10 Dicembre 2013 2 commenti

Mob City – La serie tv di Frank Darabont che sembra un videogioco di Marco Villa

Mafia a Los Angeles negli anni ’40: Mob City è la nuova serie di Frank Darabont di The Walking Dead

Copertina, Pilot

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Mob City è l’ultima serie che avevamo inserito nella lista delle dieci nuove da vedere per forza ed è stata fin da subito una di quelle che prometteva di più. Ambientazione negli anni ‘40, mafia, crimine, quelle robe lì che funzionano sempre. Il fatto poi che fosse programmato a dicembre era un’ulteriore bella notizia: fuori dalle settimane di fuego dei nuovi pilot, giusto in tempo per la fine delle serie da dodici episodi. E poi è la nuova serie di Frank Darabont, quello di The Walking Dead, serie che mi annoia come poche, ma anche regista di film come Le ali della libertà e Il miglio verde. Grandi motivazioni, grandi aspettative. La sensazione dopo la prima puntata? Eccola: sì, ok, però.

Mob-City3Mob City è una serie tv in onda dal 4 dicembre su TNT. Ispirata al libro LA Noir, racconta le storie di poliziotti (più o meno corrotti) e gangster (più o meno di successo), nella Los Angeles degli anni ‘40. Si parla di personaggi esistiti veramente (come Mickey Cohen o Bugsy Siegel, l’uomo che ha inventato Las Vegas) e di personaggi di finzione, come il protagonista Joe Teague.

Potrei parlare a lungo della storia, del numero elevato di personaggi, di come le loro storie si incrocino in modo non del tutto comprensibile, lasciando ampi spazi alla nascita e allo sviluppo di una narrazione orizzontale molto potente. Potrei mettermi a parlare dei singoli personaggi, di come vengono raccontati grazie a continui rimandi al passato, realizzati sia con semplici (quanto lunghi) dialoghi, sia con flashback veri e propri. Tutte cose importanti e anche belle, che però passano in secondo piano, completamente schiacciate dal formato e dalla forma.

Mob-CityPrimo, il formato: Mob City è una serie che prevede sei episodi, che verranno trasmessi accoppiati a due a due nell’arco di tre settimane. Una fruizione che non è esattamente lo standard per la televisione americana (in Italia invece siamo già più abituati) e che rischia di complicare la visione, dal momento che non stiamo parlando di una serie rapidissima. Detto in altre parole: le prime due puntate sono pesantine e si arriva in fondo boccheggiando un poco.

Secondo, la forma: Mob City non è tanto una serie sulla mafia degli anni ‘40, quanto piuttosto la messa in scena di un racconto sulla mafia degli anni ‘40. Cosa cambia? Cambia che c’è in mezzo un filtro, c’è la volontà di dimostrare in modo esplicito che si sta compiendo un’operazione di recupero di un tempo andato. In Mob City ogni cosa è eccessiva: dalle scenografie di cartapesta a certe inquadrature estetizzanti, dalla musica super-ovattata alla recitazione degli attori, niente è funzionale al racconto. Tutto, al contrario, è funzionale alla resa estetica di un’epoca. Si tratta di una scelta troppo scoperta ed estrema per non essere voluta, che finisce per segnare in maniera pesante lo stile della serie e anche la sua fruizione.

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LA Noir non è solo il titolo di un libro, ma anche il titolo – quasi omonimo, manca una e finale – di un videogioco: io non so un cazzo di videogiochi, ma l’impressione è proprio quella dell’ambientazione di un videogame, in cui tutto viene spinto all’estremo per cercare di far percepire a chi gioca un’atmosfera, in ogni preciso istante del gioco stesso. Qui è uguale e alla fine del doppio episodio è questa la sensazione che resta in testa, molto più degli sviluppi della storia.

Frank Darabont, qui sia autore che regista, ha scelto di dare più importanza alla messa in scena che alla scrittura. Scelta importante, pesante, che si risolve in un doppio pilot visivamente efficace, con momenti di vera classe (la scena nella chiesa, con il prete-gangster che si toglie il colletto e lo trasforma in pochette per il suo taschino), ma anche scene in cui i lunghi dialoghi sembrano non finire mai.

Perché seguirlo: per il fascino dell’ambientazione e la voglia di spingere al massimo sul versante visivo

Perché mollarlo: perché il tipo di scrittura non si presta a una fruizione in episodi doppi



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