6 Settembre 2022

Mike – Disney +: la storia di Mike Tyson in una serie ad alto ritmo di Marco Villa

Quella di Tyson è una storia fatta di estremi e Mike la racconta con episodi brevi e senza mai cadere nel riempitivo

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Io la boxe non la capisco. Non è che non mi interessi, tipo il badminton o la vela. È che proprio non la capisco, probabilmente è perché ho uno spirito di conservazione piuttosto spiccato, come mi diceva il mio prof di educazione fisica, con una delle più raffinate prese in giro che abbia mai sentito. Però è così: il senso di picchiarsi finché uno non crolla a terra è proprio una roba lontana da tutto quello che mi passa per la testa. Questioni mie, certo. La premessa è per dire che nonostante questa avversione, se hai più di 30 anni non puoi non avere incrociato il mito di Mike Tyson, un mito all inclusive, in cui l’aggressività e il maschio-alphismo danno il meglio e il peggio che un essere umano possa trarre da loro.

Mike racconta proprio questo: il complicato rapporto di un ragazzo (e poi di un uomo) con la violenza: quella che lo circonda da quando è piccolo e assiste alla madre che si scontra con i compagni, per poi essere costretta a prostituirsi quando perde casa e sostentamento. Il tutto in una zona di Brooklyn che ricorda una città bombardata, più che “the greatest city in the world”. La violenza, Mike la vive in prima persona: prima bullizzato dai compagni perché un po’ cicciottello e con la zeppola, poi ladruncolo che ruba tutto a tutti, infine bullo a sua volta, quando scopre di essere diventato forte.

In tutto questo, gioca un ruolo fondamentale il pugilato, da sempre una sorta di ammortizzatore sociale in grado di incanalare aggressività difficili da controllare. In uno dei suoi mille passaggi in prigione, Tyson inizia a combattere e non si ferma più. Trova un manager che gli fa da padre e inizia una scalata che lo porterà dove sappiamo, mentre intorno a lui muoiono tutti quelli che con cui è cresciuto, facendogli guardare dritto in faccia quale sarebbe potuto essere il suo destino.

Mike avrebbe potuto avere mille tonalità, dal dramma più sparato alla classica storia di formazione. Il pregio di questa serie (dal 6 settembre su Star, all’interno di Disney+) è di cercare un taglio non scontato, riuscendo ad affiancare momenti di puro dramma (la vita della madre, le morti degli amici del quartiere) a passaggi pieni di ironia, accompagnati anche da sguardi in macchina da parte di Trevante Rhodes, che interpreta Tyson con efficacia. Sempre restando sugli interpreti, da segnalare un anzianissimo e commovente Harvey Keitel nei panni di Cus D’Amato, primo allenatore di Tyson.

Altro enorme pregio è la durata degli episodi, sempre intorno alla ventina di minuti. Una scelta che regala un ritmo alto, senza necessità di riempitivi. Il risultato è una storia forte che si trasforma in una buona serie, che non fa gridare al miracolo, ma compie pienamente il proprio dovere. Al di là di quello che possiate pensare della boxe in senso lato.

Perché guardare Mike: per il ritmo notevole

Perché mollare Mike: perché volete lacrime e sangue



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