20 Dicembre 2022

1923 – Il secondo, pregevole prequel di Yellowstone di Diego Castelli

Dopo 1883, Taylor Sheridan racconta un altro capitolo della saga della famiglia Dutton. E non bada a spese.

Pilot

ATTENZIONE! CI SONO SPOILER SULLA MINISERIE 1883 (CHE VIENE PRIMA DI QUESTA NUOVA 1923)

Se avete ascoltato la puntata di Salta Intro+ di questa settimana, quella in cui con il Villa commentiamo la nostra personale classifica delle migliori novità dell’anno, già sapete che, al momento della registrazione, mancava una serie importante all’appello, una che ancora non avevamo visto ma che attendevamo con una certa trepidazione. Soprattutto, una serie che minacciava/prometteva di poter finire in top ten.
Stiamo parliamo di 1923, il nuovo prequel di Yellowstone dopo il già ottimo 1883.

Ebbene, alla fine 1923 ha debuttato negli Stati Uniti (in Italia arriverà probabilmente ai primi di febbraio su Paramount+), e tutto è andato come previsto: il mio entusiasmo e anche il mio fastidio per il fatto che, probabilmente, la top ten se la meriterebbe veramente.
Ma facciamo così, per ora la piazzo appena appena fuori, e poi aspettiamo la fine della stagione per fare altre modifiche. Così almeno mi faccio delle vacanze serene.

Nel recensire 1923 mi trovo ancora una volta nella spiacevole posizione di giudicare un prequel di Yellowstone senza seguire Yellowstone, un problema a cui in questo ponte natalizio vorrei cercare di porre rimedio.
Allo stesso tempo, proprio la sua natura di prequel permette di seguire 1923 con un certo agio anche se non si è già esperti delle vicende della famiglia Dutton.

Perché il centro della storia è ancora quello, la famiglia di mandriani che, provenendo dall’Europa nella seconda metà dell’Ottocento, mette in piede un piccolo impero nel Montana, impero però sempre minacciato da mille problemi economici, familiari, legislativi e quant’altro.
Un western moderno, con venature da soap opera, che con 1883 e ora 1923 trova una fondazione che western lo è “sul serio”, proprio nel senso di un certo tipo di ambientazione, di costumi, di tipologie di storie.

Vale la pena di fare un piccolo riassunto genealogico, in ordine cronologico.
In 1883, la serie con l’ambientazione più antica di questo “Sheridanverse” (dal nome del creatore di tutta la baracca, Taylor Sheridan), seguivamo le alterne fortune di James Dutton, di sua moglie Margaret, e dei tre figli Elsa, John e Spencer.

Al termine di 1883, Elsa, che era di fatto la vera protagonista dello show, muore, ma del resto della famiglia non sappiamo più niente.
All’inizio di 1923, una serie che per licenza poetica è ancora una volta narrata dalla voce di Elsa (interpretata da Isabel May), veniamo a sapere che James e Margaret sono morti non troppi anni dopo, e che Margaret, rimasta vedova per prima, aveva chiamato alla guida dell’azienda di famiglia il fratello di James, Jacob, di cui all’epoca non sapevamo nulla.

Arrivato in America, Jacob si è messo a capo della famiglia Dutton, allevando anche i figli di James come se fossero i suoi, e fondando effettivamente un impero che in 1883 non era nemmeno all’orizzonte, visto che James era più che altro impegnato a sopravvivere in una natura selvaggia e ostile che pareva uscita da un romanzo di Cormac McCarthy.

Ebbene, il fratello Jacob è il protagonista di 1923. È interpretato da Harrison Ford, ha una moglie, Cara, con la faccia di Helen Mirren, e guida una famiglia fatta tutta di nipoti che continuerà la stirpe dei Dutton fino ai giorni nostri. Il protagonista di Yellowstone, cioè John Dutton III, interpretato da Kevin Costner, ha infatti per nonno quel John Dutton (che a questo punto possiamo considerare John Dutton “senior”) che era il figlio di James, poi allevato da Jacob.

Vi torna? Spero di sì, ma comunque non è fondamentale per comprendere la storia di 1923.

Quella del nuovo prequel, a giudicare dal pilot, è ancora una trama che parla di mandriani e beghe familiari, ma è anche in qualche modo una storia di confine.
Non tanto di confine “geografico” (di quello si era occupata soprattutto 1883) quanto di confine temporale.

Sono passati pochi anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale e all’orizzonte c’è una seconda parte di Novecento che porterà cambiamenti inimmaginabili, a partire (ma questo lo sappiamo solo noi) dalla Grande Depressione.
Allo stesso tempo, il Montana di questa famiglia Dutton è ancora profondamente western, con i cowboy, i cavalli, le pistole alla cintura, i saloon (in cui però arriva l’onda del Proibizionismo) e una generale attitudine maschia e concreta nei confronti della vita. Una vita che è quella, per l’appunto, dei cowboy, cioè dei “vaccari”, quelli la cui esistenza, comprese le gioie personali come i matrimoni, gira tutta intorno alle necessità dell’allevamento del bestiame.

Se questo è il cuore della vicenda, però, ci sono almeno altre due deviazioni.
Da una parte la storia di Teonna, una nativa americana da poco finita nelle maglie di un’istruzione cristiana che non fa alcuno sconto in quanto a violenze e vessazioni varie.
Dall’altra la vicenda di Spencer (ricordate, l’altro figlio di James, fratello di Elsa e John), che in questo primo episodio è in Africa ad abbattere leoni e leopardi, e che immaginiamo dovrà tornare in America sulla base di necessità non ancora ben delineate.

Siamo insomma dalle parti del grande affresco storico, che partendo dalle esigenze particolari di una singola famiglia vuole raccontarci un intero mondo, con le sue regole, le sue contraddizioni, le sue prepotenze, in cui perfino l’erba che bovini e ovini devono brucare diventa simbolo di un nascente capitalismo terriero che si allontana sempre di più dai sogni paradisiaci dei primi coloni americani, per avvicinarsi alle violenze e lussurie del denaro.

Quando avevamo letto per la prima volta che i protagonisti più famosi di 1923 sarebbero stati Harrison Ford ed Helen Mirren, avevamo già capito che Taylor Sheridan era pronto a rilanciare ancora su un universo già ora di grande successo.

Da questo punto di vista, e con probabili influenze sulla nostra classifica, il pilot di 1923 ha carisma da vendere.
La prima cosa che colpisce è proprio il livello produttivo, i soldi spesi. Molto più che in 1883, in cui a farla da padrone era un paesaggio incontaminato e pericoloso punteggiato di carri e cavalli, in 1923 si aprono scenari cittadini molto più umani e urbani, ma comunque di grande respiro, pieni di edifici d’epoca e masse di comparse.

È come se il vuoto terribile di 1883 fosse stato effettivamente colonizzato dagli instancabili esseri umani, ma senza che questo abbiamo portato necessariamente a una maggiore sicurezza. Se la Natura è stata almeno in parte dominata dagli uomini, c’è un’altra natura, quella umana, che minaccia costantemente i personaggi: litigi e scontri sono sempre dietro l’angolo, e di nuovo ci sembra di essere su un confine fra due diverse realtà, senza che nessuna delle due sia particolarmente rassicurante.

A fare la vera differenza, comunque (e pur considerando che Ford e Mirren, da soli, grondano di un carisma che regge da solo tutto lo schermo), c’è sempre la scrittura di Taylor Sheridan.

L’autore texano, che negli ultimi anni è sembrato appuntarsi sul petto la medaglia di ultimo macho repubblicano in una Hollywood sempre più spostata verso una sinistra verde, inclusiva, orgogliosamente diversificata, è prima di tutto uno che sa scrivere bene le sue storie.

Il pilot di 1923 ne è un nuovo esempio: da una parte ci sono tre trame da costruire e sviluppare, e tutto viene fatto in modo chiaro, preciso, ma senza diventare didascalico e senza mai rinunciare alla tensione drammatica, e mettendo fin da subito i personaggi in mezzo a situazioni spinose che non ci danno neanche il tempo di fiatare.

Soprattutto, 1923 deve inserirsi in una storia più grande di cui abbiamo già un prima e un dopo, e deve quindi veicolarci precise informazioni di contesto. Questo obiettivo viene raggiunto in due modi opposti ma ugualmente efficaci: da una parte la voce fuori campo di Elsa, che col suo tono languido e poetico crea collegamenti fra i vari pezzi del puzzle; dall’altra i dialoghi dei personaggi, che però non si limitano a fornirci le informazioni attraverso scambi inverosimili e costruiti, appunto, solo per informare, bensì in modo organico a una narrazione in cui le parole pronunciate dai protagonisti ci sembrano del tutto naturali e giustificate dal contesto, ma anche capaci di mettere noi al passo delle loro vite.

Quest’ultimo punto può sembrare banale, si potrebbe essere tentati di liquidarlo con un “beh chiaro che si fa così”.
Eh, mica tanto. Quali che siano i nostri generi preferiti, incappiamo quasi quotidianamente in sceneggiature sciatte in cui il primo obiettivo è dare agli spettatori una calda e rassicurante copertina di informazioni, a scapito però della verosimiglianza e della genuinità della storia e dei personaggi.
Non è altro che quella pigrizia che la nuova stagione di Boris ha brillantemente riassunto nella formula “o’ dimo”.

Ecco, con 1923 è diverso. Sceneggiatura, messa in scena e interpretazioni lavorano insieme per darci l’impressione di essere entrati in un mondo che esiste, che vibra, che nasconde grandi emozioni pronte per essere vissute.
Mica male, per un solo episodio.

Perché seguire 1923: se vi piace Yellowstone, naturalmente, ma più in generale se cercate una storia di ampio respiro e grande pathos.
Perché mollare 1923: se non sopportate l’estetica western e le serie maschie un po’ vecchia scuola.



CORRELATI