9 Giugno 2021

Suburbia Killer – Netflix: mi avevi quasi fregato e invece… di Marco Villa

Suburbia Killer parte bene e coinvolge con un buon meccanismo narrativo, ma crolla di colpo e si rivela per la serie spagnola che è

Pilot

Suburbia Killer mi aveva quasi fregato. Anzi, no: mi ha fregato, perché la sto vedendo tutta e la finirò, quindi il suo risultato l’ha ottenuto. Mi aveva quasi fregato anche dal punto di vista della soddisfazione, perché la visione aveva pure del godimento di sottofondo, pur nella consapevolezza di trovarsi di fronte a qualcosa che mai avrebbe potuto sfondare la barriera del dignitoso intrattenimento. Peccato che poi sia arrivata la valanga. Non sto a specificare di cosa.

Suburbia Killer è uno dei 18 titoli di una serie spagnola disponibile su Netflix, chiamata anche El Inocente in originale e The Innocent in un’altra versione internazionale. “Suburbia Killer”, invece, è il nome del romanzo da cui è tratta, scritto da quell’Harlan Coben che su Netflix aveva già spopolato con The Stranger. Perché Suburbia Killer cattura? Perché parte a mille all’ora. I primi 10 minuti del pilot contengono una gran quantità di fatti, situazioni e colpi di scena, presentati da una voce fuori campo che racconta tutto quello che è successo al protagonista Mat (Mario Casas) negli ultimi anni, dalla notte in cui ha spintonato un ragazzo che ha sbattuto la testa ed è morto, passando per il carcere, il ritorno a casa e l’incontro con Olivia (Aura Garrido), la donna della sua vita. La serie è appena iniziata e la carne al fuoco è già tantissima. Ottimo. L’inizio del secondo episodio è identico: cambia il personaggio (questa volta è l’ispettrice Ortiz, interpretata da Alexandra Jimenez), non la modalità di presentazione, con un riassunto estremamente rapido delle vicende che hanno caratterizzato la sua vita. Due storie distinte, che nulla hanno a che vedere l’una con l’altra, ma che finiscono per incrociarsi nell’ultima scena del secondo episodio. 

La costruzione è solida, efficace e coinvolge, così come coinvolgenti sono le introduzioni delle puntate successive, tutte dedicate a diversi personaggi e tutte realizzate con lo stesso meccanismo. Niente di sconvolgente, ma è un’idea di scrittura ed è già qualcosa. Peccato che poi quel qualcosa si perda via, perché il meccanismo diventa maniera e la descrizione puntuale diventi ripetitiva, trasformandosi in spiegoni dalla frequenza discutibile. A dare la mazzata finale, poi, ci si mettono scene che provocano un altissimo imbarazzo conto terzi nei confronti di chi le ha girate e interpretate: in particolare, spicca un’infinita sequenza action tra la già citata Olivia e quello che si rivelerà essere il cattivo principale. Una scena che a confronto Don Matteo è The Departed. 

Un crollo verticale, perché tutti questi segni meno arrivano uno dopo l’altro, nell’arco di poche scene. Pur avendo solo otto episodi, Suburbia Killer non ha il fiato per arrivare alla fine, ma sbraca intorno alla metà, segno che le pur buone intuizioni iniziali non erano sufficienti. Da queste parti non siamo mai stati teneri (eufemismo) con le serie spagnole, stavolta quasi ci eravamo lasciati convincere, ma la delusione è arrivata puntuale. Nel momento in cui scrivo, mi resta un solo episodio da vedere: sono successe talmente tante cose una sull’altra che nemmeno l’avvento degli alieni mi sorprenderebbe. Anzi, forse chiuderebbe il cerchio, ovviamente con tanto di intro narrativa dedicato a quanto compiuto fin lì nella loro vita sul pianeta Sgurz.

Perché guardare Suburbia Killer: perché riesce a coinvolgerti e a fregarti
Perché mollare Suburbia Killer: perché poi si rivela per la serie spagnola che è



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