5 Ottobre 2023

Il finale di Ahsoka va sul (troppo) sicuro di Diego Castelli

Nel finale di stagione (o forse di serie) Ahsoka chiude alcune linee e ne lascia aperte altre, dimenticandosi un po’ di dramma per strada

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ATTENZIONE! SPOILER SUL FINALE DELLA PRIMA STAGIONE DI AHSOKA

Mi sento un po’ strano, rispetto alle abitudini di questo sito, a scrivere per la terza volta di una singola stagione di una serie.
Il finale di Ahsoka, però, impone qualche ulteriore riflessione rispetto a quanto detto in occasione del pilot e, poi, dell’emozionante quinto episodio.

C’è da fare un bilancio della stagione nel suo complesso, che ci lascia un’impressione positiva nonostante qualche scelta del finale che vedremo fra poco, e anche un ragionamento su come Ahsoka si incastra in quello che dovrebbe essere il mosaico futuro di Star Wars, che al momento non è nemmeno così definito.

Del perché Ahsoka sia stata una buona serie, superiore ad altre nel recentissimo passato di Star Wars, abbiamo già parlato, e il concetto si potrebbe riassumere con la frase seguente: Dave Filoni, prima di essere uno sceneggiatore di Star Wars, ne è un appassionato, e Ahsoka è un atto d’amore verso la Star Wars classica, quella dei jedi e delle spade laser e di un certo modo filosofico e spirituale di intendere le vicende della galassia lontana lontana.

Nell’ottavo episodio, questo amore viscerale per il materiale di partenza (di cui naturalmente fanno parte le serie animate scritte dallo stesso Filoni) si traduce principalmente in due elementi: la volontà di costruire un episodio particolarmente action, in cui le battaglie a colpi di spade laser e Forza si prendono una bella fettà della quarantina di minuti (con coreografie in stile Lucas, naturalmente); e poi il gusto di seminare qui e là riferimenti espliciti a Clone Wars e a Rebels, che rimangono oscuri a chi non ha seguito i cartoni, ma diventano materia di emozioni per chi li conosce.
(Già che ci siamo potremmo citarne due: la spada di Talzin con cui Morgan combatte Ahsoka, e l’apparizione di Morai, la simil-civetta legata alla Forza la cui storia sarebbe troppo lungo riassumere qui, che appunto dà ai fan di Clone Wars la precisa impressione di “essere ancora in quel mondo lì”).

Questo approccio particolarmente “mosso” al finale, però, non poteva esimere Filoni dal chiudere almeno in parte i cerchi costruiti durante tutta la stagione, e le scelte e i risultati in questo specifico campo sono altalenanti.

Sul fronte delle buone cose troviamo sicuramente alcune idee efficaci, a cominciare dal dialogo fra Ezra e Huyang che porta alla costruzione di una nuova spada laser per il giovane, completata grazie a un pezzo appartenuto al suo maestro, che a sua volta aveva preso lezioni di Huyang.
Un bel modo di risolvere un problema pratico, riuscendo al contempo a generare i soliti, apprezzati riverberi inter-seriali.

Ma se volessimo saltare dall’inizio alla fine dell’episodio, anche la scelta di operare un totale ribaltone, facendo tornare Ezra a casa ma costringendo Ahsoka e Sabine a rimanere nella galassia “ancora più lontana”, è un twist deliziosamente bastardo, a cui si però arriva attraverso una crescita soprattutto di Sabine: la ragazza, che per tornaconto personale (voleva rivedere Ezra) aveva messo a repentaglio la vita di… beh, chiunque, adesso si trova ancora una volta nella posizione di dover scegliere fra Ezra e la “cosa giusta”, propendendo alla fine per quest’ultima: invece di seguire Ezra sullo star destroyer, Sabine rimane indietro per aiutare Ahsoka, che altrimenti sarebbe spacciata contro Morgan e i soldati zombie (???) risvegliati dalle streghe.

Ci troviamo di fronte, dunque, a una definitiva ricomposizione fra Ahsoka e la sua padawan, dopo che Ahsoka ha deciso di seguire le orme del suo maestro Anakin, che mai l’avrebbe abbandonata nel momento del bisogno, così come ora lei non vuole abbandonare Sabine.
A posto quindi? Ci torna tutto?
In realtà no.

A questo finale, che come detto vuole chiudere certi conti per lasciarne aperti degli altri (non ultimo, va da sé, il fatto che il Grand’Ammiraglio Thrawn riesce effettivamente a tornare indietro per cercare di ricostruire l’Impero), manca prima di tutto un po’ di sano dramma, di necessaria intensità.

La storia finora aveva apparecchiato ben bene la tavola per diverse esplosioni di emozione che però restano inspiegabilmente trattenute, sorprendentemente annacquate.
Pensiamo a Sabine, che come accennato ha messo a rischio l’intera sua galassia pur di raggiungere Ezra: il rapporto tra i due non è poi stato particolarmente frizzante, e al momento di lasciarlo andare per stare con Ahsoka, la reazione di Sabine non è stata particolarmente conflittuale. (Francamente, in questo ci vedo anche qualche limite recitativo di Natasha Liu Bordizzo, che mi è parsa non cambiare mai espressione in otto episodi).
Lo stesso Ezra, quando torna a casa, non solo non sembra particolarmente segnato dal fatto che Sabine e Ahsoka sono rimaste indietro, ma saluta Hera con blanda tranquillità, come se non fosse fuggito cinque minuti prima dall’astronave di un mega-cattivo che è appena tornato per mettere a ferro e fuoco la galassia. Cioè, mi sarei aspettato un pochino più di panico e di urgenza.
Non parliamo poi della stessa Ahsoka, che accetta un nuovo destino con una calma zen che magari sarà anche coerente con quello che è diventato il suo personaggio, ma allo stesso tempo è sembrata veramente eccessiva.
Quel “It’s time to move on”, “È tempo di andare oltre”, pronunciato dalla protagonista subito dopo la partenza di Ezra e di Thrawn, è veramente esagerato per una che non solo è appena rimasta confinata in un posto di merda potenzialmente per la sua intera vita, ma che soprattutto ha appena fallito la sua missione: Ahsoka sa benissimo che Thrawn sta andando a fare stragi, sa benissimo che lei ha fallito nell’impedire che questa cosa avvenisse, e la sua reazione è un sorrisino serafico e il concetto “vabbè, ormai siamo qui”.

Nemmeno fra i cattivi le cose tornano del tutto, con Baylan Skoll praticamente dimenticato nell’ultimo episodio (lui che era stato uno dei personaggi migliori finora), dopo una separazione dalla sua apprendista apparsa anch’essa piuttosto frettolosa.

Non si conosce ancora l’esatto destino di Ahsoka, inteso sia come personaggio sia come serie tv. Lo show non è stato ufficialmente rinnovato, e c’è chi dice che la prima e forse unica stagione sia servita più che altro come preparazione al futuro film ambientato nel Mandoverse (cioè l’insieme di storie e personaggi che ramificano da The Mandalorian, come appunto Ahsoka) e che sarà diretto dallo stesso Dave Filoni, alla sua prima vera prova con il cinema che conta.
In questo caso, ci potremmo aspettare un film che funga da raccordo fra la storia di Thrawn e la recente trilogia cinematografica, ambientata in un tempo futuro rispetto agli avvenimenti di Ahsoka. Per esempio, potremmo vedere il ruolo di Thrawn nella costituzione del Primo Ordine, e vedere anche come Filoni farà a giustificare il fatto che nessuno dei personaggi del Mandoverse appare poi in Episodio VII-VIII-IX.

E in ultimo, ovviamente, c’è anche l’ipotesi che Ahsoka non torni mai più proprio perché ormai trasferitasi in una nuova galassia in cui far partire un nuovo ciclo di storie che siano sempre “Star Wars”, ma che possano infine sganciarsi dalla saga degli Skywalker che, a causa di scelte discutibili e piccoli e grandi pasticci, ha finito col diventare più un peso che altro.

Al netto però delle speculazioni e dei ragionamenti da nerd che si possono fare su una saga iniziata con tre semplici film, e poi espansa in un grande e sempre meno gestibile reticolo di storie e personaggi, resta la perplessità per un finale di Ahsoka che, accanto a buone intuizioni e una messa in scena molto solida e rispettosa della tradizione, è anche risultato stranamente depotenziato.

Al netto di tutti i ragionamenti e riflessioni che si possono fare sulla saga nel suo complesso – online trovate persone che bocciano praticamente ogni nuovo capitolo oltre i tre originali; gente che impazzisce solo per Andor nella speranza che quella adulta e ombrosa sia l’unica direzione possibile; fan dei cartoni che adorano la narrazione tradizionalista e rispettosa di Filoni; e chissà quante altre opinioni, tutte legittime – l’impressione è che il buon Dave si sia impegnato soprattutto a ricostruire i fili delle sue vecchie storie animate, dando loro un seguito narrativamente coerente e visivamente affascinante.

E ce l’ha fatta, sia ben chiaro: ha trovato la chiave e gli interpreti giusti per rappresentare quasi tutti i personaggi, è stato paraculo quando è venuto il momento di scatenare la nostalgia (senza per questo rinunciare a un’idea di racconto e di messa in scena che avesse pienamente senso), e molto banalmente è riuscito a fare bene tante piccole cose, maneggiando con cura una grande mole di dettagli.

Però si è dimenticato qualche pezzo non indifferente, tipo rendere Ahsoka una serie emozionante e “carica” fino alla fine e di per sé, non soltanto in relazione al mosaico più grande di Star Wars.
Perché al termine di Ahsoka, quando la protagonista è confinata in una galassia e su un pianeta un po’ troppo simili a quelli che già conosciamo (cosmicamente realistico, ma narrattivamente e stilisticamente poco efficace), ai personaggi sembra importare relativamente poco di quello che è successo negli otto episodi appena trascorsi. E se a loro non è importato, perché deve importare a noi?

Attendiamo di vedere cosa succedera di Guerre Stellari da qui a qualche mese e qualche anno, consci del fatto che ormai il destino e soprattutto i risultati della saga sono sempre un terno al lotto.
Che la Forza sia con noi.



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