23 Febbraio 2022

Severance: su Apple Tv+ l’incrocio fra The Office e Black Mirror di Diego Castelli

In Severance, vita privata e vita lavorativa non si toccano e non si conoscono, ed è molto peggio di quanto potreste pensare

Pilot

Sarà che, in termini storici più complessivi, è un mondo relativamente “giovane”. Sarà che, nonostante questo, lo conosciamo tutti benissimo e ci siamo passati almeno in qualche forma. Sarà che è uno simboli più fulgidi di quel misto di benessere, frustrazione e alienazione che è il capitalismo nei paesi occidentali. Fatto sta che l’ufficio, e più in generale la vita da impiegati, è da sempre un territorio privilegiato per sperimentazioni e parodie, dal Fantozzi che si prepara all’uscita dalla megaditta come un centometrista, alle peripezie dei venditori di carta di The Office. E ora ci dobbiamo aggiungere anche Severance, in italiano Scissione, nuova serie di Apple Tv+, creata da Dan Erickson e prodotta (e in buona parte diretta) da Ben Stiller.

Giova ricordare, nel caso vi suonasse qualche campanello, che esiste già un film chiamato Severance (con l’azzeccato sottotitolo italiano di “Tagli al personale”), in cui si immaginava, fra horror e humor inglese, una gita fra colleghi in cui i lavoratori venivano uccisi e mutilati da un serial killer, giocando fin dal titolo sul doppio significato di “amputazione” e “licenziamento”.

Già all’inizio ci siamo buttati in un ardito parallelismo con The Office e Black Mirror, però prima di addentrarci in qualche dettaglio, è necessaria una premessa: cercherò di fare meno spoiler possibili, ma Severance è una serie che meriterebbe una visione completamente vergine, all’oscuro di tutto.
Se pensate di volerle dare una chance, e io sostengo che se la meriti, fermatevi qui, guardate i primi due episodi, e poi tornate.

Per voi che siete ancora qui, sia che abbiate visto la doppia premiere sia che abbiate semplicemente la curiosità che vi rode, Severance parte da un piccolo, preciso e stuzzicante assunto simil-fantascientifico: è stata inventata una procedura chirurgica che consente agli impiegati della misteriosa Lumon Industries di scindere la propria percezione in due. In pratica, non appena varcano la soglia dell’edificio in cui lavorano, perdono qualunque memoria della loro vita esterna, e ricordano solo ciò che è accaduto in ufficio. Ugualmente, appena escono, tornano quelli di prima e dimenticano tutto quello che è accaduto sul lavoro. La procedura è legale e volontaria, ed è (vagamente) giustificata come una misura necessaria per garantire la sicurezza dei dati sensibili trattati dalla Lumon.

Protagonista della storia è Mark, interpretato da Adam Scott, che lavora in un ufficio con Irving (il mitico John Turturro), Dylan (Zach Cherry) e la nuova arrivata Helly (Britt Lower). E in giro per l’ufficio trovate anche Patrica Arquett e Christopher Walker, così come bonus. Probabilmente è per questo, oltre che per i motivi più ovvi legati all’ambientazione, che mi ha fatto pensare a The Office: gente come Adam Scott, John Turturro e Christopher Walken sarebbe stata benissimo nella sitcom di BBC / NBC.

La trama, ancora abbastanza agli inizi perché i primi due episodi servono soprattutto a dare i contorni di un mondo tanto curioso quanto inquietante, segue in primo luogo Mark nella sua doppia vita dentro e fuori l’azienda, anche se ovviamente la scintilla di cambiamento di una situazione altrimenti stabile arriva dalla possibilità, o forse dalla necessità, per Mark, di conoscere quello che accade fra le mura della Lumon.

Come detto, vorrei limitare al minimo gli spoiler, perché molti dettagli nella costruzione del mondo di Severance meritano di essere scoperti poco alla volta. Basti dire che, da quella singola idea iniziale, derivano numerose conseguenze “pratiche” riguardanti il modo in cui la vita dell’ufficio viene descritta e specificata, così come il rapporto necessariamente un po’ surreale fra gli impiegati e il mondo esterno (un rapporto che non c’è, ma che proprio per la sua assenza si fa sentire più che nella nostra quotidianità).

Quello che ne deriva è una sorta di thriller fantascientifico con piccole botte di surreale e perfino di umorismo, alternate a brevi ma ficcanti discese nell’oscurità, legata soprattutto al peso avvertito da Mark per la sua vita scissa e per i motivi che l’hanno condotto alla decisione di accettare quella procedura.

Detto tutto questo, però, è chiaro che Severance va valutata anche per la sua valenza simbolica e metaforica.
Nel più classico dei meccanismi da fantascienza distopica, Severance crea una cornice estrema e difficilmente realizzabile, per parlare di temi molto più concreti e realistici.

L’alienazione dei lavoratori nelle grandi corporation; la spersonalizzazione del personale (gioco di parole necessario, perdonatemi) in contesti in cui a volte nemmeno si capisce il reale obiettivo del lavoro; l’ossessione per la privacy e la protezione dei dati (ma solo quelli dell’azienda); la condizione di semi-schiavitù in cui i dipendenti sono assoggettati in una società in cui quella schiavitù è considerata sostanzialmente normale, ragionevole, “stai zitto e ringrazia che hai un lavoro”.

Per non essere completamente irrealistica, Severance contempla anche la presenza di alcuni attivisti che denunciano la follia della procedura di scissione, ma a difendere l’azienda si fa avanti proprio Mark, che pur vivendo sulla sua pelle (o meglio, sulla pelle del se stesso esterno alla ditta) gli squilibri psicologici di quella condizione, non esita a mettere tutta la sua passione e aggressività nella difese delle sue scelte passate, per non rischiare di accorgersi di aver commesso un errore decisivo per la sua vita.

Non è difficile, insomma, trovare in Severance delle riflessioni di più ampio respiro che abbraccino il modo in cui concepiamo il nostro lavoro e il modo in cui ci incastriamo nel complesso ingranaggio della società, né è difficile trovare una critica, nemmeno troppo velata, a tutti quei processi di standardizzazione e assimilazione della singola identità a quella aziendale.

La cosa buona, però, è che Severance racconta innanzitutto una storia, e se è vero che il suo peso di lettura sociale e culturale è evidente, è altrettanto vero che non si perde di vista la necessità di creare una trama e dei personaggi che abbiano una loro coerenza e spessore, che funzionino a prescindere dai discorsi politici che su di loro possono essere costruiti.

In aggiunta a questo, bisogna anche dire che Severance è stata fortunata e/o furba. Apple diede il via libera alla serie a novembre 2019, senza sapere quello che sarebbe successo di lì a due anni, ma alla fine le vicende legate alla pandemia non hanno fatto altro che rendere il progetto ancora più interessante.

Come non pensare, infatti, a come sono cambiate (in meglio e in peggio) le condizioni di lavoro durante la pandemia? Come non riflettere sull’arricchimento delle grandi corporazioni e singoli miliardari, ai danni di una popolazione sempre più a rischio povertà (e quindi sempre più disposta ad accettare condizioni e paghe umilianti pur di sopravvivere)? Come non vedere, nella strenua difesa delle proprie decisioni da parte di Adam, la cieca determinazione di ancora oggi nega l’evidenza della pandemia e dell’utilità degli strumenti per combatterla? Come non pensare alle sempre più ricche e divisive riflessioni sull’articolazione concreta dell’attività lavorativa, con particolare riferimento al ruolo dello smart working, che ha portato alla luce del sole tensioni e contraddizioni mai così esplicite (i lavoratori che preferiscono stare a casa percependo un netto miglioramento della loro qualità di vita, le aziende che li vogliono controllare, le miriadi di attività collaterali che muoiono se la gente non si sposta fisicamente per andare a lavorare, ecc ecc)?

Forse l’aspetto migliore di questi due episodi di Severance è che raccontano tanto, ma lasciando l’impressione di avere ancora tantissimo da dire. Al termine del doppio pilot siamo incuriositi, divertiti, anche un po’ disturbati. Abbiamo l’impressione che sia stata messa moltissima carne al fuoco sia dal punto di vista narrativo che tematico, e ora vogliamo vederla cuocersi e rosolare come si deve, con la speranza che alla fine avremo assistito a uno spettacolo che ci avrà lasciato qualcosa, sicuramente un intrattenimento intelligente, ma forse anche una nuova visione del mondo.

Comunque la vogliate guardare, uno dei migliori esordi degli ultimi tempi.

Perché seguire Severance: originale, divertente, inquietante, interessante.
Perché mollare Severance: solo se andate in sbattimento con i concept a metà fra realistico e assurdo.



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