11 Giugno 2019 6 commenti

When They See Us – Su Netflix una miniserie necessaria di Diego Castelli

Pugni nello stomaco, ma di quelli che fanno bene

Copertina, Pilot

When They See Us (6)

Ogni tanto, quando siamo sommersi dalle novità o impegnati in una discussione per difendere l’autore o autrice che tanto amiamo, nonostante il suo ultimo lavoro faccia acqua da tutte le parti, ci dimentichiamo che, quando c’è, la qualità è quasi sempre autoevidente.
Guardi, ti concentri, ti appassioni, e alla fine ti volti verso una telecamera che non esiste e dici “cacchio, che bella roba che ho visto”.

È quello che succede con la prima puntata (ma pure con le successive) di When They See Us, miniserie di Netflix scritta e interamente diretta da Ava DuVernay, regista di Selma e vincitrice di vari premi (e candidata all’oscar) per il documentario 13th.
When They See Us ricostruisce un famoso fatto di cronaca americana, lo stupro nel 1989 di una giovane donna che venne aggredita durante una seduta di jogging a Central Park. Per l’aggressione vennero arrestati cinque ragazzini afroamericani del tutto innocenti, che avrebbero avuto giustizia e una piena riabilitazione solo nel 2002, quando il vero colpevole confessò lo stupro.

When They See Us (4)

Sì, evidentemente ho appena calato degli spoiler importanti, ma la cosa non ha alcuna importanza, trattandosi di fatti noti e realmente accaduti (anche se magari non famosissimi in Italia).
Il tema, dunque, non è tanto farsi sorprendere dagli eventi, bensì osservare il modo in cui la DuVernay li mette in scena, e su cosa concentra la sua attenzione.
È chiaro che, viste le dinamiche in gioco e il curriculum della regista, sia facile vedere nella miniserie una denuncia di stampo razziale, per ricordare un’accusa ingiusta in buona parte basata sul colore della pelle. Un gettare le reti per tirare su quello che c’è, riconoscendo nei ragazzetti-neri-teppistelli (che poi manco erano teppistelli) dei colpevoli ideali e per questo meritevoli del più feroce accanimento.

When They See Us (5)

In realtà, però, il discorso è più generale. When They See Us mette in scena, nudo e crudo, il marcio di un certo modo di fare giustizia americana, ma soprattutto i pericoli dell’ansia giustizialista di chi, in un pericoloso minestrone di pressioni politiche, mediali e culturali, è disposto a tutto pur di trovare “un” colpevole, a prescindere dal fatto che sia “il” colpevole.
Situazioni che abbiamo visto tante nelle volte nelle serie tv (interrogatori un po’ brutali, pubblici ministeri assetati di sangue, giornalisti impiccioni e via dicendo) trovano qui un’insistenza poderosa, che mette spesso a disagio, mostrandoci come ogni piccolo egoismo, ogni minima smania di carriera, possa sommarsi a tutte le altre per creare una palese e dolorosa ingiustizia.
Sono in pochi a salvarsi, in When They See Us. Non lo Stato, incapace di trovare i veri colpevoli e pronto a scagliarsi sugli innocenti. Non la polizia, presa dalla fretta di sbattere in galera qualcuno. Nemmeno i genitori dei ragazzi accusati (i cosiddetti “Central Park Five”), a loro volta così spaventati dalle possibili conseguenze, da non essere in grado di scegliere il meglio per i loro figli.

When They See Us (1)

La forza bruta della miniserie è costruita con un cast stellare (Michael K. Williams, Vera Farmiga, John Leguizamo, Felicity Huffman. Joshua Jackson fra gli altri), in cui però a spiccare sono soprattutto le interpretazioni dei ragazzi più giovani. Straordinario il loro spaesamento, e una paura così cieca da trasformarsi in terreno fertile per qualsiasi condizionamento mentale, capace anche di condurre a confessioni completamente inventate.
Quello che a conti fatti Ava DuVernay riesce a fare, prima ancora di mettere sul piatto una denuncia di tipo politico, è mostrarci la pericolosità di tutto ciò che in noi c’è di primitivo: la paura del diverso, la smania di vincere ad ogni costo, la paura di perdere la propria libertà. A muovere i destini dei protagonisti sono emozioni profonde e incontrollabili che avrebbero bisogno di una razionalità che non riesce quasi mai a prevalere sulla nebbia dell’istinto. Usciamo dal racconto indignati e spossati, perché abbiamo assistito a una grande ingiustizia e perché abbiamo capito quanta fatica serve, anche in una società che ostinatamente riteniamo moderna e culturalmente elevata, per mantenere quegli standard di giustizia ed equità che spesso diamo per scontati giusto per poter dormire la notte, ma che invece scontati non sono, e hanno bisogno di un lavoro lento e costante per essere mantenuti.

 

Perché seguire When They See Us: ricostruisce un fatto di cronaca poliziesco-giudiziaria con rigore impeccabile, tensione palpabile, recitazioni d’eccezione e una bussola morale saldissima.
Perché mollare When They See Us: se stasera cercate qualcosa di leggero e spensierato, ecco, no.

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