15 Gennaio 2012 8 commenti

Anteprima assoluta: ALCATRAZ – La nuova serie di JJ Abrams di Diego Castelli

La recensione del pilot. E non lo dico per ridere…

Copertina, Pilot

Questo post è stato pubblicato su Serial Minds esattamente sette mesi fa, il 16 giugno 2011. Siamo stati i primi in assoluto a vedere e scrivere del pilot di Alcatraz. E sì, per questo un po’ ce la tiriamo, concedetecelo. Domani, 16 gennaio 2012, va in onda il pilot di Alcatraz e noi abbiamo pensato di ripubblicare il post per farvi capire di cosa si tratta e cosa ne pensiamo. Ovviamente, poi, nei prossimi giorni torneremo sulla serie e ne scriveremo ancora.

E’ con particolare orgoglio che inizio questo post, un’anteprima veramente “ante” su una delle serie più attese della stagione 2011-2012.

Abbiamo avuto la possibilità di mettere le mani (e gli occhi, e le orecchie) sul pilot di Alcatraz, nuova serie del maestro JJ Abrams, che fin dai trailer aveva mostrato la volontà di GeiGei di tornare alle atmosfere misteriose e appassionanti di Lost e Fringe, piuttosto che all’intrattenimento leggero e francamente inutile del già defunto Undercovers.

Ebbene, senza giri di parole e senza troppi spoiler (che sennò mi licenziano): Alcatraz è bello.
So cosa state pensando: bello come Lost? Probabilmente no. Nel senso che la prima puntata di Lost portò una carica di novità che il pilot di Alcatraz non ha, e forse non poteva nemmeno avere. Ma di roba per essere contenti ce n’è a pacchi, quindi non disperate.

Andiamo con ordine. Molti di voi avranno già letto parecchio a proposito della serie. Come nome suggerisce, tutto gira intorno alla famosissima prigione nella Baia di San Francisco. Ci viene raccontato che, nel 1963, sull’isola è accaduto un fatto assai misterioso: centinaia di persone tra prigionieri e guardie sono sparite nel nulla, senza lasciare alcuna traccia. Un evento inquietante mai realmente raccontato all’opinione pubblica, abbindolata con un banale “li abbiamo trasferiti”.
La molla scatenante della serie altro non è che la progressiva ricomparsa dei prigionieri, per nulla invecchiati, a cominciare dall’enigmatico Jack Sylvane (Jeffrey Pierce), che le autorità davano per morto e che invece rispunta dal nulla in forma di impronte digitali sulla scena di un crimine.
Sulle sue tracce si mettono tre personaggi assai diversi, che sono di fatto i protagonisti della serie: Rebecca Madsen (Sarah Jones), giovane e tenace poliziotta che con Alcatraz ha un rapporto particolare, visto che i membri della sua famiglia (padre, nonno, zio) sono legati in vario modo alla prigione; il dottor Diego Soto (Jorge Garcia), esperto di Alcatraz e dei suoi misteri, nonché cicciottone pacioccone e simpatico; Emerson Hauser (Sam Neil), misterioso e indecifrabile agent… poliziott… vabbe’ “uomo del governo”, che era da tempo in attesa del ritorno degli scomparsi, e sembra sapere molto più di quel che dice.

Come impostazione generale, siamo più vicini a Fringe che a Lost. Abbiamo tre protagonisti abbastanza chiari (una donna poliziotto e due uomini), un mistero di fondo da risolvere, e piccoli enigmi singoli (relativi ai vari detenuti scomparsi) che potrebbero consentire la scrittura di puntate relativamente autoconclusive, del tipo “ogni volta Rebecca e i suoi rincorrono uno degli scomparsi”. Inutile dire che questa è la base su cui si innestano numerosi livelli: c’è la storia della famiglia di Rebecca, che non è proprio limpida; ci sono le mire non troppo chiare di Emerson; ci sono le storie concatenate degli scomparsi; c’è anche una qualche misteriosa entità non meglio specificata, capace di usare gli ex prigionieri come pedine per un disegno più grande. Più una serie di altri piccoli dettagli che non vi voglio svelare.
Come vedete, di carne al fuoco ne viene gettata moltissima, in attesa di mescolare il tutto in uno spezzatino assai complicato e, speriamo, molto appassionante (anche in questo caso come Fringe, che per i primi 5-6 episodi sembrava X-Files, e poi ha cominciato a fantasticare su universi paralleli e poteri psichici).

A ricordare Lost – oltre a Jorge Garcia, e a parte il fatto che siamo di nuovo su un’isola! – ci sono invece i flash back, altro marchio di fabbrica del buon JJ. Nel pilot, essi ripercorrono la vita carceraria di Jack, dandoci alcuni elementi per capire la sua psicologia e certi moventi delle sue azioni nel presente. Non è ancora perfettamente chiaro cosa accadrà in seguito: se cioè i flash back continueranno e, se sì, su chi si baseranno: ancora Jack, o piuttosto gli altri detenuti? Possibile che la verità stia nel mezzo, con rimandi incrociati pronti a friggerci deliziosamente il cervello.

L’elemento che più stupisce è la capacità di inserire tutte queste informazioni, tenendo comunque ben salde le redini della narrazione. Non ci si annoia un minuto, nel pilot di Alcatraz, e si rimane subito avvinti dalla storia e dalle sue molte ramificazioni, anche grazie a una messa in scena abbastanza classica, ma del tutto funzionale alla comprensione della vicenda e alla creazione della tensione. Con in più qualche gradito tocco di stile, come l’inquietante sferragliare delle porte delle celle ogni volta che passiamo da un’epoca all’altra.
Mentre guardavamo l’episodio, qualcuno si è persino posto il problema di un’eccessiva mole di informazioni veicolate. Effettivamente, rispetto al pluricitato Lost, in questo pilot viene detto davvero molto. Sarete stupiti, alla fine, di quanto avrete saputo sui protagonisti e sulla vicenda in generale. Dal mio punto di vista, la scelta per ora è giusta: Abrams e compagni erano stati assai criticati da una sempre crescente fetta di pubblico, per via dell’eccessiva dose di mistero presente in Lost. Per la serie “qui non si capisce mai una sega, io me ne vado”.
Questa volta l’approccio sembra più morbido: tante verità nascoste, certo, ma anche la volontà di dare allo spettatore qualche contentino in più, lasciandolo a fine episodio con la sensazione di aver appreso molto, senza per questo sentirsi ancora soddisfatto. Può essere la via giusta per evitare l’emorragia di pubblico che i naufraghi patirono sin dalla seconda stagione, oppure può essere una lama a doppio taglio, nel momento in cui svelare troppo e troppo in fretta si rivelasse pericoloso per l’equilibrio complessivo e la tensione sul lungo periodo. Difficile dirlo ora, anche se il livello della scrittura, e l’esempio simile di Fringe, mi fanno ben sperare.

Buone sensazioni anche dal cast. Sarah Jones – già vista in vari telefilm come House e Sons of Anarchy, ma protagonista qui per la prima volta – è una Rebecca dal viso dolce ma dall’indole volitiva, che sembra in grado di darci buone soddisfazioni. Anche se temo non possa competere con la bellezza imperscrutabile di Anna Torv in Fringe. Di Garcia avevamo tutti paura: il buon Jorge era e sarà sempre Hurley, e pensavamo sarebbe stato difficile vederlo interpretare qualcun altro. Devo dire che invece è abbastanza credibile nei panni del dottor Soto, forse perché per molti versi il personaggio è simile: curioso ma un po’ pavido, simpatico e buono come il pane. Bene anche Sam Neil, che non è esattamente la faccia più carismatica di Hollywood, ma il suo lavoro lo sa fare.
In generale, credo che il trio Olivia-Walter-Peter in Fringe sia superiore a questo, ma è anche giusto lasciare spazio ai personaggi di Alcatraz per crescere e farci vedere di che pasta sono fatti.
Ah, tra i personaggi “secondari ma non troppo”, troviamo anche Parminder Nagra, che i fan di ER hanno apprezzato per tanti anni nei panni di Neela.

Il futuro, come detto, è imprevedibile. Credo che l’ipotesi più probabile sia una breve sequenza di episodi quasi autoconclusivi, per permettere allo spettatore di familiarizzare al meglio con la storia e i caratteri, seguiti da una complicazione progressiva che sveli sempre più misteri, sommandone altrettanti. Tutto starà a vedere se gli autori sapranno tenere le fila del discorso, scovando buone idee e montandole insieme nel giusto equilibrio, senza sbrodolare e senza ficcarsi in angoli angusti da cui uscire a fatica. Per ora, comunque, possiamo ritenerci soddisfatti.

Il mio consiglio, se state aspettando con ansia la serie, è quello di non smettere: il pilot è denso, divertente, interessante. E’ un capolavoro? No, o almeno non ancora. Manca un guizzo di novità davvero sorprendente, che faccia spalancare gli occhi. Ma Fringe ci ha insegnato che a volte, per raggiungere il top, è necessario attraversare una fase di rodaggio. La collocazione in midseason (gennaio 2012) e la conseguente, prevedibile produzione di un numero limitato di episodi, fanno pensare a una fiducia non proprio incondizionata da parte del network. Speriamo siano solo pippe mentali, perché le potenzialità per un nuovo telefilm imperdibile ci sono tutte, e l’anno prossimo saremo qui con gli occhi puntati sullo schermo.

 

PS Nei prossimi giorni potremmo mettere le mani su altre chicche in anteprima assoluta, quindi continuate a passare da queste parti…



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