14 Novembre 2019 2 commenti

Bojack Horseman: siamo quasi alla fine e non siamo mica pronti di Diego Castelli

Penultimi 8 episodi per una serie animata che ci mancherà come se fosse di famiglia

Copertina, Olimpo, On Air

Aspetta aspetta, che qui le cose da vedere si accumulano, e poi finisce che non parliamo di Bojack Horseman. E invece è necessario parlare di Bojack Horseman, perché è uscita la prima parte dell’ultima stagione e questo significa che quello che state leggendo è, con ogni probabilità, il nostro penultimo articolo sul cavallo depresso di Netflix.
Non so come sentirmi, riguardo a questo fatto. Da una parte c’è sicuramente la malinconia per una cosa bella che finisce, malinconia tipica del serialminder compulsivo che vorrebbe che le sue serie preferite non finissero mai. Dall’altra, però, c’è anche la consapevolezza che il percorso sta davvero arrivando alla fine, e che è difficile per chiunque tenere per tanti anni il livello sempre alto, specie in una serie che gira tutta intorno a un unico nucleo centrale, cioè il male di vivere di un protagonista alcolizzato e segnato dai traumi.
Raphael Bob-Waksberg e la sua squadra ce l’hanno fatta per sei anni, ma ora è giusto che abbiamo la possibilità di mettere la parola fine alla loro storia, così strampalata da essere piena di animali parlanti, eppure così vera da sembrare più realistica di molte altre serie “umane”.

Ovviamente questa prima metà di stagione non chiude alcun discorso, ma riesce a seguire tutti i personaggi principali continuando a sviluppare le loro psicologie, ma aprendo anche squarci di consapevolezza su questo o quel tema politico, culturale, sociale.
Nel primo episodio, tanto per dirne una, ci si fa qualche domanda sulle cliniche per la rehab, che facendo profitti sui vip che vanno a disintossicarsi, forse non hanno affatto l’interesse a che il paziente di turno si disintossichi davvero, perché un paziente disintossicato è un paziente che non paga più. La puntata serve anche a inframmezzare un flashback che ci riporta al primo goccio di alcol bevuto da Bojack, quando ancora era bambino, al termine di una festa dove i genitori si erano sfasciati.

Molto efficaci anche le soluzioni visive del secondo episodio, dove una Princess Carolyn sempre più in difficoltà nel coniugare le esigenze del lavoro con quelle della maternità, viene seguita da una lunga serie di fantasmi di se stessa, a sottolineare con rara precisione l’impegno richiesto a una madre single. Anche qui, però, spazio per una riflessione cinica ma molto concreta: anche quello della mamma è un lavoro, e lo si deve fare a prescindere da quello che ci va in quel momento (in generale, l’assunzione di responsabilità per le proprie scelte è un tema centrale di tutta la serie).

Seguono due puntate un filino meno ficcanti, ma sempre piene di idee: vedere Diane contro la classica multinazionale mangia-tutto non fa grande notizia, ma l’idea di chiamarla WhiteWhale e farla dirigere effettivamente da una balena lascia sempre quel gusto di precisione totale a cui Bojack ci ha abituato.
Seguono i problemi sentimentali di Mr Peanutbutter, la cui fidanzata Pickles scopre di essere stata tradita e rischia di far saltare il matrimonio. Qui a tenere banco è una rappresentazione ipercinetica e allucinata dei social che Pickles usa in modo compulsivo, facendoti venire un po’ schifo del cellulare. Per poco però, perché poi ti viene da fare una foto della serie e farci una storia su instagram.

Il quinto episodio vede invece il formarsi del sindacato degli assistenti, e un twist interessante della vicenda di Mr Peanutbutter, che viene convinto a confessare le sue tendenze depressive e suicide (completamente inventate) al solo scopo di ribaltare l’antipatia che la gente ormai prova nei suoi confronti a seguito del tradimento. Non è un risvolto banale, perché diventa una rappresentazione della versione sbagliata del politically correct. O, per dirla meglio, denuncia come le migliori intenzioni del pubblico possano essere facilmente manipolate più o meno dalla stessa gente che, su altri tavoli e in altre circostanze, viene insultata per il fatto di usare il marketing per obiettivi riprovevoli. È un po’ lo stesso “dietro le quinte” che stiamo vedendo in queste settimane in The Morning Show di Apple.
Significativo anche il sesto episodio, che sembra arrivare a un nucleo profondo e decisivo del malessere di Bojack: ormai da anni il nostro povero cavallo cerca di capire l’origine delle sue sfortune, e qui, ripensando all’influenza subita dai genitori, arriva a capire di far parte di una specie che è arrivato ad odiare. E nel momento in cui ti rendi conto che ciò che odi e ti fa star male non è un elemento esterno a te, bensì la tua stessa natura, il problema diventa insieme più chiaro e più difficile da risolvere.

La vicenda prosegue nell’episodio sette, dove Bojack incontra la ex parrucchiera che, anni addietro, aveva fatto licenziare dal suo show per coprire le sue magagne. La donna è invecchiata e non sembra aver avuto una gran bella vita, e la colpa di tutto è di Bojack, anche se per lei pare essere acqua passata. Scopriamo che Bojack si tinge, che la sua criniera è in realtà grigia, e nel vederlo trovare conforto nella rievocazione di una vecchia messa per cavalli, ci rendiamo conto con lui che il tempo passa e lenisce le ferite, a patto di concederglielo, comprendendo dove abbiamo sbagliato e dove gli altri hanno sbagliato nei nostri confronti.

L’ultimo episodio di questa tranche, quello che in un certo senso potremmo considerare l’ultimo “season finale” della serie, sposta momentaneamente il fuoco da Bojack per affrontare un tema molto caro allo show, cioè quello del femminismo e della rappresentazione e del ruolo delle donne a Hollywood. Protagonista è Kelsey Jennings, che nel tentativo di girare un film su una supereroina che sia “diverso dal solito” lacera il velo di ipocrisia e (ancora una volta) di politically correct che ammorba l’industria cinematografica: banalmente (ma in realtà per nulla “banalmente”) Kelsey propone un film in cui la supereroina ricavi problemi non solo dai suoi nemici, ma anche dal fatto che una supereroina donna, proprio in quanto donna, sarebbe trattata diversamente rispetto a colleghi uomini. I produttori, invece, mostrano la loro miopia cavalcando un’idea che è femminista solo superficialmente: scrivere un normalissimo film di supereroi, in cui la protagonista non ha il pene. Troppo poco, e di nessuna utilità.

Il finale-finale, comunque, è ancora per Bojack, e getta un’ombra oscura sugli ultimi episod. Bojack sembra vicino a comprendere veramente se stesso, ma proprio qui arriva una nuova potenziale martellata: Holly conosce un ragazzo che racconta di una vicenda passata in cui un adulto fece bere lui e i suoi amici quando ancora erano al liceo (e naturalmente si intuisce che quell’adulto potrebbe essere Bojack). Una specie di passaggio di consegne alcolico che rappresenterà una nuova colpa per il protagonista, il cui equilibrio è già fragile di suo. Se potevamo pensare a un lieto fine, questi ultimi minuti fanno scricchiolare le nostre certezze o, per lo meno, ci dicono che la strada verso la serenità sarà accidentata anche negli ultimissimi episodi.

In ultimo, vale la pena ricordare che qui abbiamo fatto una specie di piccolo riassunto di quanto visto in questa prima metà di stagione, ma è un riassunto che contempla soprattutto la trama spicciola e quello che “succede” ai nostri amati personaggi. Sappiamo benissimo, però, che almeno metà della bellezza di Bojack sta in quello che si scorge quasi letteralmente sullo sfondo, cioè la mole di invenzioni visive che gli autori stanno mettere in campo per trasformare l’”animalità” dei protagonisti in un modo colorato e assurdo di mettere in luce difetti e idiosincrasie tipicamente umane. Da questo punto di vista, questa stagione non è inferiore alle precedenti, semplicemente è impossibile fare un compendio realmente esaustivo della quantità di splendide idiozie che riempiono ogni episodio.
Non ci resta che attendere gli ultimi episodi, nella certezza che Raphael Bob-Waksberg & Co sapranno strizzare fuori dal loro cervello tutta la creatività ancora disponibile per una serie che, comunque vada, è già leggenda.



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