10 Marzo 2022

The Dropout – Una miniserie di Hulu per ribaltare il sogno americano di Diego Castelli

Come Dopesick, The Dropout racconta una storia vera in ambito medical, e anche qui vengono i brividoni

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A volte, per avere una buona storia, una storia originale, basta un ribaltamento. Prendere un meccanismo che diamo per scontato, che spesso ci piace dare per scontato, e spezzarlo, storpiarlo, rovinarlo consapevolmente, per rivelarne le contraddizioni e i lati oscuri, e per regalarci una consapevolezza maggiore sulle cose del mondo. A volte questa operazione è così complicata, che deve venirci in soccorso la realtà, proprio come accade in The Dropout.

The Dropout è la nuova miniserie di Hulu (in arrivo il 20 aprile su Disney+), creata da Elizabeth Meriwether (già madre di New Girl), con protagonista Amanda Seyfried e tratta dall’omonimo podcast di Rebecca Jarvis, ispirato a una storia che deve ancora concludersi del tutto.

Parliamo della vicenda di Elizabeth Holmes, che a soli 19 anni, nel 2003, fondò Theranos, un’azienda che prometteva di rivoluzionare il mondo della diagnostica grazie a uno strumento capace di effettuare un gran numero di analisi del sangue a partire da un singola goccia ematica fornita dal dito del paziente.

Uno strumento, insomma, che avrebbe permesso a moltissime persone di tenere sotto controllo i propri valori ematici (magari in concomitanza con determinate patologie che esigono screening molto frequenti) riducendo al minimo le procedure invasive e gli spostamenti da e verso gli ospedali.

Un progetto potenzialmente rivoluzionario che permise di raccogliere grandi capitali e la fiducia di molti investitori, tanto che Forbes, nel 2015, dichiarò che Holmes era la più giovane miliardaria “self-made” d’America, con una capitalizzazione di 9 miliardi di dollari.

Peccato fosse tutta una truffa.

Eh già perché il bello (o il brutto) sta qui: questa fantomatica tecnologia rivoluzionaria non esiste, né è mai esistita. Per anni, Elizabeth Holmes è riuscita a ricevere fondi e credito mediatico per qualcosa che, per capirci, non era altro che aria fritta.

L’indagine, condotta sia in ambito giornalistico sia da enti regolatori americani, ha finito col dimostrare che Theranos ha truffato per anni i suoi investitori (e indirettamente i potenziali clienti finali), tanto che a gennaio 2022, quindi due mesi fa quando pubblichiamo questa recensione, Elizabeth Holmes è stata effettivamente condannata a una pena che potrebbe arrivare fino a venti anni di prigione (la pena effettiva verrà comminata solo a settembre 2022).

All”inizio si parlava di ribaltamento. The Dropout, che segue la vicenda di Elizabeth Holmes fin dai primissimi anni del college, inizia infatti come i più classici racconti da sogno americano: una giovane brillante, motivata, con un’idea vincente in testa, che decide di sacrificare tutto, compresa vita privata e carriera universitaria, per inseguire l’aspirazione di diventare una donna di successo, ricchissima e stimatissima.

Il termine “dropout” fa riferimento alle persone che abbandonato gli studi, e nella storia recente dei miliardari americani ci sono in effetti diversi esponenti della categoria, dove i più famosi sono probabilmente Bill Gates e Steve Jobs.

E proprio quest’ultimo è l’esempio a cui Elizabeth guarda di più, l’uomo a cui decide di ispirarsi. In fondo la storia di Steve Jobs, in ambito informatico, è quella che la protagonista prova a riprodurre in ambito medico: lei non ha specifiche competenze tecniche, ma ha avuto un’idea potenzialmente geniale e punta poi sulle sue capacità di motivatrice e affabulatrice per costruirsi intorno un gruppo di persone che, sulla base della sua visione, facciano il lavoro per lei.

Probabilmente, dicendola così, ho svilito un po’ il ruolo di Steve Jobs, però il succo è quello: Jobs non avrebbe saputo realizzare in prima persona nessuna delle innovazioni tecniche che ha portato sul mercato, ma è stato l’uomo capace di cogliere i bisogni dei potenziali clienti (a volte perfino di crearli) portando i suoi tecnici a creare prodotti insieme innovativi e visceralmente desiderabili.

Per Elizabeth Holmes poteva essere la stessa cosa: l’idea di un’analisi del sangue più rapida, economica e meno invasiva era effettivamente ottima, una potenziale rivoluzione, e Holmes, per anni, ha mostrato di avere proprio alcune delle capacità comunicative e motivazionali del suo inconsapevole mentore.

Purtroppo, però, non è mai stata in grado di arrivare alla realizzazione tecnica di quelle idee.

Il ribaltamento del sogno americano, però, non finisce qui. Anzi, finora non c’è alcun ribaltamento, solo un’idea che non funziona e un progetto che fallisce.

Il tema del ribaltamento entra in gioco quando Elizabeth sceglie di non accettare il fallimento, preferendo portare avanti il più a lungo possibile una vera e propria truffa con la quale forse sperava di prendere tempo in attesa che arrivasse l’effettivo successo tecnologico, ma che nel mentre non ha mancato di ingannare migliaia di persone.

È qui che il sogno americano incontra il suo lato oscuro e diventa ossessione per il successo, incapacità di arrendersi all’evidenza, e al contrario volontà di usare ogni mezzo, lecito o illecito, per raggiungere un riconoscimento che a quel punto è solo esteriore, perché non legato all’ottenimento di effettivi risultati.

Elizabeth diventa così lo smascheramento di un meccanismo perverso che sì, ha portato grandi e positivi cambiamenti alla nostra vita, ma che ha anche distrutto intere esistenze e generato deviazioni criminali.
Tutto in nome di quel maledetto successo.

In termini televisivi, ché finora della serie abbiamo parlato poco, The Dropout gioca proprio su quel tema del ribaltamento, raccontando inizialmente la vicenda di Elizabeth nello stesso modo in cui racconterebbe quella di Steve Jobs: la genialità, lo scarso interesse per la convenzioni, il focus assoluto sugli obiettivi, lo scetticismo che circonda la protagonista finché lei non mette effettivamente in campo le sue capacità.

Anche sapendo come la storia andrà a finire (cosa che nemmeno la serie nasconde, visto che si apre con un interrogatorio di Elizabeth alla polizia), siamo troppo abituati a questo tipo di storie per non fare il tifo per Elizabeth, lo scricciolino biondo pronto a fargliela vedere al mondo pieno di arroganti maschi in giacca e cravatta, che finiranno col seguirla come cagnolini ammaestrati.

Quello che ne esce è un thriller medical-affaristico che, nelle prime tre puntate finora disponibili, tiene benissimo la tensione e ci avvinghia fin da subito in un vortice di ansie e bugie da cui è difficile staccarsi.

Amanda Seyfried ha buon gioco a porsi come la piccola studentessa cervellona che deve farsi valere in mondi più grandi di lei, e lo stesso fatto che sia da sempre un’attrice usata per parti da “buona” rende ancora più efficace il tema del ribaltamento delle nostre aspettative.

A lei è anche affidato il compito di prendersi carico di alcuni dei risvolti più surreali della vicenda, come quello legato alla voce di Elizabeth: nelle sue apparizioni pubbliche, infatti, Holmes ha sempre sfoggiato una profonda voce da baritono, che molti sostengono essere essa stessa una truffa, niente altro che un vezzo vagamente maniacale che serviva alla ragazza per sembrare più solenne e autorevole.
(La serie dà per scontato che sia così, anche se nella realtà la vicenda è ancora dibattuta, con la famiglia di lei che sostiene la veridicità della voce più bassa).

Accanto ad Amanda Seyfried si muove un cast di buoni attori e attrici, su cui spiccano sicuramente un irriconoscibile Naveen Andrews (irriconoscibile rispetto al suo Sayid di Lost) nei panni dell’amante e poi partner in crime di Elizabeth, Sunny Balwani; Stephen Fry, che interpreta un biochimico facente parte della squadra di tecnici della protagonista e che diventa presto uno dei volti più teneri e spaesati della serie; Laurie Metcalf (la zia Jackie di Pappa e Ciccia e The Conners, nonché madre di Sheldon in The Big Bang Theory) nei panni di Phyllis Gardner, una delle prime persone a mostrare scetticismo nei confronti delle idee di Elizabeth Holmes; il nostro amatissimo William H. Macy (il Frank di Shameless, fra le mille cose), che qui fa un vecchio riccastro bastardo che cerca di mettere i bastoni fra le ruote a Elizabeth.

L’ultima volta che avevamo parlato di una miniserie di Hulu tratta da una storia vera (sempre a sfondo medico, peraltro), era stato in occasione dell’uscita di Dopesick, poi rivelatasi una delle migliori serie dello scorso anno.

E qui sembra che Hulu sia pronta a ripetersi. Proprio come Dopesick, The Dropout scava nelle pieghe più oscure dell’american way of business, ma mentre Dopesick trovava un cattivo più facile e per certi versi rassicurante (le grandi e spietate corporazioni farmaceutiche, contro cui è sempre facile schierarsi), The Dropout sembra capace di colpire più a fondo, in forma più umana, mostrandoci il labile e rischioso confine fra la legittima aspirazione al successo, e i pericoli insiti nell’ossessione verso di esso.

In generale, consigliatissima.

Perché seguire The Dropout: una storia di per sé avvincente tradotta in una miniserie tesa, ritmata, efficace.
Perché mollare The Dropout: se provate disagio di fronte alla gente che fallisce, e che fallisce male.

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