27 Novembre 2019 1 commenti

Daybreak – Su Netflix l’apocalisse atomica in versione teen di Marco Villa

In Daybreak una bomba atomica colpisce solo gli adulti e lascia il mondo in mano agli adolescenti

Copertina, Pilot, Senza categoria

Toh, un’apocalisse. Cose che capitano in tempi di tensione e poca fiducia nel futuro prossimo. In Daybreak, l’apocalisse in questione è quella causata da una bomba atomica selettiva, se così può essere definita. Non sappiamo chi l’abbia lanciata, ma il risultato è chiaro: tutti gli adulti sono trasformati in zombie, che ripetono incessantemente l’ultimo pensiero che avevano in testa prima dello scoppio. I ragazzi, invece non sono stati toccati dall’esplosione: sono loro i nuovi padroni del mondo e si ritrovano liberissimi di fare tutto quello che volevano. In primis, però, devono capire come sopravvivere in un mondo in cui non c’è più il bancomat di papà e mamma ad esaudire ogni desiderio. 

Ben lontana da essere un dramma di sopravvivenza, Daybreak (su Netflix dal 24 ottobre) costruisce tutto il proprio racconto in modo leggero e ironico. Se in tempi “normali” all’interno di qualsiasi liceo si sarebbero formati gruppetti di persone più o meno popolari, quella divisione diventa adesso una divisione in bande, che controllano il territorio e si caratterizzano per stile, abbigliamento e livello di aggressività. All’interno di questo mondo poco amichevole, c’è Josh, che si muove da cane sciolto con l’unico obiettivo di ritrovare Sam, la ragazza di cui è innamorato. Per questo, le lascia messaggi sui muri, consapevole che anche la fine del mondo potrebbe essere accettabile accanto a lei.

Di fondo, quindi, Daybreak è il racconto di una storia d’amore adolescenziale con mille ostacoli in mezzo: Josh ha la faccia sfrontata ma non troppo di Colin Ford, mentre Sam risponde all’archetipo della ragazza sveglia che fa capitolare i coetanei in mezzo secondo ed è interpretata da Sophie Simnett. La situazione post-apocalittica è ovviamente lo sfondo della faccenda, ma fa anche da acceleratore per tutti i personaggi, che diventano una versione eccessiva di se stessi: gli zarri si trasformano in figure alla Mad Max; i fighetti in golfisti sadici che ricordano i killer di Funny Games e così via.

La forza della serie è quella di cercare di ricreare le dinamiche liceali in un contesto che di liceale non ha più niente: lo spunto di Daybreak è buono e anche il tono è molto intelligente. Elemento creativo è la costante sguardo in camera del personaggio principale, che per la prima metà del pilot si rivolge quasi esclusivamente allo spettatore, facendo capire la ricerca metalinguistica della serie e la sua volontà di essere parodia di genere, ma arrivando a tanto così dall’essere stucchevole.

Dovendola giudicare dai primi 40 minuti, Daybreak è una serie leggerissima e ritmata: le manca lo slancio geniale alla American Vandal, ma nel corso della stagione potrebbe regalare chicche. Probabilmente niente di esplosivo, ma qualche soddisfazione non è esclusa.

Perché guardare Daybreak: perché spunto e tono sono quelli giusti

Perché mollare Daybreak: perché non è una serie in grado di spostare equilibri, né di diventare la nuova American Vandal

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