6 Marzo 2018 3 commenti

The Looming Tower – Il racconto del più grande fallimento dell’intelligence americana di Marco Villa

The Looming Tower è la storia di come FBI e CIA non riuscirono a fermare l’11 settembre perché distrutte dai conflitti interni

Copertina, Pilot

​Se vedi un agente segreto o una spia all’opera, sai già quali elementi troverai all’interno di quella storia: dilemmi morali dilemmi politici e un uso della violenza a tratti discutibile, ma sempre finalizzato al raggiungimento di un bene superiore. Se c’è un altro elemento che sei sicuro di trovare è che alla fine il bene trionferà, dove per bene ovviamente si intende la parte del protagonista. Homeland ci ha insegnato che anche i fallimenti possono essere appassionanti e affascinanti da raccontare, ma The Looming Tower porta questo discorso a un altro livello, perché questa non è la narrazione di un’operazione andata male, è il racconto del più grande fallimento dell’intelligence occidentale, in particolare statunitense: il racconto di come C.I.A. e FBI non siano stati in grado di prevenire l’11 settembre.

The Looming Tower è una serie in cinque puntate in onda dal 28 febbraio e basata sul libro omonimo di Lawrence Wright. The Looming Tower è interessante non solo per il tema, ma per anche per il fatto che Hulu con The Handmaid’s Tale nel 2017 si sia segnalata tra le produttrici più importanti e contemporanee del panorama televisivo internazionale. Quella di The Looming Tower è la storia di come degli intrecci di potere di interesse abbiano impedito alle due principali agenzie di sicurezza di lavorare di comune accordo sul finire degli anni 90. In particolare la storia segue le vicende dell’unità antiterrorismo delle Pin, guidato da John O’Neill (Jeff Daniels sempre al top) e che ha nel giovane agente Ali Soufan uno dei suoi elementi più brillanti, grazie anche al suo essere madrelingua arabo.

Nel primo episodio assistiamo al racconto parallelo di due trame: da una parte l’organizzazione sempre più sofisticata da parte di al Qaeda, che inizia sferrare i primi attacchi colpendo le ambasciate americane in Kenya e Tanzania, Dall’altra le due agenzie che tentano di contrastare l’avanzata dei terroristi: in contrapposizione al personaggio di Jeff Daniels, c’è Martin Schmidt (Peter Sarsgaard) un professore della C.I.A. che viene tratteggiato come una sorta di freak, circondato solo da donne con cui ha dei rapporti che hanno l’aria di essere promiscui e che tiene per sé le informazioni più preziose, convinto che i colleghi non siano in grado di gestirle in modo adeguato.

Con un concept di serie di questo tipo, è evidente che più che la storia generale legata all’11 settembre, l’attenzione vada posta sullo sviluppo dei personaggi. E qui arrivano i primi problemi: il personaggio di Daniels sembra uscito da un film degli anni ‘50. Sposato con figli, con un amante in città e dotato di un carisma strabordante, che gli permette di essere duro con i propri nemici e paterno con gli agenti che crescono sotto la sua ala, come il già citato Ali, che diventa suo pupillo. Al contrario, come già avrete intuito dalle descrizioni di poche righe fa, la sua controparte è tratteggiata in modo quasi grottesco.

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Il risultato è una storia di fondo più che interessante, soprattutto per il suo essere narrazione di un enorme fallimento, nella consapevolezza di quanto gli americani facciano fatica a non auto-esaltarsi. La parte più thrilling è invece curata molto bene, le scene che portano agli attentati nella prima puntata sono molto curate e la tensione è innegabile. Altrettanto interessante è l’utilizzo di materiali di archivio: viene infatti mostrato per larghi tratti il servizio giornalistico realizzato da un giornalista di ABC, che andò ad intervistare Osama Bin Laden proprio prima degli attacchi a Kenya e Tanzania, che furono di fatto il prologo all’11 settembre.

La commistione tra realtà e finzione quindi funziona alla grande, l’unico dubbio che c’è da esprimere dopo il primo episodio è proprio la cura dei personaggi, che sorprende visto che arriva da un canale che su questo elemento ha costruito gran parte della propria credibilità. Viene quasi da dire che, non potendo raccontare una Grande Storia Eroica su degli Eroi Americani, l’unico modo per evitare di spiazzare ulteriormente il pubblico fosse quello di dipingere personaggi al limite dello stereotipo che non avessero bisogno di alcuna decodifica. Un buco di un certo peso, ma che riesce comunque a essere bilanciato dalla forza della storia di fondo.

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