile) sistema di alleanze, tradimenti, amicizie, amori, passioni, regole sociali, il cui riferimento più immediato, dal punto di vista degli stili della televisione, è proprio quello della soap.
Quando una storia è fatta al 90% di quelle componenti relazionali, per di più calate in un contesto simil-medievale in cui diventano fondamentali concetti come la successione dinastica, la nascita degli eredi, i matrimoni, le relazioni extraconiugali, di fatto stiamo parlando di una soap.

Qualcuno potrebbe dire che pure Game of Thrones, sotto questo aspetto, non scherzava. Anzi, la peculiarità di quella serie e di quella saga era proprio quella di portare una fortissima componente politica e strategica in un’ambientazione fantasy.
In questo non è cambiato moltissimo. Quello che manca, però, è in parte l’aspetto militare della questione (Game of Thrones era anche una storia di casate in lotta fra loro per il dominio fisico del Trono di Spade), e in parte quella sensazione di disastro imminente data dalla minaccia degli Estranei.

Qualunque evento di Game of Thrones, anche quelli più prettamente soapposi, era sempre raccontato sullo sfondo di una catastrofe che si sapeva essere all’orizzonte, e che calava una cappa di urgenza sulle vite di tutti i personaggi coinvolti.

Questa specifica atmosfera, in House of the Dragon, sostanzialmente non c’è. E non c’è per ragioni ovvie, perché se in Game of Thrones ci hanno detto che i Targaryen hanno governato per secoli, fino a non molto prima dell’inizio di quella serie, è evidente che con House of The Dragon stiamo seguendo una storia in cui la casa regnante non cambierà, e in cui non c’è alcun esercito di mostri pronto a invadere Westeros.

Che questa mancanza sia decisiva o meno per le sorti della serie e, molto banalmente, per il desiderio di ogni singolo spettatore e spettatrice di starle dietro, è una considerazione che ognuno deve fare per sé.
Per quello che vale la mia opinione, House of The Dragon è una serie che funziona, che appassiona, su cui è anche stato fatto un grande lavoro di connessione con la serie madre, tanto che spesso ci si trova a provare un brividino per piccoli riferimenti che sono piazzati al momento giusto e nel posto giusto.

È insomma un prodotto di qualità, di cui consiglio la visione senza alcuna remora, anche se siete fra gli scettici.
Però quello switch mentale va fatto. E non perché non è possibile che House of The Dragon trovi il modo di diventare più militare o soprannaturale di quanto non sia ora (magari sarà così, non ho letto il libro e come vedete non ne sto parlando) ma perché l’eventuale attesa di qualcosa che potrebbe anche non esserci rischia di rovinare un’esperienza narrativa che, nella sua identità un po’ diversa dall’originale, è però un congegno perfettamente funzionante.

In attesa di vedere anche gli altri episodi e di capire quindi se sarò smentito nel giro di un mese e mezzo (assolutamente possibile), chiudo con una piccola riflessione di contesto.
House of The Dragon debutta il 21-22 agosto, e a inizio settembre arriverà un’altra attesissima serie fantasy (parlo naturalmente di The Lord of the Rings: The Rings of Power, di Prime Video) con cui inevitabilmente si creerà un paragone/scontro di cui si parlerà parecchio.

Ecco, vale la pena sottolineare una differenza di campo abbastanza importante. Se The Rings of Power si è già attirata numerose perplessità per il suo essere una serie dichiaratamente inclusiva e woke che parte da un materiale che lo è ben poco (si pensi per esempio all’introduzione di molti personaggi neri che non fanno parte della tradizione fantasy di Tolkien e non erano rappresentati dalla trilogia di Peter Jackson), House of The Dragon ha un che di reazionario.

Non sto dicendo che sia una serie maschilista e all white, perché non è né l’una né l’altra cosa.
Allo stesso tempo, è una serie in cui, per esempio, il desiderio di affermazione di certi personaggi femminili (su tutti Rhaenyra) è costantemente bilanciato e frustrato da una società medievale in cui le donne sono considerate poco più che incubatrici.

Questo non significa che la serie, nel suo complesso, sostenga il famigerato patriarcato. Significa però che lo rappresenta in un modo così smaccato (e innestandoci personaggi anche positivi ma che in quel patriarcato ci sguazzano), da rendersi potenziale bersaglio delle critiche di chi crede che quel tipo di rappresentazione, anche se intellettualmente onesta, dovrebbe semplicemente essere accantonata.
Ricordate le polemiche generate dallo stupro di Sansa in Game of Thrones? Ecco, su quella falsariga, House of The Dragon sembra dire “la realtà è questa, o era questa, o tutte e due, e fingere che non esista non la farà scomparire”.

In attesa di capire come si comporterà effettivamente The Rings of Power – e sottolineato che ognuno di noi può semplicemente decidere di fregarsene, pretendendo solo una bella storia a prescindere da tutto il resto – sarà comunque utile tenere a mente che una quota non piccola delle discussioni su queste due serie verterà anche su quel tema, sulle mancanze dell’una e le sensibilità dell’altra e viceversa.

Potrebbe essere una battaglia intellettuale perfino più sanguinosa di quelle che nelle due serie vengono combattute con la spada.

PS Vi ricordo, o vi dico se già non lo sapete, che dopo la messa in onda del primo episodio di House of The Dragon faremo una puntata speciale del podcast tutta incentrata sul pilot, da ascoltare rigorosamente dopo la visione, ma senza spoiler sugli episodi successivi.
Stay tuned.

Perché seguire House of The Dragon: la qualità di HBO è sempre lì, in una scrittura precisa, in una messa in scena sontuosa, in un cast di livello.
Perché mollare House of The Dragon: rispetto alla serie madre ha un’anima ancora più drama e meno strategico-militare-soprannaturale. Chi amava soprattutto questo secondo aspetto di Game of Thrones potrebbe sentirne almeno in parte la mancanza.



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