22 Agosto 2019 5 commenti

Legion series finale – La chiusura precisa della serie più assurda di Diego Castelli

L’ultimo episodio di Legion chiude tutti i conti aperti

Copertina, Olimpo, Pilot

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SPOILER SU TUTTA LA SERIE!!

E siamo arrivati alla fine di Legion. Come sempre accade in questi casi, è giusto dirci qualcosa sul finale, ma anche fare un bilancio più complessivo, che qui a Serial Minds cerchiamo sempre, per quanto possibile, di tenere slegato dal giudizio specifico su un finale che può essere andato bene o male.
In questo caso, poi, l’ultimo episodio di Legion si presta a molteplici approcci e giudizi, che forse possono essere riassunti così: è stata una puntata meno roboante di altre, e forse meno impattante, dal punto di vista creativo, di quanto valesse la pena sperare, ma è stata anche capace di mettere un punto straordinariamente fermo a una vicenda che nel corso delle stagioni si era fatta sempre più liquida.

La natura sperimentale di Legion – così lontana, nel suo approccio al racconto, rispetto a tanta altra serialità e cinematografia supereroistica – ha in realtà una giustificazione prettamente narrativa, oltre che autoriale. Nel mettere in scena la storia di alcuni fra i più potenti mutanti mentali al mondo (mutanti la cui intera percezione del reale è assai distante da quella dei comuni esseri umani), la serie ha colto l’opportunità di raccontare proprio quella alterità, quella natura così diversa. In soldoni, ciò significa che Legion, più che prendere David, mettergli una tutina e mandarlo a combattere il crimine, ha individuato l’unico nemico davvero temibile per un protagonista così potente: se stesso.
È da qui che, in gran parte, viene l’anima contorta, colorata, musicale e folle della serie, che addentrandosi sempre più nella mente di David ha prodotto una storia che nasce dal fumetto popolare per diventare criptica, difficile, “alta”, spesso incomprensibile e disturbante. Una storia che, partendo da uno scenario fatto (anche) di complotti, agenti e spie, è arrivata a una terza stagione interamente ripiegata su David, che diventa eroe e (potenziale) cattivo, inizio e fine di una narrazione che è interamente guidata dal suo protagonista e dalle sue molte facce, tutte tese a uno stravolgimento della sua vita presente, futura, ma soprattutto passata, là dove si annidavano i semi della sua infelicità.

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Nel tentativo di rendere complicato il piano di David, deciso a tornare indietro nel tempo per eliminare alla fonte la sua possessione da parte di Farouk, gli autori hanno disseminato il percorso di ostacoli, rendendo prima difficile trovare la mutante adatta allo scopo (Switch) e mostrando poi come il semplice girovagare nel tempo (che il finale, per bocca del padre di Switch, definisce meravigliosamente come un oceano, piuttosto che come un fiume) potesse scatenare forze soprannaturali che dovevano rappresentare il pericolo di giocare con cose “troppo grosse”. Il tentativo di fermare David, dunque, non è più nemmeno guidato dalla paura che diventi un malvagio, bensì semplicemente dalla concreta prospettiva che finisca col distruggere lo spaziotempo come lo conosciamo. Una forza di distruzione totale, perfino a prescindere dalla valutazione morale del suo operato.

Nell’episodio conclusivo tutti i nodi vengono al pettine, e quest’ultimo punto, quello potremmo dire “cosmico”, risulta essere quello più confuso. Al netto delle ottime idee legate alla rappresentazione dei time eaters, raffigurati come macchie scattose e dai volti indefiniti e inquietanti, la risoluzione di quella parte di trama sembra un po’ facilotta, col tessuno temporale che semplicemente rimane saldo grazie agli sforzi congiunti di Kerry, Sydney, e di una Switch che diventa praticamente il Tempo stesso. Tutto bello e tutto edificante, ma non ci spiega con precisione come mai il piano di David non ha effettivamente devastato il tessuto della realtà.

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Ben diversa invece, la valutazione sulla storia principale, cioè quella legata al protagonista. La scelta, molto coraggiosa perché meno scontata, è quella di rinunciare quasi del tutto allo scontro definitivo e iper-annunciato fra David e Farouk, che qualche cazzottone psichico se lo scambiano pure, ma senza arrivare alle vette robottose della scorsa stagione.
A cambiare non sono solo le carte in tavola, ma proprio tutto il gioco: convinti di unire le forze per randellare Farouk, David e suo padre si trovano davanti a due Farouk diversi, quello del passato e quello del presente. Ma se lì per lì il primo pensiero è “doppi guerrieri, doppia battaglia”, la sorpresa arriva dal fatto che il Farouk del presente tende una mano a Charles, mostrandosi benevolo e pentito delle sue azioni, e il futuro Professor X la accetta.
Da un certo punto di vista, potrebbe essere una mezza delusione: Charles e Farouk non si menano e raggiungono un accordo; David e il Farouk del passato se le danno, ma poi anche lì finisce tutto a tarallucci e vino, perché il Farouk moderno mostra al se stesso più antico tutto il male che avrebbe fatto, convincendolo a rinunciare.
Insomma, niente guerra, niente esplosioni, niente sangue.

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Il percorso, però, ha una sua coerenza, e una sua “giustezza”. Farouk non è mai stato un cattivo odioso, anzi, ci è sempre apparso come un mutante affascinante, colto e intelligente. Il suo imparare, il suo evolvere, è insomma tutto tranne che inverosimile. Dall’altra parte, poi, fondamentale è stato lavorare sul rapporto fra David e Charles. C’è quel breve dialogo fra i due, nel finale, che è probabilmente la scena chiave dell’intera serie: dopo aver saputo cosa il futuro avrebbe riservato a suo figlio, Charles si scusa con lui, si pente delle sue manchevolezze come padre, e giura che proverà a rimediare.
Alla fine dei conti, il vero nocciolo dell’esperienza di David è questo: non tanto il fatto di essere posseduto da Farouk, quando il fatto di essere sempre stato solo ad affrontarlo. Il piccolo David aveva perso madre e padre, sostituiti dal tumore psichico di Farouk, suo unico “parente” per il resto della vita. Ed era quello il vero problema, la vera ferita del protagonista. Il tentativo di uccidere Farouk prima che possedesse il neonato era una mossa disperata, da parte di David, per sistemare un’infanzia i cui problemi iniziavano da un’altra parte, dall’abbandono. Per questi tre anni, David è stato un bambino abbandonato, che non ha fatto altro che cercare una nuova casa, un posto del mondo, un’identità. Scoperta quell’identità, e riappacificatosi con un padre che ha capito le sue ragioni e promesso maggiore impegno, tutto l’odio e la voglia di rivincita che David covava evapora, o quanto meno diventa meno importante, e quindi anche accettare l’accordo con Farouk è possibile e salvifico.
Non a caso l’episodio inizia con alcune parole scritte, “questa è la fine”, “questo è l’inizio”, “la fine”. E poi: “tutto quello che possiamo conoscere è noi stessi”. Che è un po’ come dire che la storia finisce quando David finalmente si conosce appieno, impara da dove viene, e sistema prima di tutto quello, il suo passato.

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Sul finire c’è ancora spazio per due chiusure: da una parte Charles parla con la moglie, dice di voler essere più presente e di voler insegnare (inizia forse qui la carriera del futuro Professore?); dall’altra David e Syd si dicono addio per sempre. La loro è una conclusione potenzialmente amara, anche se era difficile, in una serie come Legion, sperare davvero in una chiusura puramente romantica fra i due. La verità è che anche in questo caso c’è coerenza: la relazione fra David e Syd è sempre stata strana, deviata, tossica, malata, ed era un riflesso, una reazione alla condizione frastagliata di David. Eliminata quella, l’amore con Syd si rivela per ciò che era, cioè un salvagente in un mare costantemente in tempesta. Ora che il mare è calmo, entrambi possono svanire nell’etere con la serenità di chi sa di aver costruito per sé una vita migliore.
L’episodio termina sulle note di “Happy Jack” degli Who, canzone che era già presente nel pilot e che per questo dà un ulteriore senso di completamento: finiamo all’inizio, iniziamo alla fine.

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Il bilancio finale, dunque, è ampiamento positivo. E non perché Legion sia perfetta, o perché ogni singolo dettaglio sia stato aperto, sviluppato e chiuso in modo impeccabile. Ma perché in tutti questi tre anni ha provato a fare qualcosa di diverso all’interno del genere in cui era inserita, riuscendo in molti casi a creare genuino stupore, e arrivando a una chiusura anch’essa coraggiosa (e quindi sempre a rischio delusione) ma che è soprattutto vera e definitiva, compiuta. Legion era e resta una serie di nicchia, che forse non farà esattamente scuola. Ma per noi che c’eravamo, che siamo stati qui, che abbiamo vissuto tre anni dentro queste assurde menti mutanti, il viaggio è valso il prezzo il biglietto.

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