20 Ottobre 2020

La Révolution – Netflix: una horror-soap sulla rivoluzione francese di Marco Villa

La Revolution è pienissima di stimoli e spunti, spesso realizzati con superficialità. Ed è sempre a un passo dalla soap, un po’ come La Casa di Carta

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Un palazzo signorile mezzo incendiato, un cavaliere solitario che avanza nella neve in mezzo a corpi senza testa, fino a raggiungere un uomo che cerca di scappare, ma che viene colpito e poi decapitato. Il tutto con un’impronta visiva più da videogioco post-apocalittico che da serie in costume. È l’inizio de La Révolution, serie francese disponibile dal 16 ottobre su Netflix con gli otto episodi della prima stagione.

La storia di fondo è nota: in Francia, sul finire del XVIII secolo il divario tra popolo e nobiltà è ampio come non mai. La gente comune non ha di che mangiare, l’aristocrazia organizza banchetti. Arriverà la rivoluzione e la classe più agiata verrà decapitata. Letteralmente. L’intuizione de La Révolution è di prendere un simile contesto e inserire una trama a metà tra mystery e horror, andando a sottolineare ancor di più quel divario di esistenze che è alla base della sollevazione popolare. La distinzione tra potenti e deboli (citata in modo diretto nella serie) attribuisce ai primi un sadismo innato, tra poliziotti con tendenze da serial killer e nobiluomini che giocano con le vite di chiunque, parenti prossimi compresi.

In più, c’è la storia di un tot di giovani contadine rapite e mai più trovate, presumibilmente finite a sfamare una sorta di mostro (non sappiamo ancora quanto umano e quanto no) che è portatore di una malattia del sangue in grado di resuscitare dai morti, ma che cambia proprio l’aspetto del sangue, facendolo diventare blu. 

Pausa: c’è già abbondanza di trame e stimoli, a queste vanno aggiunte quelle amorose con protagonista una bella contessina (Marilou Aussiloux); il racconto di un gruppo di ribelli chiamato La Fratellanza; un omone nero in odore di Miglio Verde (il rapper Doudou Masta), in grado di leggere nella mente di chi incontra; un vecchio conte rapito e segregato; un uomo che tutti hanno dato per morto (Lionel Erdogan) e che torna dopo molti anni. E sto parlando solo dei primi due episodi. È evidente che La Révolution non tira certo indietro la gamba, scegliendo la strada dell’accumulo di situazioni e vicende per catturare lo spettatore, in una mirabile rappresentazione del concetto di horror vacui. 

La seconda scelta del creatore Aurélien Molas è di non prendere mai strade secondarie, ma di andare dritto per dritto: i cattivi hanno una faccia talmente cattiva che nemmeno Lombroso avrebbe osato tanto e per giunta sono pure tutti vestiti in modo minaccioso; allo stesso modo, basta uno sguardo per capire chi fa parte dei buoni, con la consapevolezza che la loro bontà sarà a livelli di beatitudine. Pure i simbolismi sono autoesplicativi: è consuetudine dire che i nobili hanno sangue blu? Allora facciamo vedere che per via di questa misteriosa malattia DAVVERO hanno il sangue blu e sono in grado di fregare il popolo anche sul fatto che la morte sia definitiva. 

Ancora: per dividere in modo netto nobili e popolo, i rivoltosi si fanno tatuare un cerchio sull’avambraccio, cosa oggettivamente risibile in quanto a verosimiglianza, ma utilissima per una sceneggiatura che non vuole mai complicazioni. Infine un’ultima osservazione: sappiamo bene che negli anni della rivoluzione (e poi del Terrore), migliaia di francesi finirono decapitati, subendo quella stessa morte che si riserva agli zombie. Sarà un caso che uno dei protagonisti (Amir El Kacem) si chiami Guillotin di cognome?

Lo so, ho ammassato una quantità abnorme di informazioni, per giunta senza grande ordine, ma è esattamente quello che si prova guardando i primi episodi de La Révolution. Da una parte si viene eccitati da stimoli continui e da una storia che sembra cibarsi di trame e sottotrame senza sosta, dall’altra si viene frustrati dal fatto che tutto viene raccontato in modo ipersemplicistico.  C’è pure un dialogo in cui, per spiegare la situazione sociopolitica, una popolana usa la metafora dell’1% della popolazione che possiede il 99% delle ricchezze: così, paro paro da Occupy Wall Street. 

Alla fine allo spettatore resta in mano un prodotto allo stesso tempo ricco (di spunti e stimoli) e povero (per realizzazione), che rischia sempre di sciogliersi in una soap con i morti che tornano in vita. Tutte motivazioni che possono far diventare La Révolution una nuova Casa di Carta, con tutto ciò che questo comporta. Nel bene e nel male.

Perché guardare La Révolution: perché ha tutto per riempire una casella a metà tra intrattenimento senza pretese e guilty pleasure

Perché mollare La Révolution: perché è sempre a un centimetro dalla soap

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