18 Aprile 2019 5 commenti

Special – Su Netflix una comedy semplice e sincera, che si beve in due ore di Diego Castelli

Ryan O’Connell, gay e affetto da paralisi cerebrale, scrive una serie autobiografica, divertente e al passo coi tempi

Copertina, Pilot

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Immaginiamo la situazione: sei affetto da paralisi cerebrale (in una forma blanda che non ti costringe su una sedia a rotelle, ma ti crea comunque alcuni problemi evidenti con la coordinazione motoria), sei gay in un mondo che per larga parte odia gli omosessuali, e all’età di vent’anni ti tirano sotto con la macchina.
In questo scenario, le cose che puoi fare sono sostanzialmente due: o sederti in un angolo e bestemmiare finché non ti fa male la gola. Oppure fottertene e trasformare il tutto in un sorprendente punto di forza, ribaltando il destino.
Ryan O’Connell, creatore, produttore e protagonista di Special, nuova comedy di Netflix, ha scelto la seconda opzione, e la cosa ha fatto bene pure a noi.

Quando ebbe l’incidente di cui sopra, Ryan decise di usarlo per “riscrivere” la sua storia: disse a tutti che il motivo della sua zoppia era l’incidente, sapendo che la gente l’avrebbe guardato in modo ben diverso se avesse pensato che era rimasto segnato da uno scontro fortuito, piuttosto che da una disabilità “strutturale”, che li avrebbe portati a dubitare delle sue facoltà mentali. E questo perché il mondo fa schifo e le persone sono ignoranti, ma tant’è.
La storia di questo inganno è poi diventata un libro, I’m Special: And Other Lies We Tell Ourselves, che per una botta di culo del buon Ryan (forse la prima in vita sua) è piaciuto molto a Jim Parsons, lo Sheldon Cooper di The Big Bang Theory, che ha deciso di aiutare Ryan a trasformarlo in una serie tv.
Special racconta proprio quella storia lì, la storia di una ragazzo gay affetto da una disabilità evidente ma non eccessivamente debilitante, che prova a condurre una vita normale raccontando a tutti che i suoi problemi fisici derivano “solo” da un incidente. Cosa che gli permette, per esempio, di essere visto con occhi diversi e più accondiscendenti dalla capa stronza e mezza matta del sito per cui si mette a scrivere.

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Special è una serie particolare nel formato (episodi da quindici minuti scarsi) e nell’approccio. Se è vero che trattare la disabilità è sempre rischioso, perché è un attimo diventare offensivi o, al contrario, troppo zuccherosi, è altrettanto vero che se trovi la chiave giusta, il risultato può essere sorprendentemente ispirante.
Special quel risultato lo raggiunge, perché è divertente senza essere volgarmente parodistica, e perché tira fuori una tenerezza e una sincerità che, a ben guardare, riguardano solo in parte la disabilità di Ryan, finendo col parlare di problemi comuni a tutti, che nel caso di Ryan sono semplicemente amplificati dalle sue difficoltà. In questo senso, Special racconta una diversità che non è solo quella di chi è affetto da un problema medico conclamato, ma in generale quella di chi si sente estraneo all’ambiente che lo circonda, analizzato e giudicato oltre il lecito, spinto a fare cose che non vorrebbe.

Nel protagonista si fondono quindi un desiderio di riscatto e indipendenza, ma anche la necessità di appoggiarsi alle non molte persone che gli vogliono davvero bene, come la madre iperprotettiva o la nuova amica Kim. Ancora una volta, non sono desideri o motivazioni esclusive di un ragazzo appartenente a più di una minoranza, bensì questioni che riguardando anche al vissuto degli spettatori più comuni, e che vengono raccontati attraverso una persona che li sottolinea in virtù dei suoi problemi “aggiuntivi”.
L’affetto per Ryan è così praticamente immediato, perché ne riconosciamo l’intelligenza, la sensibilità ma anche le difficoltà, e vogliamo scoprire con lui il mondo esterno alla sua cameretta. Una delle scene migliori, proprio dal punto di vista produttivo e della messa in scena, è quella in cui Ryan perde la verginità con un gigolò trovato su internet. In questa scena c’era tutto, ma proprio tutto, per sbagliare. Un valanga di temi delicati e di tabù che potevano portare al disastro, e invece la sequenza scorre via sorprendentemente liscia, perché è sì parecchio esplicita (fra corpi nudi, lubrificanti e posizioni varie), ma anche estremamente sincera nel raccontare un incontro che di sordido e di “sbagliato” non ha proprio niente. Né è presente un intento pedagogico, che ci voglia insegnare qualcosa sulla prostituzione, o sul modo di intendere il sesso, o quello che volete voi. È semplicemente la rappresentazione della vita di una persona, diversa probabilmente dalla maggior parte di noi, che ci racconta il suo vissuto e il suo punto di vista. Né più né meno, e per questo convince e interessa.

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A cercare il pelo nell’uovo, Special ha solo un problema: che fa ridere un po’ meno di quello che vorrebbe. E attenzione, non nel senso che “una comedy che non fa ridere è brutta”, che è un equivoco contro cui noi di Serial Minds combattiamo da sempre. Comedy non è sinonimo di risate. Allo stesso tempo, lo percepisci quando una commedia vuole far ridere “sul serio” e non ci riesce, e qui e là in Special capita.
Non cambia però il giudizio complessivo su un prodotto piccolo, agile, divertente e tenero, la cui prima stagione di beve in due-ore-due, che vi lasceranno con la sensazione di aver visto con occhi nuovi porzioni di realtà che credevate di conoscere perfettamente.
Mica male.
Perché seguire Special: è un racconto sincero e personale, intenso e divertente, in cui è facile immedesimarsi.
Perché mollare Special: fa un po’ meno ridere di quello che probabilmente vorrebbe.

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