25 Luglio 2023

Operazione Speciale: Lioness – Su Paramount+ un altro Taylor Sheridan “doc” di Diego Castelli

Il creatore di Yellowstone alle prese con un grande cast e alcune segretissime operazioni speciali della CIA

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In questi giorni c’è un gran dibattere su Barbie, faide incontrollate che percorrono i social, accuse e controaccuse di nazifemminismo e di maschilismo becero, in un momento storico e mediale in cui il maschio etero e tradizionalista non riesce più a trovare un argine alla marea montante dell’inclusività.

Solo un uomo, un eroe ombroso stagliato contro il fuoco della rivolta, si erge solitario a difesa del maschio di una volta, di quelle storie veraci senza l’ansia da prestazione inclusiva, di quella Hollywood de ‘na volta in cui dovevamo preoccuparci solo di persone che si menano.

Quell’uomo è Taylor Sheridan, il suo regno è Paramount+, e la sua ultima creatura è Operazione Speciale: Lioness.

Naturalmente si fa per scherzare.

Si scherza perché non c’è niente di male nella lotta al patriarcato, a parte alcune singole storture inevitabili a causa della quota di beoti/e si trova in ogni paese, ogni esercito, ogni gruppo sociale. Si scherza perché non c’è un unico esponente di una certa, supposta “vecchia” scuola di fare cinema e televisione per il target maschile. E si scherza perché ridurre Taylor Sheridan a un pupazzotto reazionario sarebbe estremamente ingiusto per uno che ha dimostrato a più riprese di essere un autore vero.

Peraltro, potrebbe anche far sorridere il fatto che, dopo i vari Yellowstone (e spinoff), Tulsa King, Mayor of Kingston ecc ecc, Lioness è una serie pienamente al femminile e pienamente non-bianca, a partire dal concept per arrivare alle singole scelte di cast.

Operazione Speciale: Lioness (uso il titolo italiano perché traduzione letterale dell’inglese, e perché la serie è uscita in contemporanea anche sul Paramount+ italiano, finalmente!) racconta di un particolare programma della CIA guidato da Joe (Zoe Saldana) e incentrato sull’arruolamento di donne a cui viene affidato un tipo molto preciso di missioni: devono infiltrarsi nelle famiglie e nelle amicizie di certi noti terroristi, diventare amiche delle loro mogli/fidanzate/sorelle, e così facendo recuperare informazioni sulla loro posizione, in modo che la CIA possa andarli a beccare.

Il lavoro è particolarmente delicato perché, come si vede fin dalla prima scena, non c’è solo la difficoltà di costruire effettivamente questo rapporto di fiducia con i propri obiettivi, ma c’è soprattutto il pericolo che, se ti beccano a fare il doppiogioco, rischi di finire molto, molto male, e pure di diventare tuo malgrado un’informatrice del nemico.

I primi due episodi della serie, gli unici disponibili al momento di scrivere questa recensione, sono dedicati alla presentazione di una nuova recluta, Cruz (Laysla De Oliveira), entrata nell’esercito per fuggire a una vita di abusi e povertà, e ora chiamata a diventare una spia.
Vediamo relativamente poco della sua effettiva attività sul campo, mentre una larga parte di questi primi minuti di trama è dedicata a raccontare il suo passato, il suo reclutamento, e poi il suo addestramento.

Come si è visto, dunque, una storia potenzialmente molto femminile sia nel concept che nel cast, ma Taylor Sheridan resta Taylor Sheridan.

Se infatti la stessa storia, raccontata da un altro occhio, avrebbe potuto focalizzarsi sullo studio delle tecniche adeguate per essere una brava infiltrata (il buon vecchio spionaggio classicamente inteso), Operazione Speciale: Lioness parte da un altro punto.
A Sheridan interessa la storia di Cruz in quanto percorso di emancipazione cocciuta e violenta, costretta a passare attraverso un vero e proprio martirio fisico.

Nel tentativo di costruire l’agente perfetta, e dopo averne persa una da poco, Joe sottopone Cruz a un addestramento che, prima di essere dedicato alle sfumature dello spionaggio (di cui, va detto, ci si occupa troppo poco), è incentrato sulla sua resistenza alla tortura, la sua capacità di “resistere finché non riuscirò a venirti a prendere”.

La “leonessa” del titolo, in questo senso, diventa sia Cruz, una donna così bastonata dalla vita, da essere diventata una sorta di animale rabbioso e incontenibile, ma anche la stessa Joe, costretta a un ruolo di leader senza scrupoli che, anche più dei maschi nerboruti che ha intorno, si convince della necessità di andarci giù pesante per preparare a dovere la sua nuova pupilla.

Accanto alla storia militare, poi, conosciamo la famiglia di Joe, composta da un marito chirurgo pediatrico (interpretato dal buon vecchio Dave Annable di Brothers and Sisters, ma anche “figlio morto” in Yellowstone) e da due figlie che vedono poco la madre, spesso all’estero per lavoro.

È la classica famiglia disfunzionale in cui i lavori stressanti e senza orari di entrambi i genitori si ripercuotono inevitabilmente sulle dinamiche di coppia e di accudimento della prole. Il tutto, ovviamente, con ribaltamento rispetto allo stereotipo, visto che a giocare alla guerra è la madre, mentre il padre è la persona con la sensibilità potenzialmente più fragile e il lavoro più “materno” (sempre in termini di stereotipo).

Al momento, Operazione Speciale: Lioness funziona per motivi molto precisi, che attengono alla poetica di Taylor Sheridan e, appunto, a un certo modo vecchia scuola di fare racconto per immagini.
Anche se si tratta di una serie piena di facce femminili, a farla da padrone sono la violenza, lo sforzo fisico, la voglia di rivincita che diventa ossessione violenta e incontrollabile.

L’impressione è che, nel suo racconto di cose militari, Sheridan non cerchi chissà quale realismo (ma banalmente non ho gli strumenti per giudicare bene questo aspetto), quanto piuttosto il modo migliore, più diretto, muscolare e sanguinoso, per mostrare il carattere d’acciaio delle due protagoniste, ognuna mossa da motivazioni diverse e a partire da contesti differenti, ma capaci di “trovarsi” proprio in una determinazione incrollabile che le persone intorno a loro si possono solo sognare.

In questo sono perfettamente eroine alla Sheridan, non tanto diverse da un Kevin Costner che morirebbe piuttosto che cedere la sua terra, da una Ellen Mirren pronta a immolare la sua vecchiaia alla protezione del marito e del ranch, da un Jeremy Renner depresso, incazzato e traumatizzato, che prova comunque a tenere insieme il caos della sua vita e della sua città.

Per un repubblicano amante del western quale è Sheridan, questa lotta spasmodica per mantenere la legge e l’ordine – quest’ultimo inteso anche, più o meno velatamente, come mantenimento di uno status quo placido e tradizionale – è LA battaglia, il fine ultimo di qualunque azione morale, che si tratti di salvare un ranch dalla maledetta modernità, o di proteggere la democrazia a stelle e strisce dai cattivi dell’ISIS.

È possibile che, se ci trovassimo a parlare di etica e politica con Taylor Sheridan, i disaccordi comparirebbero presto, ma se parliamo dei suoi film e delle sue serie, è difficile non riconoscergli una grande capacità di creare la suspense, di colpire lo spettatore lasciandolo tramortito, e di costruire personaggi di grande forza, perché messi fin da subito in situazioni estreme in cui devono mostrare (o costruire) un carattere così affilato da bucare lo schermo.

Peraltro, per quanto i suoi gusti e temi di fondo siano abbastanza palesi, le opere di Sheridan non sono nemmeno così politiche nel senso più esplicito e dozzinale del termine, perché il nostro ha palesemente un rispetto troppo grande dei suoi spettatori, per mettersi a fare lezioncine.
Semplicemente, ama un cinema e una serialità che si fa sempre meno, e che lui dimostra, serie dopo serie, di funzionare ancora benissimo.

In attesa di vedere gli sviluppi (consideriamo pure che, dopo aver visto Nicole Kidman nei primi due episodi, arriverà anche Morgan Freeman), il dubbio che resta dopo questo esordio riguarda proprio la debolezza con cui è costruita la componente spionistica.
Quale che sia l’approccio da cui si vuole partire, e anche se accettiamo fin da ora di stare guardando una cosa diversa da The Americans, non si può rischiare di tralasciare troppo gli aspetti più tecnici dell’infiltrazione.

Per dirla con altre parole, vedere che Cruz viene arruolata e lanciata verso la sua preda (cioè la ragazza di cui deve diventare amica) senza mezzo briefing su come si dovrebbe comportare una persona nella sua posizione, ci lascia un preciso senso di approssimazione, a prescindere da come le cose avvengano nella realtà.
Abbiamo visto troppi film con spie preparatissime e addestratissime a ogni situazione sociale, per non storcere il naso di fronte a una che viene mandata in missione con il caratteraccio che ha e senza aver avuto alcun addestramento specifico.

Ma è ancora presto per questo tipo di bilanci, vedremo.

Perché seguire Operazione Speciale: Lioness: per la capacità di Taylor Sheridan di mettere in scena storie forti con personaggi forti, senza altri inutili fronzoli.
Perché mollare Operazione Speciale: Lioness: perché pur avendo protagoniste donne, l’orgoglioso machismo dell’autore continua a vedersi, e può non piacere.



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