31 Agosto 2022

Kleo – Netflix: la sorpresa di fine estate è una Kill Bill in salsa DDR di Marco Villa

Kleo è una sorta di Kill Bill in salsa DDR, una storia di vendetta nella confusione di Berlino dopo la caduta del Muro

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Per mantenere intatto il proprio potere, i regimi devono inculcare nella popolazione la convinzione che nulla potrà mai cambiare: gli uomini al potere si avvicenderanno, ci saranno periodi di maggiore o minore controllo, ma il regime non passerà mai. Solo così si può evitare che qualcuno decida di alzare la testa, per provare a far crollare il sistema. Se sai che nulla potrà spostare l’esistente di un millimetro, nemmeno ci pensi. È da questo assunto che bisogna partire per parlare di Kleo, nuova serie Netflix tedesca, che convince da subito con un primo episodio ritmato e ben scritto.

Siamo a Berlino Est, la zona della città sotto il controllo della DDR, ovvero la Repubblica Democratica di Germania, lo stato controllato dall’Unione Sovietica, frutto della divisione in due della nazione tedesca decisa dopo la fine della Seconda guerra mondiale. L’anno è il 1987, sono quindi quarant’anni che i tedeschi vivono questa situazione e all’orizzonte non ci sono sbocchi apparenti. In questo contesto vive Kleo (Jelia Haase), che ufficialmente lavora in una fabbrica di radio, ma non disdegna di collaborare con la polizia politica della DDR, con il brillante ruolo di assassina professionista, con tanto di incursioni a Berlino Ovest per ammazzare spie e personaggi sgraditi ai vertici del suo paese. 

Proprio durante una di queste missioni, viene notata da un poliziotto dell’Ovest, desideroso di fare carriera e il suo identikit arriva nelle mani dei suoi superiori. Risultato: Kleo è bruciata e bisogna “disattivarla”. Segue processo farsa e condanna all’ergastolo. Puff, Kleo non c’è più. E nessuno fa niente per aiutarla, anzi: tanti testimoniano contro di lei, nonostante le accuse nei suoi confronti fossero inventate. Non la aiuta il nonno colonello, non la aiuta il suo fidanzato, a cui ha appena annunciato di essere incinta. E perché nessuno la aiuta? Per quello che si diceva in apertura: tutti sono convinti che il regime non crollerà mai, quindi Kleo è perduta e nessuno la vedrà più. Come detto, però, siamo nel 1987: la DDR e la divisione della Germania è agli sgoccioli e, meno di tre anni dopo, Kleo torna in libertà. Con un solo pensiero: vendetta nei confronti di chi l’ha incastrata, senza nemmeno battere ciglio.

L’idea è ottima, perché sfrutta un momento irripetibile come la caduta del Muro, decidendo però non di raccontare una storia di ricongiungimento o liberazione, ma una storia carica di risentimento. Non pensate però di premere play e trovare una serie cupa e oscura, tutt’altro. Kleo è un racconto che prova a unire dichiaratamente lo spirito di un Kill Bill con un’ironia alla Coen. La missione di Kleo a inizio puntata è raccontata con toni quasi surreali, così come il personaggio di Sven (Dimitrij Schaad), il poliziotto che in qualche modo la incastra e che proverà a tornare sulle sue tracce.

Kleo si butta alla ricerca di chi non l’ha aiutata, ma il suo è anche un confronto con se stessa e con una città (e una nazione) che non conosce più e che in parte non ha mai conosciuto. Tutto ciò che era il suo mondo, non esiste più e sta a lei scegliere cosa ricostruire e cosa eliminare. E trattandosi di un’assassina, eliminare è un termine tutt’altro che casuale. Se nelle prime sequenze la serie convince per quel tono scanzonato e autoironico cui si accennava, avanzando nel primo episodio non mancano le scene drammatiche, che sottolineano l’insensatezza del regime e la facilità con cui piccole decisioni di persone tutto sommato comuni potessero avere conseguenze devastanti sulle vite di altri.

Kleo è una serie piccola, ma ben strutturata e realizzata: è finita in alto nella top ten delle serie più viste su Netflix e in questo caso il risultato è più che meritato.

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