5 Maggio 2022

Heartstopper: su Netflix una potenziale, piccola svolta nelle serie a tema LGBT di Diego Castelli

Hearstopper racconta la sua storia romantica come l’hanno raccontata mille serie per decenni. E no, non è una cosa scontata.

Pilot

Oggi è uno di quei giorni. Quei giorni in cui mi trovo a recensire una serie il cui target non sono io, e in cui il mio giudizio istintivo, di pancia, potrebbe non riuscire a inquadrare nel migliore dei modi un prodotto che, immagino, vorrebbe essere analizzato soprattutto da chi lo può capire e vivere intimamente. Stiamo parlando di Heartstopper.

La nuova serie di Netflix, creata da Alice Oseman a partire da una sua graphic novel del 2016, è un teen drama molto light a tema LGBT, che racconta la storia di amicizia e poi di amore fra due ragazzi del liceo, impegnati a esplorare i propri sentimenti e le proprie pulsioni contrastanti nel più classico dei racconti di formazione.

Ecco, io non sono più adolescente da tanto, sono cisgender, e non sono gay. Una mezza tragedia, per recensire una serie come questa, ma ci proviamo lo stesso.

I protagonisti di Heartstopper sono Charlie (Joe Locke) e Nick (Kit Connor).
Charlie è gay dichiarato da tempo, e vive una burroscosa storia segreta con Ben, un belloccio antipatico che pomicia con Charlie negli angoli e poi fa finta di non conoscerlo nei corridoi. Nick, invece, è appena arrivato a scuola, è un abile rugbysta e scatena subito gli ormoni di Charlie, che riesce a diventare suo amico senza però sapere se Nick può essere interessato a lui anche in senso romantico.
Non credo sia un grande spoiler dire che sì, quell’interesse nascerà, di fatto si vede fin dalla locandina.

Intorno a Charlie e Nick si muove un sottobosco di personaggi, amici, compagni, nemici, parenti (fra cui la madre di Nick, una sorprendente Olivia Colman in una parte piccolissima rispetto alla caratura ormai mondiale dell’attrice), che in molti casi rappresentano altre declinazioni della galassia LGBT: c’è la coppia lesbica, c’è la ragazza trans che ha appena fatto il salto dalla scuola maschile di Charlie e Nick alla vicina scuola femminile, c’è il professore gay che aiuta Charlie a gestire questi suoi primi amori, e via dicendo.

In cima, nel titolo, ho parlato di potenziale piccola svolta per le serie LGBT, per motivi che non avevo notato immediatamente o, meglio, che avevo notato ma a cui non davo il giusto peso.

In Heartstopper mancano quasi completamente gli elementi più crudi e pesanti della normale drammatizzazione delle storie gay. È vero, ci sono i bulli, ma è un bullismo “soft” (se mi passate il termine un po’ rischioso), traumatico ma non tragico, irritante ma non fisicamente violento, che passa attraverso insulti e ragazzate che potremmo trovare anche in altri film e serie in cui, a essere preso di mira, è semplicemente il ragazzo più introverso e debole della scuola, a prescindere dal suo orientamento sessuale.

Da questo punto di vista, e se consideriamo personaggi già citati come il professore apertamente gay o l’amica trans che viene accolta dalle nuove compagne senza alcun problema, Heartstopper punta a essere una storia d’amore molto classica, come tante ne abbiamo viste, in cui la componente LGBT ha un peso importante nelle percezioni (e autopercezioni) dei personaggi, senza però diventare più importante del semplicissimo batticuore fra ragazzini.

La svolta, dunque, sta proprio nel voler affrontare le tematiche LGBT non tanto per un’operazione di denuncia e/o di crudo realismo, bensì con l’obiettivo di creare un mondo arcobaleno che offra lo stesso tipo di intrattenimento leggero e romantico su cui i ragazzi e le ragazze etero hanno potuto contare per decenni, o meglio, per secoli.

Vale la pena, in questo discorso, chiarire un equivoco. Quando si guarda un teen drama, magari mentre si è adolescenti, avere un oggetto d’amore interno alla serie è fondamentale. Ai miei tempi le ragazze si innamoravano di Dylan di Beverly Hills, e io mi struggevo per Kelly (e non è certo l’ultima ragazza seriale su cui ho speso battiti di cuore).

La favoletta (molto politically correct) secondo la quale un uomo etero sano e buono dovrebbe essere in grado di emozionarsi nello stesso modo di fronte a una storia d’amore fra un uomo e una donna e di fronte a una storia fra due uomini, è per l’appunto una favoletta. Il che non significa, naturalmente, che un uomo etero non possa emozionarsi “mai” di fronte a una storia gay, ci mancherebbe, ma entrano in gioco altre dinamiche emotive e artistiche che ovviamente, e banalmente, non c’entrano con l’attrazione verso un personaggio femminile sul quale, per dirla semplice, “ci si fa i film”.
(E ovviamente, con le dovute sfumature, lo stesso discorso si potrebbe fare per una spettatrice che guardi una storia d’amore in cui c’è o meno un maschio etero)

Accettato questo dato di fatto, che spesso rischia di essere una specie di tabù inconfessabile, si capisce ancora meglio il valore di Heartstopper, che sicuramente può (e spera di) emozionare pubblici anche molto diversi, ma che è rilevante proprio perché riesce a offrire a un pubblico giovane e appartenente alla comunità LGBT quel mondo fatato e irrealistico, in cui l’unica cosa che conta è l’amore e lo struggimento romantico, che i ragazzi e le ragazze etero e cisgender conoscono e si bevono da sempre.

Mi sono parzialmente autospoilerato, perché questa per me è stata una conclusione in parte successiva alla visione e alla lettura di altre opinioni.
Dal punto di vista strettamente seriale, televisivo, artistico, per me Hearststopper è una serie tutto sommato prescindibile, che non si inventa granché né in termini di dinamiche romantiche, né in termini di messa in scena, a parte piccoli tocchi grafici e cartoonosi nemmeno troppo insistiti, che comunque non sono, neanche loro, una grande novità.

Il mio puro istinto era dunque quello di etichettare Hearstopper come un normale, piccolo teen drama inglese di Netflix, a cui non mi capiterà spesso di pensare, e che a mio giudizio non raggiunge né la forza drammatica di una SKAM Italia, e neppure le sofisticazioni di una Sex Education.
È un drama per adolescenti, semplice e simpatico, pensato in primo luogo per gli adolescenti. E per me finiva qui.

Però guardando le reazioni del resto del pubblico e di certi critici, e pur facendo la tara di certi votoni sparati “perché sì”, perché come fai a parlare male della serie pucciosa LGBT, si vede chiaramente come Hearstopper stia arrivando al cuore di un pubblico di cui io non faccio parte, e che di un prodotto così sentiva l’esigenza e la mancanza, perché effettivamente non ce l’ha quasi mai avuto.

Il fatto che in Heartstopper ci siano più personaggi LGBT che non, che il coming out sia sì difficile, ma in fondo non così complicato, e che l’amore vinca su tutto e smuova le montagne, sono l’equivalente delle dolci sciocchezze che serie e film romantici da sempre ci propinano quando riempiono le loro storie di personaggi bellissimi, di grandi gesti, e di vissero felici e contenti. Sono storie irrealistiche, ma che ci permettono di sognare.

Questo non significa che stia per mettere Hearstopper in una posizione altissima della classifica, non è questo il tema. Il tema, piuttosto, è riconoscere la capacità di un prodotto di fare uno step teoricamente banale, eppure non scontato. Lo step tale per cui una storia per ragazzi a tema LGBT, veicolata attraverso una serie tv sulla più famosa piattaforma seriale del mondo, rinuncia alla pesantezza dei toni e alla drammaticità insistita degli eventi, per offrire a un pubblico che non ce l’ha mai avuto quel mondo tutto aspirazione e cuoricioni che noialtri ci siamo comodamente bevuti per una vita intera.
Non poco, a conti fatti.

Perché seguire Heartstopper: perché offre una rappresentazione del mondo teen LGBT molto diversa dal solito, insieme semplice e parecchio intelligente, per il pubblico a cui è rivolta.

Perché mollare Heartstopper: se non appartenete al mondo LGBT e/o non avete proprio una passione per le storielle romantiche, probabilmente vi sembrerà un normalissimo teen drama piccolo piccolo e non proprio fulminante.



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