25 Luglio 2012 8 commenti

Sullivan & Son – Nuovisssssssima serie sui gestori di un bar. di Diego Castelli

Ehm…

Copertina, Pilot

Se seguite da un po’ il nostro blog – e se non lo fate è il caso di sentirsi in colpa – saprete certamente che io e il Villa facciamo spesso una prima divisione tra le comedy: a prescindere dalla bontà del risultato finale, ci sono quelle che provano a essere originali – per i temi trattati, l’aspetto visivo, il tipo di personaggi, i dialoghi – e poi ci sono quelle che nascono vecchie, che si limitano a riproporre ciò che altre comedy hanno fatto prima di loro.

Bene, oggi parliamo di Sullivan & Son, nuovo show di TBS che racconta di un padre e un figlio che gestiscono un classico bar ammeregano. Come avrete intuito, l’originalità non è potuta venire, dice che se riesce passa più tardi.

La storia è semplice: Steve (Steve Byrne) è un avvocato, di quelli che non vanno tanto in aula ma stanno in azienda a spulciare carte e accumulare denaro, ed è figlio di un americano e di una coreana, proprietari di uno storico bar di Pittsburgh. Quando torna a casa per presentare alla famiglia la compagna-forse-futura-fidanzata, Steve viene a sapere che il padre vuole andare in pensione. Preso dalla nostalgia, molla la fidanzata Sex & The City oriented e compra il bar, rinnovando la tradizione di famiglia.

Si diceva del già vecchio. Sì perché a parte i singoli dettagli della trama, lo stile è quello tipico di venti o trent’anni fa, con un bar che raccoglie buffi personaggi impegnati a farci ridere con la loro dabbenaggine, la loro strana logica da abitanti di provincia, le baruffe parentali di una famiglia un po’ particolare. E non è un caso che tra i creatori della serie figuri Rob Long, uno che tra le altre cose si è fatto le ossa con Cheers (in Italia Cin Cin), storica sitcom degli anni Ottanta ambientata proprio in un bar (di Boston).

Far girare tutto intorno a un locale di periferia rende quasi impossibile staccarsi dai cliché del genere: ci sono i nullafacenti ubriaconi, gli anzianotti rimbesuiti, razzisti o sesso-dipendenti, i “nemici naturali” come gli ispettori dell’ufficio d’igiene. Soprattutto, c’è l’amore per un certo tipo di provincia americana, fatta di persone sempliciotte ma anche genuine e fondamentalmente buone. Che poi è il motivo per cui Steve rinuncia alla Grande Mela: probabilmente la sua New York non è quella viva e piena di possibilità di un Friends o di un How I Met Your Mother, bensì un luogo grigio e impersonale contrapposto alla simpatia e alla cordialità dei luoghi della sua infanzia.
In questo senso, mi pare un po’ perdente la scelta di rinunciare quasi subito alla fidanzata newyorkese, che alimentava un contrasto metropoli-campagna abbastanza divertente, per quanto originale come un horror in cui la cheerleader bionda muore per prima.

C’è anche un altro dettaglio curioso: a guardare la storia personale dei personaggi, Sullivan & Son potrebbe essere un drammone devastante. La madre di Steve ha sposato il marito non perché lo amasse, ma solo per fuggire dal suo Paese, povero e violento. La sorella lo odia perché i genitori l’hanno sempre messa in secondo piano. Buona parte degli avventori del locale è disoccupata, e uno ha una madre sempre ubriaca che in pratica vive nel bar e tenta di scopare ogni maschio bipede che le rivolga la parola. Di buono rimane solo la paramedica, potenziale fiamma del protagonista, che però beve in servizio.
Insomma, uno scenario potenzialmente catastrofico, che al confronto i protagonisti di Shameless sembrerebbero la famiglia del Mulino Bianco. Ma è una sitcom, e quindi problemi veri non ce ne sono, l’alcol non causa cirrosi ma solo allegria, lavorare non serve (fanculo al Pil e allo spread), e per evitare le malattie veneree basta non pensarci. Alè!

Sia chiaro: Sullivan & Son non è “brutta”. Qualche risata cattivella la strappa, il ritmo è discreto, e in fondo fa simpatia. Però è davvero già vista, e non ha manco il carisma di un Charlie Sheen, che almeno scherza sul fatto di essere un rissoso drogato nella vita reale. Non so dirvi se andrò avanti a vederla. Forse sì, o magari no. Il problema è che cambia poco.

 

Perché seguirla: se avete tanta tanta nostalgia delle sitcom di una volta, e se avete bisogno di qualcosa di semplice da vedere mentre stirate.
Perché mollarla
: potreste usare quei venti minuti per iniziare il recupero di Parks & Recreation, se ancora non l’avete fatto. O di Community, How I Met Your Mother, New Girl ecc ecc ecc.
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