17 Marzo 2022

The Last Days of Ptolemy Grey – Samuel L. Jackson sbarca su Apple Tv+ di Diego Castelli

Una serie di buone potenzialità, che ci mette una vita a partire

Pilot

Se ci seguite da un po’ di tempo, qui o sul podcast, avrete già incontrato una questione che circola spesso, cioè quella di alcune differenze “classiche” fra serie generaliste e serie da pay tv / piattaforma a pagamento. Nell’affrontare The Last Days of Ptolemy Grey, miniserie di Apple Tv+ con protagonista Samuel L. Jackson, tratta dall’omonimo romanzo di Walter Mosley (che è anche creatore della serie), una di queste differenze è saltata fuori con una forza quasi buffa, che non vedevo da tempo.

Parliamo del tempo che un racconto è disposto a prendersi per mettere le carte in tavola, per prepararsi il terreno. Un canale generalista, che vive (e muore) anche di zapping e deve tenere sempre desta l’attenzione di un pubblico che potrebbe cambiare canale in ogni momento, i pilot sono ricchi di informazioni, di sorprese, di picchi di tensione. Spesso sono gli episodi migliori di un’intera serie. Il caso più recente è quello di The Cleaning Lady, fra le puntate più “dense” che ci siano capitate di recente.

Le reti cable, invece, sanno già di essere state “scelte”, e quindi non si fanno problemi: se una storia ha bisogno di più tempo per ingranare, si cercherà di darglielo, perché quello che conta è l’esperienza complessiva. Ebbene, la cosa curiosa è che l’elemento centrale di The Last Days of Ptolemy Grey, il dettaglio narrativo che viene spontaneo citare per primo se si presenta la serie a qualcuno, arriva al minuto 40 del secondo episodio. Alla faccia del prendersi il tempo per preparare…

Questo famigerato dettaglio è presto detto: Ptolemy Grey (Samuel L. Jackson) è un ultranovantenne che vive da solo, assistito saltuariamente solo da un prodigo nipote che gli dà una mano e cerca di evitare che lo zio si dimentichi di mangiare o di andare in bagno. Ptolemy è ormai affetto da una forma di demenza senile che gli fa dimenticare le cose e lo fa sentire spesso spaesato, ma c’è una scintilla di speranza: un farmaco sperimentale che potrebbe ridargli tutti (ma proprio tutti) i suoi ricordi.

Ecco, questa cosa del farmaco, per quanto venga effettivamente accennata abbastanza presto, “arriva” davvero solo sul finale del secondo episodio, che è il momento in cui cominciamo a vedere i primi segni di questa cura. In una serie generalista, l’iniezione gliel’avrebbero fatta dopo dieci minuti.

Messa giù così potrebbe anche sembrare una comedy, una di quelle storie piene di equivoci e qualche momento commovente, in cui l’anziano rudere torna alla vita grazie a una medicina di cui, naturalmente, vedremo poi anche il rovescio della medaglia.

The Last Days of Ptolemy Grey, però, comedy non è. È anzi un drama/thriller che sa essere abbastanza duro, e che fornisce al protagonista anche un motivo in più per provare il farmaco, al netto della speranza di ritardare la propria discesa nell’oblio: un lutto familiare che impone una ricerca, un’indagine quasi poliziesca, che Ptolemy potrà portare avanti insieme all’indagine su certi demoni del suo passato. Un viaggio dell’eroe che senza elisir non si può proprio fare.

O almeno penso che sarà così, perché appunto, nelle prime due ore, della trama “vera” si vede poco, perché è tutta una presentazione dei personaggi principali e del mondo provinciale e degradato in cui vivono.

Un mondo in cui Ptolemy trova l’inaspettata compagnia della giovane Robyn (Dominique Fishback), e in cui le ombre del passato sono spesso l’unica cosa che l’uomo riesca a percepire con chiarezza, immerso in una realtà contemporanea che invece gli appare confusa, precaria, a volte spaventosa.

In tutto questo, e in attesa di vedere come si articolerà effettivamente la trama, l’intero peso della serie ricade sulle spalle di Samuel L. Jackson. L’attore settantatreenne, ormai diventato un meme vivente per i suoi trascorsi in film leggendari come Fa’ la cosa giusta, Pulp Fiction o Die Hard – Duri a morire (senza contare il recente Nick Fury del mondo Marvel), è chiamato a dismettere per una volta i panni altrimenti canonici dell’uomo sarcastico, roccioso, divertente e sopra le righe, per vestire quelli dell’anziano fragile e malato, che specie all’inizio deve suscitare tenerezza e compassione.

E ci riesce. Il suo Ptolemy è un nonnino sicuramente non semplice da trattare e capace di qualche bizza, ma è anche un uomo buono e generoso a cui non vorremmo mai vedere capitare nulla di male.

Per un attore del suo calibro, la differenza fra il Ptolemy malato e confuso e quello lucido e focalizzato, è abbastanza semplice e tradizionale, in termini strettamente attoriali. Questo però non toglie che il risultato funzioni e riesca effettivamente a farci arrivare a quel momento fatidico, dopo quasi due puntate piene, senza un fiatone eccessivo, anzi con la consapevolezza di provare per i personaggi l’affetto giusto con cui affrontare gli eventi successivi.

Poi certo, se vi è capitato di vedere il recente The Father, con Anthony Hopkins e Olivia Colman, avrete in testa una modalità di rappresentazione dell’alzheimer così elegante, raffinata e inquietante, che i semplici switch attoriali di Jackson possono suonare un po’ datati.

The Last Days of Ptolemy Grey, insomma, è una serie che colpisce con la buona ambientazione, un ottimo protagonista, e una buona curiosità sugli eventi futuri, ma per ora non spinge troppo sulla ricerca nella messa in scena, risultando più tradizionale di quanto probabilmente vorrebbe.

In generale resto un buon prodotto, però mai come in questo caso avremo bisogno di qualche episodio in più per una valutazione precisa, per il semplice fatto che il vero cuore della vicenda non ci è ancora stato mostrato.

Perché seguire The Last Days of Ptolemy Grey: uno spunto interessante diventa una serie intensa e con un buon protagonista.
Perché mollare The Last Days of Ptolemy Grey: per arrivare davvero al cuore della vicenda ci vogliono quasi 100 minuti, se la sono presa un filo troppo comoda.



CORRELATI