10 Novembre 2022

The Bastard Son & The Devil Himself su Netflix – Una recensione felice di Diego Castelli

The Bastard Son & The Devil Himself è una serie di genere, ma che sta nella parte alta di quel genere

Pilot

Prima di vedere The Bastard Son & The Devil Himself, senza ancora saperne niente, mi ero imbattuto in suo minuscolo riassunto scritto da non ricordo quale giornalista americano, che la definiva “un Harry Potter per adulti”. Frase di per sé molto facilona, e capace di suscitare tanta curiosità quanto (soprattutto) sospetto. Una cosa tipo “se devi già usare un’altra saga per definirla, mi sa di minestra riscaldata”.

La cosa bella, però, è che The Bastard Son & The Devil Himself potrebbe effettivamente profumare di minestra riscaldata, ma con un inatteso twist: è una minestra di quelle saporite, belle cariche, che arrivano alla fine di una frustrante e gelida giornata d’autunno. Insomma, minestra sì, ma gustosa e rigenerante.

Tratta dal romanzo Half Bad di Sally Green, pubblicato nel 2014, e sviluppata per Netflix da Joe Barton (già creatore di Giri/Haji, apprezzata dal Villa), The Bastard Son & The Devil Himself racconta della secolare contesa fra due diverse fazioni di “witches”, che Netflix traduce come “incanti” (immagino seguendo la traduzione del libro) anche se sappiamo che potremmo parlare banalmente di streghe e stregoni.

Siamo nel nostro mondo, proprio la realtà contemporanea fatta di automobili e telefoni cellulari, ma quello che noi “profani” non sappiamo è che il pianeta intero è terreno dello scontro, o quanto meno della tensione costante, fra queste due opposte fazioni, divise da un differente modo di concepire e utilizzare la magia.

Al centro della storia c’è Nathan, un ragazzo che non ha ancora raggiunto la maturità magica (che si ottiene con i 17 anni) e che si porta dietro un fardello pesante: cresciuto in Inghilterra, dove sono quasi tutti “fairborn”, è il figlio del più famoso, temuto e pericoloso “blood witch”, cioè un mago del sangue, questo Marcus Edge di cui nei primi episodi sappiamo solo che è una specie di Voldermort cattivissimo.

Senza voler fare troppi spoiler su una trama abbastanza articolata, Nathan si trova improvvisamente preso fra due fuochi: da una parte è guardato con sospetto per via di suo padre, dall’altra, proprio in virtù di quella parentela, è visto anche come una potenziale risorsa, un’arma da addestrare e scagliare contro Marcus al momento opportuno.

Insomma, il povero Nathan non riesce proprio ad avere una normale adolescenza, e la sua unica “amica” (con le virgolette romantiche) è Annalise (Nadia Parkes), figlia di un importante capo dei fairborn e quindi pure lei incastrata in una situazione non semplice.

Aggiungeteci il fatto (e qui non faccio un grande spoiler) che la divisione fra buoni e cattivi non è poi così netta (basta guardare quanto è stronza-viscida-odiosa la sorella di Nathan), ed ecco che avete un quadretto che, dopo l’iniziale distribuzione delle pedine, ci sballotta in una trama piena di intrighi, sorprese e capovolgimenti di fronte.

The Bastard Son & The Devil Himself è una serie di genere e, per quanto alla fine non sia esattamente un “Harry Potter per adulti” (bisognerebbe anche essere d’accordo su cosa identifica “Harry Potter” in quanto tale), è certamente vero che presenta numerosi elementi che abbiamo già visto in tante serie fantasy young-adult degli ultimi anni.

Visto che però siamo qui a dirci che questa funziona meglio di altre (a mio giudizio, naturalmente), c’è l’occasione per fare un ragionamento più complessivo.
Vale insomma la pena di prendere The Bastard Son & The Devil Himself come esempio del fatto che i racconti di genere sembrano “sempre uguali”, ma che uguali non sono quasi mai, soprattutto agli occhi di chi quei generi li apprezza.

Il punto, che immagino sia molto frustrante per chi certe storie le scrive e le produce, è che più o meno tutti sappiamo cosa serve in teoria a una serie per funzionare, ma passare dalla teoria alla pratica è un esercizio tutt’altro che semplice, perché prodotti di questo tipo sono così complessi, così pieni di tante parti diverse che devono integrarsi e concatenarsi, che bastano pochi dettagli fuori posto (o, al contrario, al posto giusto) per finire dalla parte sbagliata (o giusta) del confine fra banale ciofeca e gustoso intrattenimento.

Chissà se Better Call Saul sarebbe stata ugualmente forte senza Bob Odenkirk, o se Sherlock avrebbe avuto successo senza le sceneggiature di Steven Moffat, o se Lost ci sarebbe rimasta comunque nel cuore aprendo una botola in più o in meno.

L’unica cosa che so, è che in The Bastard Son & The Devil Himself le hanno azzeccate quasi tutte.
Di originale “per davvero”, nel senso di qualcosa che ci faccia spalancare gli occhi per la sorpresa, non c’è praticamente nulla: le fazioni di maghi o simil-tali, gli adolescenti e le loro fatiche di crescere (soprattutto se hanno dei poteri), gli ormoni che corrono e i bullismi scolastici, i genitori complessati, insomma Vampire Diaries all over again, per certi versi.

Però c’è anche un altro piglio. E non è solo la questione di essere “per adulti”, che si esprime prima di tutto in una quota maggiore di sangue e sesso rispetto a un normale teen drama fantasy alla CW.
È proprio che ci sono tanti pezzi al posto giusto.

C’è un ritmo molto alto, con tante cose che succedono in poco tempo, tante informazioni veicolate in modo chiaro ma mai stucchevole. Ci sono rapporti di forza chiari e precisi, ma che sanno trovare margine per svilupparsi e non rimanere statici. Ci sono personaggi da odiare che si odiano tantissimo, personaggi da amare che si amano subito, e personaggi a cui viene attribuito un compito più sfumato, meno netto, e per questo più interessante proprio perché innestato su uno sfondo che dovrebbe essere bianco e nero, ma che rivela parecchie sfumature di grigio.

È insomma una serie che ha linee di forza molto precise e comprensibili, ma che le mette costantemente in discussione, senza creare confusione ma, invece, restituendoci una storia complessa e meno banale di quanto avrebbe potuto essere.

Ma se questi sono pregi “di sistema”, riguardanti la struttura di base dello show, ci sono poi tanti altri dettagli che funzionano, a partire dai due protagonisti: Jay Lycurgo e Nadia Parkes non sono solo bravi (che già non è scontato), ma funzionano benissimo insieme e hanno una chimica pazzesca, anche proprio dal punto di vista romantico-sessuale.
Come ci dicevamo prima, sarebbe bastato sbagliare qualcosa lì dentro, ingaggiare l’attore o attrice sbagliato/a, e già la serie avrebbe perso potenza.

Sempre sul fronte dettagli, non manca una buona attenzione nella descrizione di una magia perfettamente integrata con il mondo quotidiano, altro concetto non nuovissimo ma qui gestito molto bene: questi maghi non usano solo i poteri, ma si sparano proprio con le pistole, che può sembrare “strano” rispetto a quello a cui siamo abituati, ma che ha perfettamente senso se pensiamo a ciò che effettivamente farebbero delle persone che sì, hanno dei poteri, ma non si capisce perché non dovrebbero usare anche altri strumenti in caso di necessità.

Aggiungiamoci poi una certa dose di ironia, che non guasta mai e che viene dosata con mestiere, e anche i pregi di quell’approccio un po’ più adulto di cui si diceva: sarà il quarantenne a parlare, ma se mi racconti una storia di gente che si ammazza, e che si ammazza usando poteri magici spesso dirompenti, la possibilità di far vedere l’effetto di quelle forze arcane senza troppi problemi di impressionabilità del pubblico, aiuta.

In ultimo, giusto per non farla eccessivamente lunga, The Bastard Son & The Devil Himself è anche una serie che sa dove fermarsi: pur non avendo il budget di una House of The Dragon o una Rings of Power, usa i suoi effetti speciali con gusto e giudizio.
Per esempio, nel primo episodio è più quello che non si vede che quello che si vede, ma questo non cambia di una virgola la forza di certe scene che, proprio perché concepite per esaltare l’assenza più che la presenza, funzionano meglio che se ci fossero stati mezzi più ricchi, ma usati in maniera più scontata.

Insomma, per un motivo o per l’altro, The Bastard Son & The Devil Himself si fa apprezzare subito. Bastano pochi minuti per farsi tirare dentro una storia che funziona, che trascina, che scalpita. E che soprattutto tiene botta quasi sempre, al netto di piccoli cali e piccole facilonerie, fino a un finale di stagione che, come era legittimo aspettarsi, riserva qualche sorpresa interessante e chiude in modo organico una trama molto ricca.

Considerando che non mi aspetto che The Bastard Son & The Devil Himself vinca grappoli di Emmy, siamo probabilmente in quella situazione per cui, se il genere teen-drama-magico non vi piace, questa vi sembrerà una serie come tante altre, e non avrete voglia di approfondirne eventuali differenze (cosa legittima, peraltro).
Ma se invece queste storie vi piacciono, e avete l’impressione che sia passato un po’ di tempo dall’ultima volta che vi siete appassionati a una serie di questo tipo, beh, è il momento di divertirsi.

Perché seguire The Bastard Son & The Devil Himself: nel suo genere è una spanna o due sopra un sacco di concorrenti del presente e del recente passato.
Perché mollare The Bastard Son & The Devil Himself: siamo comunque dentro quel genere con tutte le scarpe, e chi non lo apprezza probabilmente ne rimarrà comunque fuori.



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