26 Gennaio 2017 7 commenti

Con la sesta stagione Homeland è diventata un’altra serie tv, di nuovo di Marco Villa

Dopo tre stagioni si torna negli Stati Uniti e Homeland cambia pelle per l’ennesima volta

Copertina, On Air

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ATTENZIONE: SI PARLA DELLE PRIME 5 STAGIONI DI HOMELAND

Homeland è la serie che non muore mai, quella che sa reinventarsi a ogni stagione, cambiando ambientazioni e vicende, senza mai modificare il proprio dna. Ricordiamolo: è una serie partita con la storia personale di un soldato sequestrato e passato al nemico, una storia precisa e delineata, che ha occupato ben tre stagioni e ha quasi portato al collasso Homeland. Gli autori si sono spinti molto in là con gli sviluppi del concept originale e quando questo si è esaurito hanno saputo reinventare la serie in modo assoluto, trasformandola in una serie spy più classica nel plot, ma anche più efficace e adattabile.

Dopo il Brody-centrismo iniziale abbiamo avuto una stagione a Baghdad e una a Berlino, entrambe caratterizzate da Carrie Mathison sul campo, impegnata in prima persona nel tentativo di scongiurare attentati di terroristi islamici assortiti. Accanto a lei, oltre al saggio Saul Berenson, il complessato e Quinn.

Proprio da Quinn riparte Homeland: dopo tre stagioni, siamo tornati in pianta stabile negli Stati Uniti, per la precisione a New York. Qui vive Carrie con la figlia Frannie, qui si trova anche Quinn, ricoverato in ospedale per la riabilitazione necessaria dopo aver rischiato di essere ucciso con il gas nervino dagli jihadisti a Berlino. Buona parte dei primi due episodi della quarta stagione di Homeland è occupata dal rapporto tra Carrie e Quinn, due persone che non hanno nessuno al mondo (Frannie esclusa), che tengono tantissimo l’uno all’altra, ma che instaurano sempre un rapporto di reciproca distruzione. Succede anche in questo caso e la possibile rinascita di Quinn si configura come una delle storyline più intense delle puntate a venire.

E poi c’è Homeland. Ovvero la parte spy della serie di Showtime, che quest’anno sembra avviarsi su binari molto differenti rispetto al passato. Non c’è un attentato da sventare o un gruppo terroristico da fermare, ma un innocente da tirare fuori dal carcere. Carrie ha infatti continuato a lavorare con Otto During, il mecenate che, con la sua fondazione, si occupa di proteggere persone perseguitate a vario titolo. Nel dettaglio, Carrie segue il caso di un ragazzo musulmano di nazionalità statunitense, che viene arrestato dall’FBI in quanto ritenuto filo-jihadista. Ovviamente la faccenda sarà molto più complessa del previsto, ma soprattutto va a toccare un tema cruciale, come quello della vita dei musulmani negli Stati Uniti. Un tema reso ancora più attuale e importante dall’elezione di Donald Trump, che in campagna elettorale offese la memoria di un soldato statunitense di religione islamica, morto in azione.

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Ecco, il presidente. Il secondo livello della storia di Carrie la vede consigliera segreta del presidente degli Stati Uniti, che incidentalmente è una donna super-liberal e restia all’utilizzo di sorveglianza e bombardamenti, interpretata da Elizabeth Marvel. È evidente che la volontà degli autori fosse quella di inseguire la realtà: anche loro speravano/erano convinti che alle elezioni presidenziali di novembre avrebbe vinto Hillary Clinton.

Queste sono le tre storyline principali della stagione ed è evidente il buco gigantesco rispetto al passato: nei primi due episodi manca clamorosamente l’azione, manca quell’intreccio tensivo che è sempre stato l’architrave di Homeland. Il trailer ci mostra che quel filone verrà riesumato nel corso della stagione, ma la sensazione è che Homeland abbia cambiato pelle in modo radicale, come mai fatto prima.



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