12 Febbraio 2020

Bojack Horseman series finale: ultime lezioni di vita dagli animali parlanti di Diego Castelli

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Ci ho messo qualche giorno a padroneggiare emotivamente (se si può dire così) il finale di Bojack Horseman. E questo perché si tratta di una manciata di episodi che hanno certamente molto di definitivo, ma anche tanto di sospeso. Ok, forse è una storia che non ha mai avuto nel suo DNA la possibilità di terminare con una lunga cavalcata verso il tramonto, ma comunque, per proprietà intrinseche della serialità, ci ha portato a pensare che a un certo punto il lungo percorso di Bojack sarebbe terminato. Ora però abbiamo scoperto che forse, con questo finale, è appena cominciato.

La seconda parte della sesta stagione si muove attorno ad alcune linee narrative principali, e in particolare una: Bojack inizia a insegnare all’università – attività che fra alti e bassi sembra dargli buona soddisfazione e una certa stabilità – ma il suo passato continua a braccarlo. Quando viene fuori la storia di Sarah Lynn (uccisa dalla droga datale da Bojack, che poi non l’aveva nemmeno soccorsa come avrebbe dovuto), i giornalisti gli sono di nuovo addosso: Bojack decide di ammettere pubblicamente ogni colpa, ma ancora una volta, come già successo in passato, lo fa per i motivi sbagliati, per cercare di ricostruirsi un’immagine spendibile sul mercato. Le cose, naturalmente, gli sfuggono di mano, e dopo essersi affidato a un nuovo agente, del tutto deleterio, finisce di nuovo a bere.
La sbornia lo porta a introdursi illegalmente nella sua vecchia casa (che nel frattempo aveva perso) e a finire svenuto in piscina, dove morirebbe sicuramente se la nuova famiglia insediatasi nella sua vecchia dimora non lo trovasse in tempo, salvandolo. Il finale è poi dedicato al matrimonio di Princess Carolyn con Judah, durante il quale Bojack, finito in prigione per la storia della casa, ha la possibilità di salutare per l’ultima volta Diane, che nel frattempo si è rifatta una vita a Houston con Guy.
A questa trama principale si affiancano poi alcune sottotrame dedicate ad altri personaggi, su tutti la stessa Diane, che prima lotta con la difficoltà di scrivere la sua autobiografia, poi trova successo commerciale con un romanzo giallo per ragazzi, e infine sistema anche la sua vita sentimentale. Da segnalare anche Todd, il cui percorso si è sempre più allontanato da quello di Bojack, e che forse proprio per questo è riuscito a trovare anch’egli un suo equilibrio, in particolare nel rapporto con la sua famiglia di origine.

Si diceva della difficoltà di comprendere e digerire appieno questo finale. Da una parte c’è la mancanza di grossi salti creativi, cosa che metto nella casella dei difetti, per quanto alcuni elementi siano come sempre pregevolissimi anche in termini puramente audiovisivi: ad esempio la rappresentazione confusa, fluida e fumettosa delle difficoltà letterarie di Diane; oppure il sogno comatoso di Bojack, che svenuto in piscina finisce in una sorta di pre-aldilà pieno di tutti i personaggi morti nel corso della serie). Dall’altra parte c’è invece una precisa scelta filosofica e stilistica, che porta Bojack Horseman a non cercare a tutti i costi un finale “col botto”.
I motivi vanno ricercati nella storia stessa del protagonista, e nel come è stata trattata in questi anni. Quella di Bojack è una storia di colpa, tossicodipendenza, maschilismo tossico, una storia che è partita da un tema apparentemente classico, quello del protagonista fascinoso e dannato, per rivoltarlo come un calzino, e mostrare come proprio quella retorica stia spesso alla base di un’indulgenza pericolosa nei confronti dei protagonisti, che finiscono con l’essere troppo vittime poco carnefici.

Ecco, Raphael Bob-Waksberg & Co. non si sono mai dimenticati di inchiodare Bojack alle sue responsabilità, e lo fanno anche in quest’ultima parte della serie: non appena il cavallo pensa di poter sfruttare la sua volontà di redenzione come leva per un miglioramento delle sue condizioni sociali e lavorative, ecco che arriva la scure autoriale a ricordargli che no, non può, non è così che funziona, e non esiste pentimento efficace che non sia sincero e disinteressato.
C’erano quindi delle decisioni da prendere: esiste una possibilità di redenzione per Bojack (e, allargando, per tutti quelli nella sua condizione, con le sue colpe)? E se sì, come metterla in scena? E se invece no, come mostrare la definitiva condanna?
Aveva senso, da questo punto di vista, credere che Bojack sarebbe effettivamente morto in piscina. Sarebbe stata una scelta forte, anche se legittima, e avrebbe portato la serie a decidere per la punizione definitiva, come se le colpe di Bojack, nonostante le circostanze attenuanti legati a un’infanzia di merda e alla dipendenza da droghe e alcol, fossero troppo grandi per essere davvero espiate.

Allo stesso tempo, però, sarebbe stata una scelta troppo facile. Se Bojack Horseman ha avuto un pregio, in questo anni, è stato quello di prendere temi anche spinosissimi (su tutti quello del rapporto sbilanciato fra uomini e donne, che all’inizio dello show non era così accentuato e si è poi evoluto), e farci sopra riflessioni tutt’altro che banali, sempre centrate, sempre abbastanza articolate da non risolversi in vuoti slogan e stucchevoli prese di posizione. Bojack Horseman ha sempre mostrato le fragilità di tutti i personaggi, e allo stesso tempo ha sempre evidenziato dove stessero le colpe e gli errori. In questo senso, fare tabula rasa uccidendo Bojack non sarebbe stato coerente con l’approccio seguito finora: che il decesso fosse nobile o umiliante, poco sarebbe cambiato, perché avrebbe rappresentato una posizione troppo netta in entrambe le direzioni.

E invece no, Bojack sopravvive. E nel momento in cui sopravvive, bisogna portarlo a riflettere su cosa vuole fare della sua vita da quel momento in poi. Ed è qui che, lentamente ma inesorabilmente, si svela la reale direzione narrativa ma anche filosofica della sceneggiatura.
Nel finale vediamo che tutti i personaggi un tempo così importanti per Bojack si staccano definitivamente da lui. Princess Carolyn si sposa e, malgrado lui provi a tenersela vicina come agente, gli fa capire con dolcezza ma inequivocabilmente che non lo sarà più. Todd, che ormai si era già allontanato, ha modo di concedere a Bojack un ultimo momento di sincera amicizia, ma comunque non lascia spazio ad alcun riavvicinamento. E infine Diane, che rappresenta la relazione umana più importante avuta da Bojack nella serie, lo saluta un’ultima volta, ringranziandolo per ciò che, nel bene o nel male, ha rappresentato nella sua vita, facendo però capire che ora dovranno prendere direzioni diverse.

Per dirla semplice, il miglior pregio dell’ultimo capitolo di Bojack Horseman è quello di non essere né un lieto fine, né una conclusione tragica. A Bojack è concesso di vivere, e gli viene riconosciuto di aver pagato abbastanza (fra prigione, rischio di morte ecc) da essersi guadagnato la possibilità di ricominciare. Allo stesso tempo, però, il male che ha fatto a tante persone è troppo grande per sperare di poter ricominciare con la vecchia vita, ricucendo i vecchi rapporti.
Una morte dunque c’è, ed è la morte della vecchia vita di Bojack: non solo quindi la fine delle vecchie, cattive abitudini, ma anche la fine dei rapporti che quelle abitudini hanno inevitabilmente rovinato. La somma punizione, per il protagonista, non è dunque la morte fisica, bensì l’impossibilità di riparare ciò che ha distrutto, con la conseguente necessità di costruire qualcosa di nuovo, un po’ come la scritta “HOLLYWOOD” che, anche quando viene sistemata da Mr. Peanutbutter, non può tornare come prima e diventa “HOLLYWOOB”.

Ognuno di noi può decidere se Bojack ha pagato troppo, o troppo poco. Ed è una decisione che, evidentemente, si riflette su tutti gli uomini reali che vediamo nella stessa situazione. Bojack Horseman però non è mai stata una serie vendicativa, è stata invece una storia sempre pronta a dare seconde o terze possibilità, ma senza mai dimenticare che ogni azione ha una conseguenza, e che alcune conseguenze sono irreversibili.
Il più grande successo del protagonista, dunque, non è accettare di aver commesso le sue colpe, né riuscire a intraprendere la strada della sobrietà, cose che comunque aveva già fatto. Il suo nuovo percorso comincia quando, oltre al riconoscimento del male che ha fatto, c’è anche quello dei danni che, proprio in virtù di quel male, non sarà mai in grado di sistemare. Da qui in poi, dopo che il destino gli ha effettivamente concesso di ricominciare, starà a lui condurre la sua vita in modo diverso, e darle un senso che in qualche modo compensi ciò che ha sprecato in passato.

Le parole di Diane, che inizialmente sembrano assolvere Bojack da alcune colpe, a loro modo utili a plasmare il carattere di lei (servirebbe un articolo a parte per parlare delle sue forme più rotonde e naturali, che tanto significano in termini di rappresentazione mediatica del femminile), sono in realtà parole che la ragazza rivolge prima di tutto a se stessa. Quando ringrazia Bojack, non gli sta effettivamente attribuendo dei meriti, piuttosto sta riconoscendo a se stessa la capacità di aver usato quelle esperienze, spesso negative, per costruire una persona più completa. Non ha senso per lei avercela davvero con Bojack, perché proprio la capacità di distaccarsi da lui e dalle spirali emozionali tossiche in cui continuava a precipitare, è il segno della sua guarigione. Allo stesso tempo, ovviamente, l’affetto che ancora prova per lui non può bastare per riallacciare un rapporto che è ormai irrecuperabile.

L’ultima, meravigliosa scena della serie è una lunga inquadratura muta in cui Bojack e Diane, sotto le stelle, rimangono vicini in un silenzio assoluto e imbarazzato, ormai definitivamente separati da un infinito blu puntinato. È la conclusione di qualcosa di importante, l’accettazione di una resa inevitabile, e la presa di coscienza che a volte, per avere un finale almeno in parte lieto, bisogna avere la forza di riconoscerlo come nuovo inizio.
A noi, invece, rimane la sensazione di un cerchio che si chiude, in concomitanza di un altro che si apre e di cui non sapremo mai nulla. Se Bojack Horseman mi/ci/vi aiuterà nella vita, non lo so, ma per ora ci basta la consapevolezza di aver guardato una delle serie più vere, profonde, genuine e realistiche di sempre.
Il fatto che fosse popolata di cavalli parlanti e cani con gli occhiali da sole, è solo uno straniante plus.



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