26 Gennaio 2012 8 commenti

Fringe – La quarta stagione non funziona di Marco Villa

Tutti i problemi delle prime nove puntate

Copertina, On Air


Negli ultimi mesi abbiamo già parlato alcune volte di Fringe, ma mai per affrontare in maniera seria la quarta stagione. Adesso, arrivati (non lontano dalla) a metà, è giunto il momento di affrontare la questione. Questione non semplice, perché otto mesi fa eravamo tutti in fibrillazione per un rinnovo incerto e pronti alle barricate – certo, come no – per sostenere gli amici degli universi multipli. Otto mesi dopo, però, siamo qui a fare i conti con qualcosa che non è andato esattamente per il verso giusto. Lo diciamo? Arrivati all’undicesima puntata, la quarta stagione di Fringe è una grossa delusione.

Bisogna anche capirli, sti poveri cristi degli autori. Per darci un finale di terza stagione veramente epico, di quelli da lasciare a bocca aperta, si sono messi nei guai per il prosieguo del racconto. Perché non è che puoi far sparire così nel nulla Peter Bishop e poi fare marcia indietro. No, per essere davvero fedele all’essenza di Fringe, puoi risolvere una sparata grossa solo con una sparata ancora più grossa. E così è stato. Dopo qualche puntata in cui sono stati riannodati i fili di tre stagioni, inserendoli in quella che, di fatto, è una serie che ha iniziato una nuova continuity, Peter è tornato. Cazzi, mazzi ed è diventato piuttosto in fretta l’amicone di sempre che tutti rispettano e stimano. Bene, peccato che nelle ultime due puntate qualcosa sia cambiato profondamente in Fringe.

Mi spiego: è evidente che la dieci e la undici la otto e la nove sono le puntate migliori viste fin qui in questa quarta stagione. Zero casi verticali, due episodi pieni zeppi di passi avanti (o laterali) della suddetta nuova continuity. Il ritorno del cattivone scomparso nelle stagioni precedenti, un bel po’ di avanti e indietro negli universi e anche il più classico dei colpi di scena fringiani, nel finale dell’undicesima della nona puntata. Il problema, però, è che di quello che è successo a noi non frega niente.

Per uno spettatore, la cosa più difficile da fare nell’approccio a una nuova serie è lasciarsi andare e affezionarsi ai personaggi. Questo “sforzo” gli spettatori di Fringe hanno dovuto compierlo due volte, per sentirsi minimamente vicini anche ai personaggi dell’altro universo. Adesso Fringe propone due universi che, fondamentalmente, sono nuovi di zecca, in cui abbiamo due ulteriori nuove versioni di quei personaggi che seguiamo da quattro anni. Che in fondo sono versioni pressoché identiche a quelle che già si conoscevano, al netto, però, di un elemento fondamentale: le relazioni. Metti facce e storie uguali, togli i rapporti tra i personaggi e ottieni freddezza. Peter è il cuore di questa faccenda: senza di lui, gli schemi relazionali non sono più gli stessi. Si potrebbe fare una tesi di laurea su quanto pesi l’eliminazione di un solo personaggio da uno schema pur complesso e vasto come quello di Fringe. Ma la mia laurea l’ho già presa, quindi non ci penso neanche.

Tornando a Fringe, quella degli autori è stata una scelta rischiosa e fin qui non vincente. Più che altro, una scelta a metà tra il coraggioso e il masochista: azzerare non solo la continuity, ma anche le trame relazionali è qualcosa di destabilizzante. È lo sparare ancora più in alto che ci si aspettava da loro, ma la sensazione è che, a furia di alzare la mira, siano stati accecati e abbiano sbagliato obiettivo. Così, arrivati a questo punto, l’unica cosa che ci interessa è il ritorno a casa di Peter. Una trama classicissima, omerica, che nulla ha a che vedere con la (tanto amata) schizofrenia narrativa delle scorse stagioni.

Perché alla fine che John Paul Jones – o come cazzo si chiama il biondino sfigurato – distrugga o meno questi due universi ce ne frega davvero nulla, anche perché non sono i nostri universi di Fringe. E poi di universi ce ne sono a migliaia, uno più o uno in meno sai che cambia?

Su tutto, poi, pende come al solito la minaccia della possibile cancellazione. E quindi vale la pena dirlo chiaro e forte, come già espresso dal mio socio: se continuare vuol dire perdere ancora forza, prego, la porta è quella. Otto mesi fa avremmo fatto le fiaccolate perché Fringe continuasse, adesso iniziamo a mettere condizioni e paletti. Un segnale più che evidente che le cose sono cambiate.

 



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