22 Marzo 2016 10 commenti

Daredevil 2: The Punisher e i primi quattro episodi di Diego Castelli

Un po’ alla volta, non ci abbuffiamo…

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OCCHIO: SPOILER SUI PRIMI QUATTRO EPISODI DELLA SECONDA STAGIONE DI DAREDEVIL

 

Mettiamo subito le carte in tavola. Non ho ancora finito di guardare la seconda stagione di Daredevil. Anzi, ho visto solo 4 episodi. Lo so, non guardatemi così, ma cosa ci devo fare, a volte la vita reale si mette di mezzo. Quella stronza…
Stante così le cose avevo quasi pensato di non scrivere niente, aspettando il momento in cui avessi visto tutto. Però non mi va di aspettare, perché ci sono alcuni elementi di questi primi quattro episodi che vale la pena approfondire. E poi perché di Daredevil voglio scrivere due volte, maledetto binge watching che istiga alla bulimia seriale.
Questi primi capitoli sono incentrati quasi esclusivamente sulla figura di The Punisher, e su come il suo arrivo scombussoli il mondo di Matt Murdock, in senso fisico ma soprattutto metaforico. Alla fine di quelle quattro ore circa spunta Elektra, la storia di Frank Castle sembra conclusa (sembra) e se ne può trarre un primo bilancio.

Cominciamo col dire che la presentazione stessa del Punitore è fantastica. La premiere stagionale praticamente non ha trama, è solo un’unica introduzione a un singolo personaggio che, per una quarantina di minuti, viene scambiato per un’intera banda di assassini. Troppo danno, troppi morti, troppo sangue per essere opera di un uomo solo. E invece…
A mio giudizio è un approccio perfetto per rendere al meglio la caratteristica fondamentale del buon Castle, ciò che lo differenzia dal resto dei supereroi affidandogli al massimo l’etichetta di “vigilante”. Ovviamente nel corso dei decenni le incarnazioni fumettistiche del Punitore hanno vissuto sfumature diverse, passando dal dramma più cupo alla tamarraggine da action movie anni Ottanta, arrivando anche a buone dosi di autoironia. Ma una cosa rimane costante: Frank Castle non è un eroe dei fumetti, perché gli eroi dei fumetti non uccidono i propri nemici. In base a questa semplice regola, The Punisher deve stare nella zona grigia che separa i buoni dai cattivi, avendo un passato e delle motivazioni simili a molti eroi, ma battendosi senza regole, come la maggior parte dei villain.

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Per questo il suo ingresso in Daredevil è perfetto: perché oltre alle stragi di mafiosi e delinquenti vari (che potranno anche essere “sbagliate”, ma ci danno comunque quel senso appagante di giustizia divina) Frank arriva a mettere in pericolo la vita di Karen, sparando addirittura in un ospedale pur di completare la sua opera di sterminio nei confronti degli irlandesi. In quel momento, per quanto uno possa saperne o no del personaggio, abbiamo la chiara impressione che qualcosa non va, che quello che il Punitore fa è sbagliato, se non negli obiettivi, sicuramente nei metodi. Abbiamo paura di lui, perché mette a rischio un personaggio che amiamo e che reputiamo buono e indifeso.

Da qui in poi, nei quattro episodi che compongono questa prima conoscenza con Castle, abbiamo modo di vedere un approfondimento e una crescita del personaggio, che in qualche modo lo fa rientrare nei ranghi. Veniamo a sapere del suo passato luttuoso, vediamo certe sue fragilità, e ci vengono concessi altri momenti in cui empatizzare con lui (per esempio quando sta per uscire dal negozio salvo poi ritornare sui suoi passi, armato di mazza, quando viene a sapere che il proprietario commercia in materiale pedopornografico; oppure durante la tortura, quando Frank è disposto a subire qualunque sevizia, ma non a veder morire il suo povero cane).
Anche la strana amicizia, o per lo meno il rispetto, che alla fine viene a crearsi con Matt, ci permette di considerare Castle in qualche modo parte della squadra, anche se nel frattempo i suoi metodi ci hanno dato modo di ragionare soprattutto sulla vita e l’operato di Daredevil.

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E qui si entra nella parte più delicata. La comparsa del Punitore serve soprattutto a creare nuovi problemi morali a Matt Murdock, facendolo ripiombare nei dilemmi di inizio serie. Siamo sicuri che Daredevil sia un buono? In che misura è anche lui un vigilante, uno che in spregio alle regole del vivere comune decide di ricorrere alla violenza per riparare torti che, a suo dire, la polizia non può gestire? E quanto la nascita stessa del Punitore è da attribuirsi a Daredevil, che con le sue azioni ha in qualche modo aperto un’era del vigilantismo a Hell’s Kitchen, provocando indirettamente immani spargimenti di sangue?
La questione di fondo, insomma, è capire quanto Devil e Punisher siano diversi e opposti, e quanto invece non siano due facce della stella medaglia, una medaglia fatta di oscurità e violenza, in cui la linea fra ordine e caos è estremamente sottile e sfumata. Il famoso grigio di cui si diceva all’inizio. Matt sembra inizialmente sicuro della sua posizione: lui ha scelto di non uccidere, quindi non può essere considerato uguale a Frank. È bianco dove il Punitore è nero, anche se poi quest’ultimo lo chiama “Red”.
Allo stesso tempo, è palese la radice comune di un dolore del passato che porta a un desiderio di vendetta, così come è evidente il diritto completamente auto-attribuito di operare al di sopra della legge. Proprio da questo confronto nasce la scelta finale di Murdock di lasciare alla polizia il merito della cattura del Punitore: solo così, solo rimanendo sullo sfondo e rinunciando a qualunque forma di protagonismo, Daredevil può fare davvero il bene della comunità, restituendole la fiducia nelle istituzioni.

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Il momento cardine di tutto questo discorso è ovviamente il lungo dialogo sul tetto dove Diavolo e Punitore si trovano a confrontare due opposte (eppure simili) visioni del mondo. Agendo da vero e proprio meccanismo psicologico e narrativo, Frank prova a costringere Matt a fare una scelta, uccidere lui o lasciargli ammazzare Grotto, stringendo Murdock in una morsa morale da cui è impossibile uscire. Alla fine Matt sembra riuscirci, perché usa la pistola che gli è stata legata alla mano per sparare alla catena che lo teneva prigioniero, ma Grotto muore comunque. In qualche modo, scegliendo di non colpire il Punitore, Matt decide che il suo proposito di non uccidere deve essere portato alle estreme conseguenze, anche se dolorose. Da qui nasce poi il dialogo con il prete, che cerca di confortare Matt sul fatto che non c’è motivo di sentirsi in colpa se si è fatto tutto quello che si poteva. Una riflessione che ovviamente funziona su carta, ma che poi deve fare i conti con la mente e con il cuore.

Ma soprattutto, durante la scena sul tetto, il Punitore introduce un tema ben noto agli appassionati di fumetti, quello del Bene e del Male separati da una semplice brutta giornata. Frank lo dice in modo esplicito, a sottolineare quanta poca differenza ci sia fra un uomo a cui la mala uccide moglie e figlia e che decide di vendicarsi, e un uomo a cui la mala uccide il padre e decide di diventare un giustiziere: “sei a una giornata no dall’essere come me”.
Questo è un tema cardine della riflessione fumettistica sulla natura dell’eroe, un tema che in questi casi viene fatto risalire quasi sempre a Batman: The Killing Joke, la graphic novel del 1988 scritta da Alan Moore che sondò la psicologia del personaggio di Batman trovando inquietanti similitudini con quella del suo acerrimo nemico, il Joker.
La frase del Punitore è talmente esplicita che non può trattarsi di un caso o di un tentativo malcelato di scopiazzare: più semplicemente, mi sento di dire che gli autori di Daredevil hanno deciso di riprendere una riflessione nata altrove, ma che calza a pennello anche sul loro diavolo rosso televisivo. Anche qui, in effetti, Daredevil e Punisher sembrano quasi fratellastri, anzi gemelli separati alla nascita, che solo per caso sono finiti ad abbracciare due filosofie (leggermente) diverse.
Per quanto sia una riflessione che funziona alla grande, può rimanere il dubbio che suoni “già sentita”. I fan di lunga data del fumetto americano avranno udito un po’ troppa eco in quella scena, ma d’altra parte va detto che il cinema e soprattutto la tv (ammesso che Netflix sia “tv”) l’hanno sviscerata con meno frequenza, rendendola ancora attuale almeno sul mezzo audiovisivo (per quanto il Joker di Heath Ledger e Nolan ci abbia detto diverse cose al riguardo). Lascio decidere a voi se è meglio parlare di “citazione” o di “plagio”.

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A questo punto, io che ho visto solo quattro episodi, non vedo l’ora di andare avanti per capire quali altre sfide dovrà sopportare il nostro povero Matt prima di considerarsi un vero eroe. In mezzo, per ora, ci sono state scene esaltanti come il piano sequenza alla fine del terzo episodio (ennesima prova di come Daredevil ci tenga a mostrare l’elemento più fisico e faticoso della vita del suo protagonista), romantiche come il tenero bacio sotto la pioggia fra Matt e Karen, e anche qualcosa di più buttato lì, come quando Foggy riesce a intortare i due teppisti all’ospedale, in una scena un po’ troppo telefonata.

Certo è che l’uscita di scena di Fisk non ha per nulla normalizzato la situazione, anzi se possibile ha pure peggiorato la già difficile vita degli abitanti di Hell’s Kitchen. Niente di meglio per mandare in sbattimento il nostro avvocato cieco-ma-che-ci-vede-meglio-di-te: faccio bene a mettermi il costumino? Oppure causo solo più danno?

Appuntamento fra qualche giorno per la recensione finale. Se potete non spoilerare nei commenti vi stimo.

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