10 Ottobre 2019 6 commenti

Raising Dion: Netflix continua a dare superpoteri ai bambini di Diego Castelli

Una storia prima di tutto familiare che intrattiene abbastanza ma che poteva dare di più

Copertina, Pilot

Era una delle serie che attendevo con più curiosità in queste settimane, è riuscita a deludermi sotto diversi aspetti, ma allo stesso tempo me la sono bevuta in due giorni provando un certo affetto per i personaggi.
Sto (confusamente) parlando di Raising Dion, nuova serie di Netflix creata da Carol Barbee e tratta dal fumetto e cortometraggio omonimo firmati Dennis Liu.

La trama è semplice: si racconta delle difficoltà di una madre vedova che è costretta a tirare su da sola il figlio ancora bambino. Una situazione abbastanza classica, anche quando aggiungiamo che sono neri e il figlio va in una scuola piena di bianchi, con conseguente difficoltà di ambientamento, un po’ di bullismo e razzismo, le solite cose. A cambiare veramente le carte in tavola è che Dion, questo il nome del bambino, a un certo punto comincia a manifestare poteri paranormali che fanno tanto supereroe, tipo spostare gli oggetti col pensiero e teletrasportarsi. Al che la madre, Nicole (Alisha Wainwright), si fa aiutare dal migliore amico del marito morto, Pat (Jason Ritter), che lavorava con lui, per tentare di risolvere il mistero, che pare legato a certe ricerche scientifiche del defunto genitore.

Un po’ deluso, si diceva all’inizio, ma comunque intenerito. La delusione viene dal fatto che Raising Dion è molto più “normale” di quanto sperassi. Il trailer faceva pensare alla possibilità di esplorare un mondo poco battuto dalla cineserialità, cioè quello dei bambini-con-poteri, ma in un’ottica non per forza thriller-horror o eccessivamente drammatica. Era palese, insomma, che ci sarebbe stata un’attenzione maggiore all’elemento familiare e al percorso di formazione del bambino, e speravo che questo avrebbe potuto offrire uno sguardo almeno in parte originale sul supereroismo, slegandolo dall’obbligatoria componente “mettiamoci un costume e meniamo le mani”, per usare i poteri come metafora della crescita e come scusa per mettere su qualche gag simpatica. Più Hancock e meno Avengers, da un certo punto di vista.
Questo però non succede, o non succede abbastanza, perché se è vero che Pat e altri personaggi cercano di accompagnare Dion in un processo di apprendimento e autocoscienza quanto mai necessario, è altrettanto vero che lo fanno nelle chiavi del mystery e della cospirazione. Quello che salta fuori, e non è un grande spoiler, sono una serie di segreti che danno una linea narrativa chiara alla vicenda, ma le tolgono qualunque originalità, relegandola al thriller fantascientifico abbastanza ordinario.
A quel punto viene quasi spontaneo fare un paragone con l’altra, famosissima bambina con poteri di Netflix, la Eleven di Stranger Things. Con la differenza che là c’è un progetto stilistico precisissimo, in cui Eleven è ingranaggio di un meccanismo nostalgico più ampio e stratificato, che in Raising Dion non c’è.

Nonostante questi problemi, devo anche fare i conti col fatto che mi sono visto nove episodi in due giorni, e non mi ci sono nemmeno sforzato troppo. Certo, il genere mi piace, mi interessa l’argomento, ma nove episodi sono nove episodi.
Il motivo va ricercato nel fatto che sì, Raising Dion è significativamente meno originale di quanto sperassi, ma allo stesso tempo le sue cosine “non originali” le fa bene. Il cast è azzeccato, sia nei personaggi principali sia nei comprimari (simpaticissima la piccola Sammi Haney, bambina disabile che interpreta Esperenza, l’amica-sfigata-che-però-è-vera-amica-e-quindi-non-è-poi-così-sfigata). La storia va via liscia con i suoi cliffhanger e i suoi sviluppi un po’ telefonati, ma comunque gestiti con una certa cura. Anche gli effetti speciali fanno la loro parte: non aspettatevi i draghi di Game of Thrones, ma allo stesso tempo non si prova disagio quando i cereali fluttuano o i bambini si teleportano.
Soprattutto, l’elemento più tenero e puccioso funziona: il rapporto fra Dion e la madre è realistico, credibile, e se anche non ci si stupisce granché di quello che accade (salvo un paio di buoni twist), è abbastanza facile affezionarsi ai personaggi e voler vedere come va a finire la storia.

Secondo me è una serie che doveva uscire fra un mesetto. Sapete, quando fa più freddo, fuori piove, e l’unica cosa che vuoi fare nel week end è metterti sul divano, sotto la copertina, con la cioccolata calda e una serie tranquilla e pacifica, che ti appassioni un po’ ma non troppo (che poi la cioccolata non la digerisci), e che ti lasci con l’idea di essere stato intrattenuto adeguatamente mentre cercavi solo di rilassarti.
Vista così, Raising Dion funziona. A chiederle di più, invece, non ce la fa.

Perché seguire Raising Dion: una storia semplice ma efficace, con buoni interpreti, adatta a chi cerca un intrattenimento facile sul tema “bambini e poteri”.
Perché mollare Raising Dion: il concept avrebbe meritato un approfondimento maggiore, ed è un po’ frustrante vedere che si sono limitati al compitino.



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